Ondina Valla, il sole in un sorriso

Fu la prima italiana a vincere un oro olimpico. Fu donna moderna e tenace in un mondo maschilista e arcaico
Trebisonda era fascino esotico e magia, era sogno e bellezza distante. Una città turca dall’aura leggendaria, dal sapore favolistico. Prese il suo nome la piccola Trebisonda Valla, nata a Bologna il 20 maggio 1916.
Il popolo la chiamò presto Ondina, vittima di un giornalista storpiatore e, inconsapevolmente, creatore di uno pseudonimo che sarebbe passato alla storia.

Ondina Valla non visse per essere una semplice madre. Crebbe saltando e correndo all’ombra di portici e torri, destinata a cambiare per sempre lo sport femminile italiano. Ci riuscì gradualmente prima, indelebilmente poi.
Il suo grande palco furono le Olimpiadi di Berlino ’36, tripudio nazionalsocialista apparecchiato alla perfezione dalla macchina hitleriana.
Ondina si presentò alla manifestazione uncinata appena ventenne, principessa dell’atletica italiana ormai da svariati anni.
Poliedrica, sorridente, meravigliosamente efficace.

Già tredicenne, Ondina brillava di luce propria, eccellendo nelle più svariate discipline: velocità, ostacoli, salti… Nulla era precluso al suo corpo filiforme e vigoroso, al suo portamento elegante e radioso.
La partecipazione della Valla, a dire il vero, era prevista anche in occasione di Los Angeles 1932. In quel caso si oppose il Vaticano, che storse il naso di fronte al ‘pericoloso e sconveniente’ viaggio che avrebbe affrontato una sedicenne atleta in una spedizione completamente maschile.
“Avrei dovuto partecipare anche all’Olimpiade precedente, quella del 1932 a Los Angeles. Ma sarei stata l’unica donna della squadra di atletica e così mi dissero che avrei creato dei problemi su una nave piena di uomini. La realtà è che il Vaticano era decisamente contrario allo sport femminile”
Contrario era, in principio, anche il regime fascista, visceralmente legato all’immagine di donna-genitrice, di femminilità votata unicamente al focolare domestico.
Mussolini, però, fu costretto a rinnegare, o meglio, a rimodulare principi e ideali pregressi di fronte alla potenza muscolare della giovane bolognese, eleggendola a icona del regime, a dea della razza italica.

Grazie alle gambe del ‘Sole in un sorriso’, così chiamata dalla macchina propagandistica mussoliniana, mutò diametralmente la percezione dello sport femminile nel Bel Paese.
Una nobilitazione imprevedibile, che raggiunse il suo apice sulla pista che vide Jesse Owens diventare leggenda.
Il 6 agosto 1936, dopo aver segnato il primato mondiale nella semifinale degli 80 metri ostacoli, con uno strepitoso 11’’6’, Ondina Valla acciuffò l’oro olimpico al fotofinish, con soli 61 centesimi di vantaggio sulla padrona di casa Anni Steuer.
La ragazza che fu Trebisonda risultò così, grazie alle potenti e incisive falcate, essere la prima italiana a raggiungere un oro nel paradiso a cinque cerchi.
Quel pomeriggio di agosto aveva solo 20 anni e 78 giorni.
Venne ricevuta in pompa magna a Piazza Venezia, da un Duce tronfio, onorato di poter premiare un’eccellenza italiana.
Alla bolognese venne riconosciuta una medaglia d’oro al valore sportivo, ricevette anche una foto della Regina Elena: immagine timbrata dal solo nome della sovrana, omaggio raro e significativo.
Grazie al trionfo di Ondina, milioni di ragazze italiane poterono sperare in una quotidianità diversa, trovarono speranza nello sforzo fisico, nel sacrificio atletico. Ondina segnò indelebilmente un tempo presente e futuro, infrangendo schemi e pregiudizi di una società e di un regime maschilista per definizione.
Dopo la vetta tedesca si tolse altre soddisfazioni, vincendo un oro europeo, 7 titoli italiani di salto in lungo e arrivando a stabilire il record nazionale di salto in alto: 156 centimetri rimasti immacolati fino a Paola Paternoster.
Rallentò la sua attività per una spondilosi vertebrale, causa di continue fitte alla schiena. Nonostante questo, trovò ancora successo in patria nel lancio del peso e del disco.

I suoi duelli con Claudia Testoni, storica amica-rivale, presero forma nelle più svariate specialità, arrivando a lambire anche il pentathlon: testa a testa rispettosi e cordiali, strepitosi manifesti di potenza a tinte rosa.
Dopo aver abbandonato le piste, Ondina Valla si trasferì in Abruzzo insieme al marito medico Guglielmo De Lucchi. Nell’appenninica L’Aquila trovò casa fino all’ottobre 2006, quando morì 90enne.
Ondina Valla, nata Trebisonda, aveva esaudito il sogno di suo padre: l’aura leggendaria, la magia di quella città orientale che tanto l’aveva ispirato, si era pienamente sprigionata nel corpo della figlia, nella sua forza di volontà, nelle sue vittorie sociali, nel suo sorriso destinato all’immortalità.
Gianmarco Pacione
Sources & Credits
8 marzo 2021
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