fbpx

Ha ancora senso lo Slam Dunk Contest?

A Cleveland è stato raggiunto il punto più basso nella storia della gara delle schiacciate NBA

Obi Toppin sta sollevando il trofeo di miglior schiacciatore della Lega. Attorno a lui i timidissimi, quasi impercettibili applausi della Rocket Mortgage Fieldhouse di Cleveland.

È sabato notte, è la fine di quello che dovrebbe essere l’evento apicale dell’All Star Saturday. Attorno all’investitura dell’high flyer dei New York Knicks però non c’è elettricità, non c’è parvenza di eccitazione. L’atmosfera è pallida, quasi imbarazzata.

Doveva essere uno spettacolo, doveva essere l’esaltazione della verticalità NBA, doveva essere un piano sequenza dedicato all’arte dell’inchiodata creativa. Doveva essere. Così non è stato.  

Icon Collection Juventus

“Avrei vinto questo Slam Dunk Contest”, twitta poco dopo Paul Pierce. Le parole di ‘The Truth’ sono la pietra tombale sul peggiore Slam Dunk Contest della storia: un lento e monotono flusso di errori macroscopici, di schiacciate ripetute senza speranza, di banali siparietti scaduti in gaffe, di sparute illuminazioni.

Il fallimento di sabato notte è solo l’ultimo capitolo di un appuntamento che negli ultimi anni ha sempre più perso di appeal. Non è semplice, sia chiaro, proseguire una tradizione dorata e monumentale iniziata nel lontano 1984, non è semplice sostenere il peso di una legacy che nel tempo è stata impreziosita e perfezionata da mostri sacri della vertigine.

Dalle estatiche picchiate di ‘His Airness’ Michael Jordan alla temporanea cecità di Cedric Ceballos, dalla potenza di Dominique Wilkins alla ‘Vinsanity’ carteriana, dalla minuscola esplosività di Spud Webb e Nate Robinson all’enorme muscolarità di Dwight Howard e Larry Nance… Nomi, voli che, confrontati con quelli degli ultimi All Star Weekend NBA, risultano di una caratura completamente differente.

La realtà dei fatti è che la fiammella dello Slam Dunk Contest si è progressivamente affievolita, ridestandosi solo grazie all’estemporaneo duello tra Aaron Gordon e Zach LaVine, per poi tornare ad assestarsi sull’irreversibile processo di spegnimento. Le colpe e le motivazioni di questa esponenziale perdita di fascino della fiera dell’inchiodata sono molteplici.

In primis le cosiddette stelle, i grandi nomi della Lega dei sogni, che un tempo nobilitavano l’evento del sabato notte, oggi preferiscono conservare la propria integrità fisica, preferiscono preservarsi, finendo per partecipare allo Slam Dunk Contest come semplici tifosi dalle reazioni forzate o, peggio ancora, dalle espressioni imbarazzate. La loro è una scelta lecita, nulla da dire a riguardo, che però certifica un concetto ormai chiarissimo: essere re delle schiacciate non rappresenta più uno status-symbol, non rappresenta più uno snodo cruciale per certificare l’importanza di una carriera NBA.

In secondo luogo perché, con il passare del tempo e l’avvento dell’era social, sono proliferati i dunker-influencer, ragazzi che della schiacciata hanno fatto la propria ossessione prima, il proprio lavoro poi. Queste figure specializzate hanno monopolizzato l’attenzione degli appassionati, sviscerando il gesto tecnico della schiacciata, evolvendolo e rendendolo uno show di cui poter usufruire quotidianamente con una rapida scrollata di iPhone. Questa banalizzazione dello ‘speciale’ è forse la peggior condanna capitata agli attuali dunker NBA, costretti a risultare brutte copie di funamboli impegnati a dedicare la propria esistenza all’estetica aggressione dei ferri.

Infine l’assenza d’innovazione. Pensare che le Timberland indossate da Cole Anthony siano state la più vivida nota di colore dell’ultimo Contest deve far riflettere. Pare ormai esaurito il bacino di mezzi, oggetti e personaggi da cui attingere (macchine, bende, candele, mascotte, ecc.). E pare ormai definitivamente esaurito il ciclo citazionista, lo sfoggio di jerseys vintage e di schiacciate-omaggio dedicate alle leggende entrate nell’immaginario collettivo.

Icon Collection Juventus

Cosa resta, dunque, dello Slam Dunk Contest NBA? Cosa resta di quell’evento capace di ammaliare milioni di spettatori sparsi in tutto il globo, di tenere sveglie vecchie e nuove generazioni nell’attesa di un capolavoro fisico-cestistico da gustare in diretta? Poco, pochissimo.

Forse solo un cambiamento del format potrà riabilitare la gara delle schiacciate più celebre del mondo. Forse solo un non precisato passo in avanti potrà far tornare la kermesse per eccellenza dell’All Star Saturday agli antichi fasti. Forse. Ai posteri (e ad Adam Silver) l’ardua sentenza.

Related Posts

Subscribe To Our Newsletter

You have Successfully Subscribed!

Share This