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Serse Coppi, il gregario buono

Serse gli donò le ali e Fausto fu l’Airone. La storia di un amore fraterno e di una tragica morte

Era un angelo Serse, lo definisce così anche Lucio Rizzica nel suo “Serse Coppi, l’angelo gregario”, pubblicato da Infinito Edizioni. Era qualcosa in più di un fratello minore, era confidente e porto sicuro, era fedele scudiero e instancabile aiutante. Trovò la morte facendo quello che amava: correre sulle due ruote, correre per sé stesso ma anche, se non soprattutto, per l’adorato Fausto.

“Fausto era serio e schivo, tutto il contrario di Serse, che invece giocava a bocce, fumava e andava a ballare. Aveva i numeri per fare il campione, ma non ha mai fatto la vita del corridore… Quando andavano a caccia, Fausto mirava alle pernici, Serse sparava alle grondaie per spaventare i passeri e poi rideva a crepapelle”

Il cugino Piero Coppi tratteggiava così la figura di Serse.

Nato il 19 marzo 1923 in quella che oggi è Castellania Coppi, ma che all’epoca era semplicemente ‘Castlanìain’, Serse è l’ultimo di cinque fratelli. A separarlo da Fausto sono 4 anni, ma anche dei caratteri diametralmente opposti: ad ogni parola mancata, ad ogni sorriso trattenuto di Fausto, Serse contrappone una battuta, un abbraccio solare.

Sembrano gemelli, similissimi per struttura fisica e lineamenti. Inforcano la bicicletta già in tenera età: Serse emula il fratello maggiore, lo accompagna in quelle lunghe pedalate che, di lì a poco, sarebbero diventate gare ufficiali.

Come Fausto, anche Serse firma con la Bianchi, lo fa nel 1945, a 22 anni.

Il rapporto tra fratelli si trasla nel professionismo: Serse veste alla perfezione i panni del gregario ideale. Pedala in funzione del ‘Campionissimo’ Fausto, lo fa senza farsi sfiorare da sentimenti d’invidia o bramosia personale.

Per Fausto farebbe di tutto, antepone la felicità del fratello maggiore alla propria, o meglio, raggiunge la piena estasi nel vederlo trionfare.

Serse sa di non essere un talento assoluto, ma un ciclista costante e affidabile. Ottiene ottimi risultati come un ventiquattresimo posto nella classifica generale del Giro d’Italia.

Il suo exploit arriva nel 1949, quando conquista l’Inferno del Nord, la Parigi-Roubaix, arrivando primo a pari merito con André Mahé. Una vittoria controversa, confermata solo a distanza di mesi.

Il terzetto di testa, difatti, sbaglia strada a pochi chilometri dall’arrivo, entrando nel Velodromo da un passaggio non previsto. Serse contemporaneamente tira la volata del gruppo e vince, chiedendo e ottenendo la squalifica dei primi tre.

“Da ragazzino vidi una foto che mi rimase stampata nella memoria, come un’icona, e mi rese familiare l’immagine di Serse. Era la foto che lo ritraeva dopo la vittoria nella Parigi-Roubaix del 1949, appena sceso di bicicletta: due occhioni fra l’incredulo e lo spiritato, in un’esplosione di gioia incontenibile”, confidò Felice Gimondi.

Serse supera il concetto di gregario, lo esalta, nobilitandolo come pochi altri. Se Fausto è l’Airone, le ruote di Serse fungono da ali per i suoi voli leggendari. Tra una corsa e l’altra è l’unico con cui lo schivo Fausto può aprirsi, l’unico a cui può rivelare paure, sogni, errori ed emozioni. Serse è amico di tanti, forse di tutti i ragazzi della Bianchi, coraggioso esercito al servizio del gigante Coppi.

“Avevo conosciuto il Serse, un elemento… Era il tipo che veniva alle sera sotto casa mia e gridava a mia madre “Dov’è? Tra mezz’ora siamo qui” così anche se ero già a letto mi alzavo, mi vestivo e lo raggiungevo in strada, una volta rientrammo alle sei di mattina”, disse di lui il compagno Sandrino Carrea.

Le ali di Serse, però, smettono di battere in maniera tragica e inaspettata.

29 giugno 1951, a poco più di un chilometro dal velodromo di Torino, tappa finale del Giro del Piemonte, il minore dei fratelli Coppi infila la ruota in un binario del tram e cade battendo la testa.

Sul momento sembra una scivolata come tante altre, a testimoniarlo è il fatto che Serse conclude la gara normalmente. Dopo aver tagliato il traguardo, a chi gli chiede rassicurazioni sulle sue condizioni, Serse sorride e dice “Mi sento un po’ gibollato”.

Una volta rientrato in hotel ha inizio il rapido calvario: prima una violenta emicrania, poi la perdita di sensi, infine la corsa in ospedale e la drammatica notizia. Colpa di un’emorragia cerebrale, colpa di una sacca di sangue mai arrivata alla clinica Sanatrix. Serse Coppi muore a 28 anni.

“Aveva ragione mamma… Non avremmo mai dovuto correre…”. Fausto davanti alla salma del fratello ripete queste parole. Lo fa all’infinito. Le sue ali erano appena volate via.

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