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Stella Rossa Venezia, senza calcio non c’è vita in Laguna

Il calcio amatoriale è stato sfrattato da Venezia, ma tra i canali la resistenza sociale e sportiva è ancora viva

Venezia non è Disneyland, denuncia un’ormai celebre pagina social. Venezia non può essere calcio popolare, conferma il triste presente della Stella Rossa, squadra amatoriale costretta dalla propria Federazione di riferimento a giocare solo e unicamente su terraferma. Non c’è calcio sull’isola e non c’è isola per il calcio, questo il messaggio che le istituzioni hanno voluto riservare ad una polisportiva impegnata da oltre dieci anni a tenere saldo il capitale umano e sociale di una città sempre più turistica e artificiale. Un divieto che sa di sradicamento e svuotamento cittadino. Una decisione che finiscono per pagare gli indigeni, come si definiscono ironicamente, della Stella Rossa: uomini e donne che rappresentano gli ultimi bastioni della resistenza popolare lagunare, atleti e tifosi che nella propria entità sportiva vedono un polo di aggregazione e uno strumento di sensibilizzazione, un grido di denuncia e una minuscola, quasi impercettibile, fiammella di speranza.

“Oggi gli abitanti del centro storico sono più o meno 49mila, quando sono nato io erano il doppio”, Enrico Quieto, calciatore e attivista della Stella, inquadra con poche, asciutte parole la paradossale e drammatica condizione di una delle città più belle del mondo: una gemma galleggiante colpevole proprio della troppa bellezza, e della conseguente volontà di trasformare sestieri e canali in un museo a cielo aperto, in un parco divertimenti da destinare ad abnormi flussi turistici e schizofrenico consumismo. “Il tessuto sociale è colpito e rovinato da queste misure”, prosegue Ignacio Contreras, antropologo cileno, ma calciatore veneziano d’adozione, “Se si toglie il calcio a Venezia, si commette un enorme errore. Questa è una città culturale, mi pare ovvio, ma il calcio è estremamente importante per tutti i suoi abitanti e non solo, come dimostra la presenza nella nostra rosa e tra i nostri tifosi di persone che vivono in terra ferma e che, continuamente, arrivano qui per allenarsi e sostenere la visione di questa società”.

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L’importanza del calcio insulare echeggia anche nelle parole del centrocampista e lanciacori Antonio Fantinelli. Antonio ragiona tra battimani, tifando per i suoi amici-attivisti impegnati in un’amichevole notturna contro il Salsedine, una delle pochissime squadre ‘di terra’ a supportare le richieste e gli ideali della Stella. Questi ideali non riguardano solo lo sport, sono principalmente legati a un fattore cruciale per Venezia, il fattore sociale. Non è bello vivere Venezia da veneziano, il presente è veramente triste. Il calcio, ma anche il basket e la pallavolo sono diventati strumenti essenziali per tenere unita la comunità. I veneziani non hanno opportunità concrete, non hanno un futuro. Certo, il calcio o la Stella Rossa non saranno i motivi che spingeranno le nuove generazioni a rimanere qui, ma sicuramente aiuteranno loro a capire che la Venezia popolare è ancora attiva e partecipe, che l’equazione ‘meno veneziani = meno problemi’ non è accettata da tutti”.

“I problemi non sono nostri, sono loro”, evidenziano gli avversari della Stella ai margini di un’amichevole bagnata da bancali di Moretti e glaciale umidità. Sul romantico campo di Sant’Alvise, direttamente affacciato sulla laguna, uno dei rarissimi impianti calcistici veneziani, i membri del Salsedine portano a galla un ulteriore paradosso legato al divieto in corso: “Questa decisione non ha senso, perché le squadre di terraferma, come noi, dovrebbero venire a giocare sull’isola una, forse due volte all’anno. Sono i giocatori della Stella che devono affrontare un intero campionato viaggiando praticamente ogni settimana. Noi dovremmo fare pochissimi sacrifici in confronto a questi ragazzi e agli altri sportivi dell’isola. Fare sport a Venezia è difficilissimo da un punto di vista logistico: districarsi tra le calli, prendere vaporetti, trasportare il materiale tecnico, trovare un campo disponibile per gli allenamenti… Sono tutte problematiche che la Stella Rossa deve affrontare quotidianamente. Se a questa situazione, poi, si somma l’assurdità di questa decisione, l’esito non può che essere il declino del calcio popolare locale e l’annichilimento della sua forza sociale”.

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Grandi navi e seconde o terze case, quartieri fantasma e souvenir kitsch. All’ombra del ponte di Rialto il battito cardiaco cittadino pare sempre più in fase di estinzione, come conferma difensore Nicola Calenda davanti ad una spuma di baccalà. La nostra volontà è quella di passare una prospettiva cittadina alle generazioni future, ma il margine d’azione sta continuando a diminuire. Il progetto Stella Rossa è nato da un gruppo di amici dodici anni fa, nel tempo si è ramificato e ha coinvolto moltissime persone, amici che ci hanno permesso di proiettare i nostri pensieri in attività sportive e culturali, nei processi d’integrazione e di lotta al razzismo. Qui non si gioca a calcio, a basket o a pallavolo, si fa molto di più. Intavoliamo discorsi e affrontiamo tematiche cittadine, proviamo a combattere piccole battaglie, a contrastare una parabola che sembra ineluttabile. L’impossibilità di giocare nel centro storico è solo un riflesso di ciò che sta accadendo a tutta la città. Com’è noto soprattutto da queste parti, si colpiscono prima i più piccoli e deboli per modificare incontrovertibilmente ciò che ci circonda. Ma noi continueremo a resistere”.

E l’indomita, irrazionale resistenza sociale passa e passerà anche da simboli come Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, per tutti semplicemente il ‘Dottore del Calcio’. Sulle divise pop della Stella Rossa compare proprio il profilo del calciatore-filosofo, giunto in Italia a metà anni ’80 per studiare Gramsci e divulgare il verbo della bellezza calcistica. Il teorizzatore della ‘Democracia Corinthiana’ per questo collettivo veneziano funge da vero e proprio spirito guida, muovendo parole, pensieri e azioni che escono dal prato verde, provando a scavare nella coscienza cittadina. “Il calcio è uno sport collettivo e non serve che tutti corrano. Ci sono quelli che corrono e quelli che pensano”, diceva l’elegante centrocampista. E nel buio di un freddo lunedì sera veneziano c’è chi ancora corre, c’è chi ancora pensa, “C’è ancora chi porta avanti progetti vitali per migliorare, o meglio, risollevare le sorti di questa città e di chi la abita”, conclude con un’intensa vena poetica Enrico Quieto, “Penso che questo debba essere l’obiettivo di chiunque: provare a rendere migliore la nostra condizione, quella dei nostri figli e dei futuri veneziani”.

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Testo a cura di: Gianmarco Pacione

Photo Credits:

@Rise Up Duo

 

 

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