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L’umanità non ha prezzo, Sterling Brown

Dal carcere di Milwaukee all’udienza in Vaticano. Passando per oltre 400mila dollari rifiutati. Una storia di resilienza, impegno civile e integrità

“I vostri soldi non possono zittirmi”

Si può riassumere in queste parole l’impegno civile di Sterling Brown, guardia degli Houston Rockets con un passato prossimo nei Milwaukee Bucks. Parole legate a un triste e gravissimo episodio vissuto sulla propria pelle, parole che oggi assumono ulteriore valore, vedendosi impreziosite dal simbolico incontro di ieri con Papa Francesco in Vaticano.

sugar ray robinson

Il Pontefice ha difatti invitato e accolto una delegazione di membri della National Basketball Player Association, Sindacato dei giocatori NBA, nella biblioteca papale del Palazzo Apostolico. Il motivo alla base di quest’insolito incontro, era la volontà del Pontefice di scambiare opinioni e complimenti con i cestisti d’Oltreoceano, ringraziandoli per le significative proteste sociali messe in atto negli ultimi mesi.

Tra i presenti, oltre al nostro Marco Belinelli, spiccava Sterling Brown: probabilmente l’atleta che ha vissuto con maggior trasporto l’escalation umorale e comportamentale seguita all’omicidio di George Floyd.

Perché non più tardi di tre anni fa, esattamente la sera del 26 gennaio 2018, a trovarsi faccia a terra, con un ginocchio sul collo, era stato proprio l’allora rookie dei Bucks, colpevole semplicemente di aver lasciato la macchina in un posteggio riservato a persone diversamente abili.

sugar ray robinson

Fu una notte maledetta, quella vissuta da Sterling Brown. Pur ammettendo immediatamente di essere in errore, il prodotto di SMU si vide prima avvicinare da un poliziotto con chiaro atteggiamento intimidatorio, poi, dopo un rapido scambio di frasi, si vide circondare da altri membri delle forze dell’ordine e, alla semplice richiesta di togliere le mani dalle tasche, venne aggredito, immobilizzato e colpito da scariche di taser sulla schiena.

Rischiò la morte, Sterling Brown, e finì la notte in prigione. Da lì in poi decise che non avrebbe più chinato la testa, che avrebbe iniziato a parlare, ad agire.

L’ha fatto rifiutando i 400mila dollari proposti dalla città di Milwaukee, cifra stanziata per tenere all’oscuro l’opinione pubblica di ciò che era accaduto con la polizia locale.

L’ha fatto chiedendo a gran voce la condivisione del video ufficiale girato in presa diretta dai poliziotti: immagini tanto chiare, quanto crude, troppo a lungo tenute nascoste dalle autorità competenti.

L’ha fatto capeggiando la marcia di protesta di Milwaukee dopo il tragico decesso di George Floyd.

L’ha fatto guidando la protesta dei giocatori NBA durante la bolla di Orlando, schierandosi in prima fila tra quelle menti capaci di tramutare il forzato esilio cestistico in un megafono per richieste umane e sociali.

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“L’impegno comune di questo periodo mi ha confermato quanto sia importante il battersi per qualcosa. Se noi membri della comunità afroamericana vogliamo il cambiamento, dobbiamo agire. E questo cambiamento dovrà venire da ogni livello. Dai chi lavora nei quartieri ogni giorno, dai politici, dagli uomini d’affari, dagli uomini dello spettacolo e da noi atleti. Non stiamo combattendo solo per l’uguaglianza e la giustizia, stiamo combattendo per le nostre vite. Stiamo combattendo, quindi non dobbiamo muoverci con la paura in un Paese che abbiamo costruito. È pazzesco, ma stiamo combattendo per ciò che già possediamo. Le nostre vite! La nostra libertà! Ciò per cui combatto personalmente è molto più grande di me. Tutta questa lotta è più grande di noi come individui. La nostra lotta per la giustizia, l’uguaglianza, l’equità e il rispetto sarà ascoltata e sarà soddisfatta. La nostra lotta per la nostra vita e per la nostra libertà non sarà più messa in discussione! Non saremo messi a tacere!”, ha dichiarato poche settimane fa Brown in una lunga lettera-testimonianza su The Players’ Tribune.

Concetti che la guardia dei Rockets ha avuto modo di sottolineare anche ieri, in qualche modo universalizzandoli, nell’imponente palcoscenico del Vaticano: “L’ingiustizia sociale è un problema globale, per cui cerchiamo una soluzione globale. Per riuscire a realizzare quello che vogliamo, però, è importante cercare alleati. Roma non è stata costruita in un giorno e sappiamo che il cambiamento che chiediamo non accadrà da una notte all’altra, da un anno all’altro. Servirà del tempo, ma dobbiamo continuare a lottare, perché tutto quello che abbiamo fatto sarebbe inutile se ora tornassimo alle nostre vite di sempre, a giocare solo a basket. Siamo venuti a Roma, invitati dal Papa: ce lo ricorderemo per sempre, ma dobbiamo provare a trasformarlo in qualcosa di utile”.

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