Sándor Szűcs, il calciatore che morì per amore

Doveva essere il perno difensivo della ‘Grande Ungheria’, sfidò il Regime e venne impiccato a 29 anni
Si può morire per amore? Si può morire sperando in un futuro migliore, distante dal regime Comunista e dai vincoli da esso imposti? Si può morire pur essendo uno dei calciatori più importanti nel proprio Paese? Purtroppo sì. Successe a Sándor Szűcs, impiccato spietatamente a soli 29 anni.

Era l’Ungheria di metà ‘900, Stato soggiogato da Mátyás Rákosi e colleghi. Una nazione parzialmente spogliata della propria identità, entrata nell’orbita del potere staliniano nell’immediato dopoguerra. Anni di completa confusione per il Paese magiaro, vessato dal mostro rosso e dal governo autoritario del rigido Rákosi che, in breve tempo, imprigionò 50mila persone, giustiziandone circa 2mila.
In questo tribolato contesto sociopolitico, germogliavano come fiori nell’asfalto i talenti sopraffini di quella che sarebbe diventata la ‘Squadra d’Oro’ ungherese. Hidegkuti, Czibor, Kocsis, Puskás e tanti altri: una fucina di pittori del pallone dal tratto innovativo e raffinato, inventori di un calcio futuro, quasi incomprensibile per l’epoca.

Una ventata di qualità sopraffina, in mezzo a cui si stagliava un calciatore differente per utilità e ruolo specifico. Sándor Szűcs era un’artista a modo suo. Nato nel novembre 1921, fin da ragazzino si era distinto per la grande prestanza fisica e l’innata capacità di proteggere l’area di rigore. Pochi gol, poche giocate da prima pagina dei quotidiani, tante letture e chiusure eleganti.
Szűcs era il prototipo di difensore perfetto, da molti ritenuto uno dei migliori della storia europea. In breve tempo conquistò la piena titolarità nell’Újpest, gloriosa squadra dell’omonimo quartiere di Budapest. Vinse ripetutamente in patria, in quello che risultava uno dei campionati più competitivi del Vecchio Continente. Si esaltò nel ruolo di guardiano della retroguardia, conquistandosi sul campo i gradi di titolare della Nazionale magiara.
Fuori dal prato verde, invece, conquistò l’amore più fatale. Szűcs durante gli anni di Regime s’innamorò profondamente della meravigliosa cantante Erzsébet ‘Erzsi’ Kovács. Entrambi, però, erano già sposati da tempo.

Szűcs era padre di famiglia, con diversi figli a carico. Ma non solo. Con la trasformazione dell’Újpest in Budapesti Dósza, il centrale difensivo risultava a pieno titolo parte della grande macchina comunista: la ridenominazione della squadra coincideva infatti con l’investitura a rappresentativa della polizia locale.
Voci di corridoio e speculazioni iniziarono a susseguirsi. La situazione divenne presto insostenibile, le due celebrità erano troppo esposte pubblicamente e le loro figure risultarono inevitabilmente compromesse agli occhi del Regime.
La carriera sportiva di Sándor Szűcs si sgretolò in qualche mese. Nel marzo 1951 si vide estromesso definitivamente dalla Nazionale, nonostante l’incredibile importanza rivestita nello scacchiere dell’allenatore Sebes. Un addio forzato e incontrovertibile a soli 29 anni, nel pieno della propria maturità fisica e calcistica.

Davanti ai controlli sempre più pressanti, alle critiche pubbliche e alla paventata possibilità d’incarcerazione, l’unica soluzione per Szűcs e l’amata Erzsébet divenne la fuga verso l’Occidente. Prepararono un piano affidandosi ad alcuni conoscenti, un’odissea segreta che li avrebbe condotti in Jugoslavia prima, in Italia poi.
La coppia si fidò inavvertitamente delle persone sbagliate. Fu la stessa polizia segreta del Regime, l’AHV, a stabilire luoghi e modalità di fuga, circuendo gli inermi innamorati e conducendoli esattamente nelle mani della legge. I due vennero fermati poco prima di oltrepassare il confine, Szűcs venne trovato con una pistola addosso, aggravante appositamente inserita nel piano dagli uomini del Governo.
Szűcs e la Kovács trascorsero giorni all’interno della cosiddetta ‘Casa del Terrore’, luogo di torture e violenze utilizzato già dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. In un processo rapidissimo, la giovane star musicale crollò, ammettendo le sue colpe e venendo condannata a 4 anni di prigione.
L’ex difensore della Nazionale ungherese, invece, proclamò la propria innocenza, sorretto dalle dichiarazioni dei suoi tanti amici di campo. Puskás e compagni chiesero a gran voce la grazia, ma ottennero l’esatto opposto.

Accecati dal desiderio di una condanna esemplare, che potesse segnare indelebilmente il popolo magiaro, i funzionari del Regime optarono per la pena capitale mediante impiccagione: la reazione al tradimento non prevedeva vie di mezzo per l’oscuro governo di Rákosi.
A poco meno di 30 anni Sándor Szűcs venne impiccato nel cortile della ‘Casa del Terrore’. In Ungheria si levò un silente grido di dolore e commozione pubblica. Il Regime era riuscito a sconfiggere un giovane martire e, con esso, il libero amore.
Gianmarco Pacione
Sources & Credits
10 novembre 2020
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