Roberto Durán, le mani come pietra

Il pugile uscito da ‘El Chorrillo’, dal peggior barrio di Panamá, per conquistare il mondo
È un posto da evitare, El Chorrillo. Nella provincia di Panamá, nella città più riconosciuta dell’omonima nazione, El Chorrillo è una sorta di palude di logoro calcestruzzo, un ecosistema architettonico e sociale a sé stante, uno scolorito arcobaleno di amianto e fatiscenza.
È un posto da evitare, El Chorrillo. Zona franca per pandillas e narcotraffico, alveare sovrappopolato, quartiere brutalizzato nel 1989 dai fucili americani, durante la cosiddetta Operazione Giusta Causa, invasione militare volta a deporre il dittatore Manuel Noriega.
È un posto da evitare, questo girone infernale incastonato nel paradiso panamense, se non fosse per una stanca casa popolare, per una grigia gittata verticale di cemento. Un palazzo-formichiera ribattezzato ‘Casa de Piedras’, l’inospitale culla che diede un nome proprio a due mani, le mani di Roberto Durán. Le ‘Manos de Piedra’.

A EL CHORRILLO TUTTO È FAMIGLIA, TUTTO É BOXE
“El Chorrillo, il luogo in cui sono nato e cresciuto. Il luogo che mi ha forgiato. Il barrio più duro e più noto di tutto il Paese. Sono nato in questo quartiere. Questo è il mio quartiere. Siamo tutti una famiglia, qui”
Prima delle cinture mondiali in quattro categorie di peso, prima di Sugar Ray Leonard e del celebre ‘No Más’, prima di Sylvester Stallone e Rocky II. Prima di un racconto già troppe volte narrato. Prima di tutto questo, Roberto Durán nasceva nel giugno 1951 per trovarsi, pochissime estati dopo, a lustrare scarpe e consegnare giornali, a tenere la guardia alta fronteggiando vita e povertà.
“Sono un figlio della strada. I miei vicini erano criminali, prostitute e assassini. Non ho mai superato la terza elementare. So cosa significhi la povertà, perché la mia infanzia è stata una merda. Ma sono sopravvissuto. I campioni della boxe non vengono mai da contesti agiati. Escono dal barrio, dalle fogne. È la legge di Dio”
È la legge di Dio. Una legge che ‘El Cholo’ Durán apprendeva sotto le fioche illuminazioni della Neco de La Guardia Gym, incidendo sacchi e sparring partner con i suoi diretti granitici; un dettame che gli veniva inculcato da parenti avvezzi all’alcol e alla violenza, da una linea genealogica strettamente legata al furore, alla veemenza, all’accettata brutalità.

“Zio rompeva le noci di cocco con un pugno, nonna finì in gabbia per aver steso il sindaco di Guarare, la città natale di mia madre. La notte in cui nacqui, andò al bar a cercare nonno, che stava con una ‘puta’, e lo sdraiò con un destro. Il mio bisnonno, con la testa aperta in due da un machete, strisciò fino alla sua fattoria prima di morire. Io una volta ho mandato ko un cavallo con un pugno. Ero ad una fiesta, qualcuno aveva scommesso una bottiglia di whisky. Siamo fatti così, il dolore non c’impressiona”
Apparenti leggende popolari, fatti reali e accertati. Alimentato da questo vortice di aggressività collettiva, plasmato dalla banalità della durezza, Roberto Durán accolse ogni stilla di ferocia, incanalandola nelle proprie mani, nel proprio mento, ed esordendo appena sedicenne nel circuito professionistico.

IL SANGUE, IL CORAZÓN, LA BOXE
“Nel ring c’è un animale dentro di me. A volte ruggisce quando suona la prima campana, altre volte esce fuori durante il match. Ma lo posso sentire sempre lì, mi guida, mi spinge. È ciò che mi fa vincere, è ciò che mi fa amare la boxe”
La nobile arte interpretata da Durán era l’espressione sportiva di ruvidezza e sofferenza, di genetica e solidità. Nella costante tendenza alla rissa da strada, il più celebre dei panamensi riusciva a tratteggiare un’estetica abbacinante, un’eleganza atipica, una forma di guerra danzata, ipnotica.
Sul ring, Durán dava l’impressione di poter morire, quasi di volerlo fare, pur di raggiungere l’estasi della vittoria. Ecco perché quel ‘No Más’ ancora oggi resta scolpito nella memoria collettiva: urlo inspiegabile e mai completamente spiegato, diniego a quel dolore che sempre aveva abbracciato, avanzando passo dopo passo.
“Combatti per non morire. La boxe è soprattutto questo, può anche umiliarti. Devi avere il ‘corazón’. Se non vi piace, evitatela”
Sugar Ray Leonard, al termine della carriera, raccontò di non avere mai incassato colpi tanto potenti quanto quelli riversati su di lui dalle ‘Manos de Pedra’. Disse che ogni fendente a segno di Durán equivaleva ad un mattone lanciato sul suo viso, sul suo corpo. Lo definì un posseduto, un demone.
Un demone che sempre ha parlato della boxe come di un fatto di sangue, da vivere ululando, con la bava alla bocca. Gli stessi ululati, la stessa bava che solo un perro uscito da El Chorrillo avrebbe potuto riprodurre dentro le quattro corde. Match dopo match. Titolo dopo titolo. Pietra dopo pietra.
“Io sono nato per essere un campione del mondo”


Gianmarco Pacione
Sources & Credits
Photos sources: https://wallpapercave.com/roberto-duran-phone-wallpapershttps://lomejordelboxeo.com/roberto-duran-3/https://twitter.com/robertoduranbox/status/986267573489688577?lang=bnhttps://www.bbc.com/mundo/deportes-48222693https://mobile.twitter.com/robertoduranbox/status/1306237535719485440https://panatimes.com/roberto-duran-beats-coronavirus-released-from-hospital
Related Posts

Più di una maglia, Le Coq Sportif x Italia ’82
Le Coq omaggia con una capsule collection l’anniversario della più celebre maglia Azzurra e la propria elegante storia calcistica

Pete Maravich, un mago chiamato ‘Pistol’
Le Coq omaggia con una capsule collection l’anniversario della più celebre maglia Azzurra e la propria elegante storia calcistica

Nino Benvenuti, il campione del popolo
L’esule che grazie al pugilato è salito sul tetto del mondo

Fred Perry, storia di un tennista rivoluzionario
Il ping-pong, le conquiste sociali, Wimbledon, la polo

Un toro scatenato sul ring, Jake LaMotta
L’uomo che ispirò Scorsese e De Niro

Ottavio Bottecchia, di ciclismo e morte, di nulla e tutto
Il muratore veneto che conquistò il Tour de France e la leggenda per poi morire misteriosamente

Edwin Moses, gli ostacoli come forma d’arte
L’ostacolista che non riusciva a perdere

Suzanne Lenglen secondo Henri Lartigue
Il rapporto tra l’inventore della fotografia sportiva e la ‘Divina’ del tennis

Lucien Laurent, il primo gol Mondiale
La prima rete Mondiale

Víctor Pecci, il playboy del tennis
Il tennista che mise paura a Björn Borg