Rafa Nadal è il ‘Re del Tempo’

35 anni, 21 Slam: Nadal è sinonimo di eternità
“Negli ultimi sei mesi ho lottato, ho dato tutto, ci ho creduto dopo aver rischiato di non giocare più. Rispetto al primo Slam, forse sono addirittura più felice. Perché quando vinci a 19 anni vivi una grande emozione, ma in fondo sai che continuando a lavorare potrai avere altre chance. Quando arrivi alla soglia dei 36, non sai mai quale sarà la tua ultima occasione. Per questo, vincere ha un sapore speciale”

L’hanno definita Cappella Sistina, è stata la 21esima opera d’arte di Rafael Nadal Parera, è stato un vigoroso affresco dipinto di robustezza mentale e desiderio, di autoimposto eroismo e pura magia tennistica. Una visione iberica, una dimostrazione di bramata onnipotenza erculea e machiavellica, di orgoglioso sovvertimento delle previsioni, di energia residuale trasformata in perfezione esecutiva.
In fondo Rafa Nadal è proprio questo. La Rod Laver Arena di Melbourne non ha fatto altro che racchiudere in unico, emozionante atto l’intera parabola mancina del classe ’86: una carriera inondata di ‘Vamos’ e fatica estrema, di perfezionamento costante e maniacale, di dritti uncinanti e fascette sudate, d’indomita resistenza al logorio fisico, al logorio degli anni, al logorio della vittoria.

Il match contro Daniil Medvedev è parso un compendio, un manifesto di quello che da oggi, come giustamente scritto sulla Gazzetta dello Sport da Riccardo Crivelli, non può che essere ritenuto un tennista eterno: eterno per i 90 titoli ATP, le 5 Coppe Davis, le 209 settimane vissute da numero uno al mondo, i 2 ori olimpici e, da poche ore, i 21 Slam vinti, cifra che gli permette di staccare Roger Federer e Novak Djokovic. Eterno per la capacità d’incidere sull’altro.
Perché Rafa Nadal è epitome di abnegazione, di vocazione sportiva totalizzante, monacale, di un’esistenza che come unico centro gravitazionale ha sempre e solo visto la racchetta impugnata. Perché Rafa Nadal è esempio di correttezza nei confronti di sé stesso, del proprio corpo, della propria mentalità e dell’avversario, come dimostrato anche durante la finale di ieri, davanti al poco educato pubblico australiano. Perché da Rafa Nadal bisogna attingere anche, se non soprattutto, in ambito sociale.

Nella calda serata oceanica il genio maiorchino ha sconfitto ben più del suo robotico rivale russo. Ha servito contro l’operazione al piede di pochi mesi fa, è sceso a rete cancellando il seguente periodo d’inattività obbligata causa Covid, ha scambiato contro il più temuto e impassibile degli avversari, il tempo, uscendone con i pugni chiusi, stesi verso il cielo.
La remuntada di ieri diventa di diritto l’opera maestra di colui che nacque ‘Nino’ di Manacor nel lontano Roland Garros 2005 e che ora, diciassette anni dopo la sua prima coppa Slam, si trova a sollevare la ventunesima sorella, quella dell’immortalità.
Rafa Nadal ormai non è più il ‘Re della Terra Rossa’, è il ‘Re del Tempo’, un tempo che speriamo possa durare ancora a lungo.

Credits
Testo di Gianmarco Pacione
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