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René Lacoste, il ‘Coccodrillo’ che cambiò il tennis

Campione, inventore, imprenditore. L’affascinante vita di René Lacoste: un viaggio tra genio ed eleganza

“Inventore! Se dovessi far incidere una descrizione sul mio biglietto da visita sarebbe questa. Ho inventato per tutta la mia vita”

Descrivere René Lacoste equivale a descrivere il genio. Il genio umano, l’estro multiforme, la costante intuizione che conduce alla novità, al cambiamento, alla storia.

Descrivere René Lacoste equivale a descrivere uno dei migliori tennisti di ogni epoca. Prima di polo e coccodrilli, prima di moda e colossi imprenditoriali.

Prima. Prima della fama eterna, per un giovane dal naso lungo e affusolato, per un ‘fils’ della Parigi bene, ci fu solo il rintocco della pallina su una parete. Ci fu solo l’instancabile monologo della passione. 

C’EST DU TENNIS. LA NUOVA ERA DEL TENNIS, L’ERA LACOSTE

Fu un colpo di fulmine, quello per l’arcaico attrezzo in legno maneggiato da Jean-Alida, la sorella maggiore, fu un’istantanea suggestione per l’appena adolescente René, un primo contatto destinato a segnare l’intero fluire di una vita, di una disciplina sportiva.

Il padre dei due, facoltoso co-proprietario della Hispano-Suiza, notissima azienda automobilistica ispano-francese del primo ‘900,  chiese al giovane figlio di provare ad essere grande con la racchetta in mano, in caso contrario, allo scoccare della maggiore età, René avrebbe abbandonato l’infatuazione ludica per dedicarsi a studi e carriera lavorativa.

Il patto venne stretto, il patto venne rispettato, con il conseguimento di 7 Masters e 2 coppe Davis prima dei 25 anni d’età.

Non era talentuoso, Lacoste, “non colpisce forte”, dicevano primitive cronache d’oltralpe descrivendo i suoi esordi. Decise di forgiare il suo stile di gioco sull’intelligenza tattica, sullo studio maniacale dell’avversario, sull’utilizzo geometrico e spaziale del campo, più di tutto sulla solerzia.

Citando una sua frase riportata nel libro ‘500 anni di Tennis’: “Per vincere, mi servono soprattutto due cose che ciascuno può procurarsi: una collezione completa di libri sul tennis, e un muro in cemento, che logoro a forza di giocarci, e devo far intonacare ogni anno”.

Quello di Lacoste fu un approccio scientifico al gioco, un avveniristico pamphlet tennistico, composto pomeriggio dopo pomeriggio, dove infiniti e religiosi scambi alla facciata di casa si mescolarono all’acuta osservazione degli angoli, alla sapiente alternanza degli spin, all’assimilazione dello stile altrui per creare qualcosa di proprio.

Giocare contro René Lacoste divenne una sorta di incubo per i tennisti del tempo, una sfida contro la propria psiche, contro i propri limiti fisici, testati da ore d’insostenibili palleggi. Il parigino venne dipinto come una parete insormontabile, un uomo-sponda impossibile da scalfire e in grado di rispedire al mittente ogni pallina.

Scriveva la penna di Gianni Clerici: “Lacoste fu il suo stesso allenatore. Un allenatore raffinatissimo, severo sino alla crudeltà, addirittura maniaco”. 

Parole che si aggiunsero a quelle del suo più grande rivale, lo statunitense Bill Tilden: “Nella perfezione dei suoi colpi è una macchina… Ma, più di questo, egli è un affascinante e colto gentleman”. 

LES QUATRE MOSQUETAIRES, I QUATTRO MOSCHETTIERI E LA COPPA DAVIS

Se Alexandre Dumas fosse vissuto nella Francia degli anni ’20 avrebbe lasciato perdere lame affilate, lettere di raccomandazione e numeri perfetti, avrebbe preferito loro i duelli sotto rete di quattro artisti della racchetta.

Così diversi, così complementari. René Lacoste si aggiunse a ‘Toto’ Brugnon, Henri Cochet e Jean Borotra in quello che mai ha smesso di essere il quartetto per eccellenza della moderna pallacorda. Un gruppo fondante per il movimento nazionale e internazionale, un collettivo in grado di fermare l’egemonico dominio statunitense di Bill Tilden e soci.

“Le mie vittorie, la mia gloria e quella degli altri moschettieri non davano ricchezza. Non portavamo insegne pubblicitarie, non c’era una girandola di milioni alle nostre spalle. A noi bastava vincere, un buon rovescio, un buon dritto, una finta, uno scatto veloce verso la rete e l’avversario cavallerescamente battuto”, e cavallerescamente i ‘Quattro Moschettieri’ si presero il mondo.

Lo fecero nel 1927, quando dominarono l’onnivoro mostro statunitense sul suolo nemico, trovando, al ritorno nel Vecchio Continente, un Paese in festa pronto ad accoglierli. In onore dei Moschettieri le istituzioni decisero di costruire lo Stade Roland Garros: gioiello architettonico innalzato in meno di un anno per permettere al quartetto dorato di difendere il titolo in una colorata bomboniera di “Allez!” e raffinati battimani.

Per raggiungere la gloria, i quattro maestri francesi seguirono i consigli di René Lacoste, le parole del più giovane e garbato tra loro. Assecondarono le sue volontà tattiche, i cervellotici accorgimenti per limitare l’onnipotenza di Bill Tilden, per sfiancare le resistenze del superuomo di Philadelphia, vincitore di 138 titoli in carriera.

“Tilden non avrebbe potuto essere battuto da un solo giocatore, fu battuto da una squadra”, affermava titolo acquisito lo stesso Lacoste.

Si forgiò così una squadra sospinta dalla mente di un tennista rivoluzionario, esemplare tanto nella modestia, quanto nel sacrificio. Qualità che il 2 volte campione di Wimbledon e US Open mise in mostra nei modi più disparati.

Brugnon, Cochet e Borotra lo ascoltarono palleggiare intere notti nella solitudine delle stanze d’albergo, familiarizzarono con l’improvviso suono di lampadari rotti, addirittura i tre assistettero ai tentativi di Lacoste di allenare il proprio servizio a bordo di un transatlantico. Aneddoti d’altri tempi, aneddoti d’altri campioni.

LE CROCODILE, UN COCCODRILLO È PER SEMPRE

“Il soprannome mi venne dato dai miei compagni di squadra. A Boston, dove ci trovavamo per affrontare l’ Australia in una semifinale di Coppa Davis, mi accadeva ogni giorno di passare di fronte ad un negozio chic, che esponeva una borsa in pelle di coccodrillo, adatta a contenere le mie racchette. La mia ammirazione per la borsa suscitò il divertimento generale, tanto che Pierre Gillou, il nostro capitano, mi promise che, se avessi vinto i miei due singolari, me l’ avrebbe regalata. L’immagine del coccodrillo divenne un simbolo fortunato, tanto che lo feci ricamare sui blazer bianchi da tennis e, in seguito, sulle camicette”, Lacoste raccontò con queste parole a Gianni Clerici la genesi del proprio, inconfondibile, soprannome.

In realtà il parigino perse le due partite e non ebbe mai in premio la borsa in pelle desiderata. La storia, però, trovò subito rilievo sui media americani, che nei giorni seguenti dedicarono titoli alla sconfitta dell’Alligatore francese.

Ad un oceano di distanza l’alligatore divenne coccodrillo, ‘Le Crocodile’, per l’esattezza, termine mal tradotto dalla stampa francese. Nacque da questa incomprensione linguistica la leggenda dell’unico rettile del tennis.

Un appellativo che si confece perfettamente allo stile di gioco lacostiano: predatore immobile solo all’apparenza, squamato assassino della rete mosso da una calma apparente, da un oculato senso della posizione, dalla consapevolezza dell’attacco razionale.

Infagottato in lunghi e pesanti blazer bianchi, Lacoste rivoluzionò il vestiario dei suoi colleghi, tagliando maniche prima, utilizzando polo poi. Una decisione istantanea, maturata nell’estate del ’27, quando per affrontare la calura d’agosto di Forest Hills, Lacoste disegnò e mandò in produzione una polo in cotone.

Fece la storia quell’outfit atipico, marchiato da un grande coccodrillo appuntato sul cuore. Eleganza e successo fecero il resto, spingendo prima amici e conoscenti, poi atleti di ogni latitudine ad omaggiare l’estetica di monsieur le crocodile.

Quelli che in principio furono semplici doni ad affascinati colleghi, si tramutarono presto in archetipiche linee d’abbigliamento sportivo.

In ogni polo confezionata, Lacoste decise di lasciare l’immagine-manifesto del coccodrillo: in pochi, pochissimi, la tagliarono, in molti, moltissimi, cominciarono a mostrarla con deferenza, fierezza.

Prodotti che divennero raffinate pubblicità autoreferenziali, spargendosi a macchia d’olio in tutto il circuito delle racchette. Prodotti che diedero il là alla formazione di uno dei più imponenti colossi dell’outerwear globale.

LE GENIÉ. UN GENIO SENZA TEMPO

Descrivere René Lacoste è descrivere l’intuizione che non si ferma agli anni ’30 ma che, anzi, evolve esponenzialmente contagiando il nuovo millennio.

Perché descrivere René Lacoste equivale a descrivere un atleta sublime, costretto a smettere poco meno che 30enne, giunto all’apice del suo tennis, per una forma di tubercolosi; è descrivere un uomo che non si piegò alla malattia, diventando allenatore e trasponendo la propria attitudine visionaria nell’arcaico mondo del fashion da terra rossa.

Descrivere René Lacoste è descrivere l’illuminato che propose i primi prototipi di racchetta in metallo, l’eretico che fece dimenticare il legno a Jimmy Connors e compagni, regalando l’ennesima invenzione all’amato tennis; è descrivere l’elegante campione celato dietro i milioni di piccoli rettili presenti nella nostra quotidianità, dietro i colorati polsini abbracciati a Nole Djokovic e all’intero tennis contemporaneo.

Descrivere René Lacoste è descrivere ‘Le Crocodile’, è descrivere un genio senza tempo.

Gianmarco Pacione

Sources & Credits

 

 

Photos sources:
https://www.pinterest.com/pin/198791771024064753/
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5b/Rene_Lacoste_1922.jpg
https://www.pinterest.com/pin/334040497331955127/
https://sco.wikipedia.org/wiki/Jimmy_Connors
https://unfoldtimes.com/you-want-to-talk-french-tennis-start-with-the-four-musketeers/
https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Ftwitter.com%2Flacoste%2Fstatus%2F951413863441944576%3Flang%3Dda&psig=AOvVaw1OrHmuhUD4HZA5MADY6jV4&ust=1606299872726000&source=images&cd=vfe&ved=0CAIQjRxqFwoTCJCG37z7mu0CFQAAAAAdAAAAABAG
Video sources: https://www.youtube.com/watch?v=ua1vBhNno1Q

25 novembre 2020

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