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Simon e Fignon: le due facce della sfortuna

Una caduta sui Pirenei e un Tour perso, una vita e un destino crudele. La storia intrecciata dei due ciclisti francesi

Dinoccolato, curvo col nasone affacciato sul manubrio. Pascal Simon a vederlo in sella alla bici era tutto fuorché un principe del pedale. Fu però a suo modo un eroe. Corre il 1983 in un Tour de France dal tono un po’ dimesso per il forfeit di Bernard Hinault, rimasto a casa a curarsi una tendinite che già lo aveva privato del successo tre anni prima, quando il suo ritiro consegnò di fatto la Grande Boucle a Joop Zoetemelk. L’olandese è uno dei favoriti, ma ci va un po’ troppo disinvolto in farmacia e non si smentirà nemmeno stavolta.

Orfana di Hinault, la Renault di Cyrille Guimard punta su un ventiduenne parigino dall’aria intellettuale, Laurent Fignon, che dopo essersi imposto nel Criterium International al debutto tra i professionisti, al secondo anno si è messo in luce alla Tirreno Adriatico e alla Vuelta España. L’altra scommessa, mica poi tanto, che sul tavolo calano i francesi, è Pascal Simon, ventiseienne che viene dall’Aube, nella regione del Grand Est (Champagne-Ardenne). Buon scalatore, a parte un Tour de l’Avenir, non ha vinto molto.

Al Delfinato è andato davvero forte, anche troppo. Lo avrebbe anche vinto, se non l’avessero beccato positivo all’antidoping. Veste la maglia della Peugeot in una sfida automobilistica tutta francese con la Renault di Fignon. Fino ai Pirenei la corsa sonnecchia. Un sussulto italiano: Riccardo Magrini, sì lui Rik Van Magren la voce del ciclismo su Eurosport, vince la settima tappa da Nantes a Olèron. Lo sconquasso avviene nella tappa di Bagneres de Luchon sui Pirenei, dove trionfa lo scozzese Robert Millar, ma Pascal Simon prende a legnate i big della corsa e indossa la maglia gialla.

Fignon è secondo in classifica a 4’22”. Tradotto, Simon ha le mani sul Tour. L’indomani succede però il fattaccio. Pascal cade e si frattura la scapola sinistra: gli applicano una fasciatura rigida e stringendo i denti riesce a rimanere in gruppo. Difficile però, possa proseguire. E invece passano i giorni e miracolosamente resiste, sia pur tra mille sofferenze. I francesi esaltano il suo coraggio e gli si stringono intorno. Zoetemelk, lo hanno cuccato tanto per cambiare con le mani nella marmellata proibita, ed è ricacciato all’ultimo posto della classifica. Simon è in giallo con un margine cospicuo su Fignon, ma è ridotto davvero male, e purtroppo per lui arrivano le salite. La prima è la terribile cronoscalata del Puy de Dome, che si rivela un calvario. Simon va alla deriva ma riesce a conservare la maglia gialla su Fignon per una manciata di secondi.

Quando tutti sono convinti della sua dichiarazione di resa, Simon non molla, rimane in giallo per il sesto giorno a St Etienne e affronta la tappa dell’Alpe d’Huez. Ormai è un eroe nazionale, gli stessi suoi avversari si trovano in palese imbarazzo. Attaccarlo, sembrerebbe un atto di vile crudeltà. Ma il ciclismo è crudeltà, e così la favola del buon Pascal finisce al 95° chilometro dopo aver patito le pene dell’inferno sul Cucheron e il Granier. Si arrende al dolore e il suo sogno svanisce. Laurent Fignon prende la maglia gialla e da nuovo padrone della corsa la porta fino a Parigi.

Sembra di rivivere la storia del 1972, quando Eddy Merckx vinse il Tour del 1971 a seguito della caduta di Luis Ocaña, proprio sui Pirenei. Lo spagnolo vinse la Grande Boucle due anni dopo. Stessa sorte non fu riservata a Pascal Simon, che da quel nefasto 1983 si eclissò letteralmente. Pascal fa oggi il tassista: «Incontro molta gente che mi riconosce e mi chiede di quel Tour di tanti anni fa. Non so che sarebbe successo senza quella caduta. Magari sarei crollato sulle Alpi o nell’ultima cronometro di Digione. Certo, che stavo bene e avevo un gran bel vantaggio. E allora come minimo me la sarei giocata fino in fondo». Laurent Fignon bissò il successo l’anno dopo (con oltre dieci minuti di margine su Bernard Hinault), dopo aver patito da Moser la sconfitta al Giro d’Italia. Raggiunse altissimi traguardi, ma con lui il destino fu assai più crudele, fino a spezzargli la vita a cinquant’anni per un tumore alle vie digestive.

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