Urban Explorers – Giovanni Barberis

Onde, pellicole e sensibilità ambientale. Incontriamo questo regista italiano insieme a North Sails
Il suono dell’oceano ha infinite note. Sono note dolci e pacate, contemplative e introspettive. Sono note che placano la frenesia metropolitana, che la alleviano, che riecheggiano dalle vaste distese atlantiche e mediterranee per incanalarsi in luoghi inaspettati, come in un Naviglio incasellato nel tessuto urbano milanese, come nell’ombrosa pancia acquatica della Darsena, come nelle correnti creative del filmmaker e director Giovanni Barberis. ‘Ogni giorno ci penso’ è il suo ultimo progetto tangenziale all’elemento acquatico, seguito alle pluripremiate produzioni ‘Peninsula’, ‘Nausica’ e ‘Onde Nostre’, docufilm dedicati alla scena surfista italiana e prodotti insieme ad un ispirato collettivo di creativi acquatici. ‘Ogni giorno ci penso’ è anche l’involontaria definizione che si può attribuire al manifesto rapporto tra Sbrokked, suo nome d’arte, e l’elemento acquatico. “Ho una connessione estremamente intima con mari e oceani. Quando penso a loro, la prima immagine che riaffiora riguarda me e mia sorella sulle spiagge di Bergeggi, in Liguria, mentre giochiamo e veniamo redarguiti da mia madre. Prima di arrivare a Milano ho vissuto con loro in Piemonte, per anni il mio unico pensiero è stato raggiungere la lineup più vicina e salire sulla tavola da surf. Quasi quotidianamente scendevo sulla costa ligure. Mi è capitato più volte di farlo da solo o, semplicemente, con il mio cane. Fino ai 30 anni ho avuto la preziosa possibilità di viaggiare, la priorità era sempre finire in mezzo alle onde: dalle Hawaii al Marocco, dalla Spagna settentrionale al piccolo comune di Varazze… In acqua ho sempre avuto la sensazione di essere profondamente a mio agio. L’acqua fa diventare tutto mentale, compreso te stesso, plasma il tuo modo di essere, ti spinge a raccontare”.



E il racconto di Giovanni Barberis percorre lo spartito delle proprie pellicole, come quello della propria pelle. Una tavola rotta, segno di un grave infortunio del passato, il profilo di una sogliola, la coda di una balena… Tra i corsi acquatici milanesi, le gambe di questo artista lasciano trapelare tatuaggi tracciati autonomamente. Sono suggestioni, dichiarazioni di una sinergia primordiale e feconda per la sua vita, per la sua professione, per la sua sensibilità. Osservando relitti di plastica depositati appena poche ore prima nelle sfigurate vene acquatiche milanesi, Giovanni lascia sgorgare un fiume carsico di denunce e informazioni, di silenziose iniziative personali e rumorose schegge visuali: tasselli uniti dal fil rouge della salvaguardia marina. “Durante uno dei miei progetti ho avuto la fortuna d’intervistare un oceanografo. Mi ha edotto sulle dinamiche d’inquinamento e di rigenerazione marina, è stato scioccante. Toccando temi come il consumismo collettivo o la disattenzione individuale ho effettivamente realizzato quante colpe abbia l’essere umano in questo vortice di distruzione ambientale. Ho sempre agito nel massimo rispetto della natura marina, anche prima di quest’incontro. Credo sia un tipo di attenzione insita a tutti gli amanti di questo elemento. Mi è capitato milioni di volte di fare lunghe passeggiate sulle spiagge che accoglievano i miei viaggi di lavoro o di piacere, e di raccogliere sacchi su sacchi di plastica gettata da chissà chi. Alle Maldive ho avuto modo di osservare un’isola-discarica, è stato scioccante. Non mi sono mai legato ad associazioni specifiche, ma credo che il mezzo artistico sia fondamentale per alimentare una sensibilità eterogenea su questo tema, specie nelle nuove generazioni. In molte delle mie produzioni il mare è stato e continua ad essere il soggetto centrale e credo che anche solo riprendere il cammino di un’onda per molti secondi, o una tempesta, possa trasmettere un senso di magia e di purezza che deve essere preservato. Spero che queste immagini sensibilizzino l’osservatore e lo facciano riflettere sul concetto di rispetto e di amore per un qualcosa che, nonostante sia così essenziale, continua ad essere messo in grave pericolo. Ho dato spazio anche a tante testimonianze di persone che vivono in simbiosi con la meraviglia oceanica, che hanno deciso di abitarla per tutta la loro esistenza. Le loro parole sono un altro strumento potentissimo per rivoluzionare il pensiero comune”.





La rivoluzione può passare anche da una dolorosa presa di coscienza e da un ancora più doloroso distacco. Perché essere fedeli ai propri valori, ci spiega Giovanni Barberis camminando sul grigio cemento della Milano da bere, è la cosa più significativa che un uomo in perenne ascolto del mare possa fare. Questa è la ragione di una parentesi lavorativa che, almeno per qualche tempo, lo vedrà incrociare le onde quasi unicamente per film personali e abbandonare produzioni più grandi, spesso tese ad una strumentalizzazione dell’arte surfistica e del suo immaginario. “Il surf è la mia passione e, nel tempo, è diventato il mio lavoro. Nonostante sia una necessità, ho deciso momentaneamente di prendermi una pausa da questo universo, perché odiavo l’idea di strumentalizzare un qualcosa che ho sempre percepito come spirituale, ero emotivamente saturo. In futuro riprenderò. Intanto continuerò a vivere questo dualismo tra mare e metropoli: è un equilibrio che riesco a sopportare, perché appena posso scappo in qualche spiaggia. Sto anche coltivando l’idea di trasferirmi in un luogo costiero, è un pensiero che mi accompagna e continuerà ad accompagnare. Prima o poi si concretizzerà”.
Questo articolo è parte della collana ‘Game Changers’.
Credits:
Photo Credits: Rise Up Duo
Testo a cura di Gianmarco Pacione
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