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Atleta, stilista, Missoni

La corsa, le Olimpiadi, poi la moda: Ottavio Missoni, uno sportivo speciale

Un atleta prestato al mondo della moda. O meglio, un genio del made in Italy divenuto tale grazie all’impegno sportivo. Un gioco ad incastri complesso la vita di Ottavio Missoni, dove la funzione di minimo denominatore comune è stata sempre occupata da una passione, da un potente veicolo sociale e culturale: l’atletica. Nato a Ragusa, in Dalmazia, nel 1921, i 186 centimetri accompagnati dalle lunghe e dinamiche leve, conducono presto Missoni a scendere in pista, focalizzandosi sui 400 metri. Nel Guf Damata Zara apprende l’arte della velocità, risultando immediatamente un talento cristallino. 48″8 a 16 anni, 47’’8 a 18. Missoni 400ista è una realtà italiana, europea: solo a distanza di decenni gli verrà comunicato lo status di primatista juniores continentale (statistica che a fine anni ’30 risultava irrilevante).

In concomitanza con lo scoppio della II Guerra Mondiale, il giovane dalmata decide di virare sui 400 ostacoli. A Torino, nel 1941, chiude con uno strepitoso 53’’3. Poi, all’apice della maturazione fisica, cade nell’oblio del dramma bellico. Le piste vengono rapidamente sostituite dalla sabbia della Campagna d’Africa. Missoni viene sorpreso dagli inglesi a El Alamein e per quattro lunghissimi anni resta sospeso nella condizione di prigioniero.

Il ritorno in Italia lo vede debilitato, inattivo da molto tempo e distantissimo dalle condizioni atletiche ideali. “Niente caffè, niente latte, niente birra”: in poco tempo, basandosi su un mantra salutista, Missoni ritorna l’atleta abbacinante che aveva fatto brillare gli occhi al popolo italiano.

Arriva alle Olimpiadi di Londra con un personale di 53’’1, migliore della sua carriera. Nella capitale inglese supera gli ostacoli con grazia, imponendosi un ritmo di 15 passi: nella finalissima taglia il traguardo al sesto posto. Poco dopo l’esperienza a cinque cerchi decide di smettere. Il motivo? Un progetto tessile che lo porterà a cambiare l’universo della moda.

Già, perché a pochi passi da Buckingham Palace il velocista Azzurro incontra l’amore, incontra Rosita Jelmini, la donna con cui innoverà il panorama fashion globale. Una coincidenza che segna indelebilmente il destino di Missoni, una coincidenza che era stata anticipata da un altro singolare e profetico evento. Nei primissimi anni ’40, prima di fronteggiare il demone bellico, Missoni è di stanza a Milano, dove insegue il sogno della gloria sportiva. Il ct della Nazionale Giorgio Oberwergerer, superbo lanciatore del peso e triestino a sua volta trapiantato all’ombra del Duomo, gli accenna di un’attività tessile familiare. Missoni diventa socio, dando vita all’azienda Venjulia: realtà specializzata in maglieria sportiva d’alto livello, pioniera nella creazione di tute in lana con chiusure lampo. La Venjulia di Missoni produce divise anche per alcune squadre Azzurre, come quelle di calcio, pallacanestro e atletica. A questa realtà triestina viene fatta risalire l’invenzione dell’azzurro ‘Olimpic’, colore che ancora oggi osserviamo su tutte le divise delle nostre rappresentative tricolori.
Destino, dunque. Destino che la velocità su pista si legasse a quella delle macchine da cucire, destino che corsa e ostacoli fossero solo un capitolo, un prologo del romanzo umano di un visionario. Una figura mitica che sarebbe passata alla storia per le sfilate happening, per concetti come lo zigzagging, il ‘put together’, il patchwork e per l’elevazione di Milano a città della moda. Ottavio Missoni è morto nel maggio 2013, a 92 anni. Superata la soglia dei 50 aveva ripreso la sua attività sportiva, ottenendo svariati titoli italiani ed europei nella categoria master. Nel 2010, quasi novantenne, ha vinto la medaglia d’oro continentale nel lancio del giavellotto e quella d’argento nel lancio del peso. Un campione, un genio, un atleta speciale. Dagli albori agli ultimi giorni.

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