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L’irragionevole boxe di Tony Galento

Sovrappeso, maleodorante e scorretto: l’italoamericano che mise paura a Joe Louis

Inseguiva il sogno americano, Tony Galento. Era nato nella zona italiana del New Jersey, lì aveva scoperto la durezza della vita. Aveva subito l’ondata della depressione, ne era stato sommerso, ingoiato. Non aveva soldi, aveva fame e, soprattutto, aveva sete.

Nella birra aveva trovato una degna compagna di viaggio, nella boxe e nel suo gancio sinistro era riuscito a trovare una via di fuga, la chiave d’accesso al bramato sogno americano.

Lo chiamavano ‘Two-Ton’, due tonnellate, perché una sera si presentò in ritardo sul ring dopo aver scaricato chili e chili di ghiaccio per tutta la giornata.

Era il proprietario di una piccola taverna, una bettola maleodorante in cui serviva e beveva fiumi e fiumi di malto d’orzo, in cui si rifugiava tra un match e l’altro, abbandonandosi a bagordi e viaggi alcolici.

Era brutto, Tony. Non era un atleta perfetto, forse era il più imperfetto degli atleti. In carriera arrivò a pesare oltre cento chili, distribuiti impietosamente sul suo metro e settanta.

Lo chiamavano clown, obeso, pelato e alcolizzato. Si allenava poco e svogliatamente, lo faceva a notte tarda, subito dopo aver chiuso a chiave il suo Nut Club. Lasciava che tutto si compisse sul ring, affidandosi a ciò che gli aveva concesso madre natura.

Sì, perché quando si parla di Tony Galento bisogna pensare ad uno dei più grandi incassatori della storia della boxe. Un uomo insensibile al dolore, in grado di sopportare qualsiasi impatto, qualsiasi percossa, qualsiasi danno subito.

Il pelo a punteggiargli il petto, la bocca eternamente aperta e abbandonata a respiri profondi, affannosi, il passo modesto.

Incrociare i guantoni con ‘Two-Ton’ doveva essere un’esperienza strana, surreale. Come il moderno Homer Simpson, l’italoamericano incassava di tutto senza battere ciglio e, al momento giusto, faceva partire il fatale gancio mancino: una stilettata rapida e potente, inarginabile.

L’aneddotica legata a questo pugile è praticamente infinita.

Combatté, per esempio, più volte senza paradenti. In un’occasione un morso alla lingua gli costò 25 punti sutura. La notte stessa il chirurgo che l’aveva rattoppato, venne convocato nel bar limitrofo all’ospedale. Galento, nonostante le raccomandazioni, aveva deciso di bere qualche pinta in compagnia, ottenendo il prematuro distacco di tutti punti. Punti che il medico riapplicò seduta stante alla lingua del pugile, senza alcuna anestesia di sorta. Galento accettò immobile, senza la minima reazione di paura o dolore.

E ancora. Dopo un ferino litigio con il proprio fratello, l’oste del New Jersey si presentò sul quadrato con un labbro profondamente tagliato, un labbro che avrebbe fatto cancellare e rinviare il match a qualunque altro collega. Il barista si chiuse la grave ferita con del nastro adesivo e oltrepassò le corde, consapevole che al primo colpo il labbro avrebbe nuovamente ceduto. Combatté e vinse.

Boxeur sporco, sotto tutti i punti di vista. Tanti avversari si dichiararono allibiti davanti ad una particolare tattica olfattiva adottata dell’italoamericano: nei giorni precedenti ai match Galento non si lavava, aumentando vertiginosamente il tanfo del proprio corpo, odore aiutato dalle ingenti quantità di alcolici e junkfood trangugiate.

Max Baer dichiarò di aver combattutto “immerso in una vasca di liquori contro un tonno marcio”, come riportato dalla penna di Marco Nicolini.

La poca pulizia corporea influenzò anche quella morale: dita negli occhi, colpi bassi, inusitata irruenza e brutali parole pronunciate in un inglese storpiato rappresentavano la sua routine sportiva.

“Non trovo sbagliato mettere il pollice nell’occhio all’avversario, forse solo un po’…”, dichiarava limpidamente davanti ad una stampa indignata.

Con tutte le sue imperfezioni rappresentò le minoranze e le fasce sociali più sfortunate del Paese dei sogni. Divenne icona di resilienza, manifesto del brutto che sale alla ribalta.

Arrivò addirittura a sfidare il ‘Brown Bomber’, il fantastico Joe Louis, per il titolo mondiale. In quell’occasione sfiorò il sogno americano con un gancio sinistro, il suo gancio sinsitro.

Louis venne investito dal violento tocco di ‘Two-Ton’ durante il terzo round. Al campione del popolo si spensero le luci, in un attimo che mozzò il fiato all’intero Yankee Stadium.

Si riprese in qualche modo, il bombardiere dell’Alabama, e regolò il bruto barista nella ripresa successiva.

Su quel ring Tony Galento si era giocato il sogno a stelle e strisce, sfiorandolo per un breve, intensissimo istante.

Aveva anche rinunciato a bere nei due giorni precedenti all’assalto alla cintura, snaturandosi, sperando che un breve ritiro salutista avrebbe aiutato la sua boxe. Così non fu, o meglio, così non fu completamente.

Conclusa la carriera si diede allo spettacolo, ricalcando il percorso di tanti altri pugili dal sangue tricolore e dai natali americani.

Comparì in diversi film, lottò contro gli animali più svariati, come piovre, canguri e orsi. Divenne anche una stella del wrestling.

Il dolore continuò solo a sfiorarlo, almeno fino al 1979, quando un attacco cardiaco spense definitivamente l’irragionevole vita di Tony Galento.

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