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Nuno Espírito Santo: il filosofo portoghese

In Premier l’uomo del momento è un manager dalla barba lunga e dalle idee progressiste

Matteo Fontana

17 ottobre 2019

L’uomo del momento in Premier League? Sarebbe facile e scontato dire Jürgen Klopp, dall’alto della marcia trionfale del suo Liverpool. Macchè, il nome giusto è quello di Nuno Espírito Santo, manager del Wolverhampton. Due domeniche fa, nell’ultimo turno prima della sosta per gli impegni delle nazionali, i Lupi hanno vinto per 2-0 a Manchester con il City. Una lezione per Pep Guardiola, impartita da quest’allenatore con la barba da profeta biblico, con idee di calcio progressiste e innovative. Alla faccia di chi l’ha voluto dipingere come un raccomandato, essendo assistito da sempre – già  da giocatore: era un portiere – da Jorge Mendes, il super-procuratore, portoghese come lui, che con la sua agenzia, la Gestifute, domina la scena del pallone globale, rappresentante, tra gli altri, di Cristiano Ronaldo e di José Mourinho (a proposito di tecnici che erano portieri). Lasciate perdere le chiacchiere, badate al sodo e ai fatti: Espírito Santo è un visionario e lassù, dove il profilo industriale delle West Midlands incrocia il cuore dell’Inghilterra, l’hanno capito presto.

A Guardiola risulta indigesto, il gioco di Espírito Santo. Ci ha vinto solamente una volta, in quattro partite disputate tra il Manchester City e i Wolves. Così, dopo l’ultima sconfitta, ha detto, parlando con Sky: “Difendono. Giocano palle lunghe e difendono ancora poi vanno in contropiede. Si tratta di una squadra fisica, forte, insomma, sappiamo quanto sono bravi. Conosciamo le loro qualità  e sapevamo che avrebbero segnato. Non eravamo organizzati, perdevamo palloni in posizioni del campo in cui non avremmo dovuto perderli”. Il libro delle lamentazioni di Pep è qualcosa di insolito per un allenatore come il catalano, uno che ha collezionato trofei urbi et orbi e che dal proprio dna ha cancellato un concetto: perdere. Espí­rito Santo gliene ha ricordato il significato, in chiusura a un settimana trionfale per il Wolverhampton, che il giovedì precedente, allo scadere del recupero, aveva infilato il gol della vittoria a Istanbul con il Besiktas, in Europa League. Una splendida abitudine, per il tecnico, che con la forza delle convinzioni che porta avanti ha restituito a un club storico come quello oronero risultati che sembravano lontani anni luce. Tutto questo, dopo che i Wolves erano andati incontro a un malinconico declino, scivolando persino in League One, la terza divisione, categoria in cui non si trovavano dal 1989. Recuperato il posto in Championship, la svolta è avvenuta nel 2016, e qui entriamo nell’ambito del business che accompagna (e spesso comanda) il calcio. Mendes intravede nel Wolverhampton l’occasione per sviluppare un affare vantaggioso, riesce a far entrare nella proprietà  il fondo cinese Fosun, tra l’altro socio di minoranza della GestiFute. In questo modo, Mendes entra in maniera attiva sul mercato inglese, facendo dei Wolves la destinazione standard per i suoi assistiti. Dopo una stagione di rodaggio, e insoddisfacente, l’imprinting di Mendes si fa ancora più marcato. Ed è a questo punto che arriva Espí­rito Santo.

Quando era portiere ha sempre giocato poco. Da allenatore, la sua prospettiva è differente: “Sedere in panchina per la maggior parte del tempo mi ha dato nuove prospettive, mi ha permesso di vedere il gioco e lo spazio in modo diverso e mi ha aiutato nell’intendere il gioco come faccio ora”, spiegherà, nei giorni in cui il suo Wolverhampton travolge la Championship tra gol, spettacolo e punti. In totale, saranno 99, con 30 vittorie, 9 pareggi e 7 sconfitte. Un monologo. Non finisce qui, perchè, approdato in Premier, Espírito Santo non smette di stupire. Sfiora la finale di FA Cup, superato in rimonta dal Watford (che poi sarà annientato dal Manchester City, per parlare di nuovo di Guardiola), in campionato è settimo e clamorosamente qualificato ai preliminari di Europa League, con l’accesso alla competizione messo al sicuro in estate, eliminando, nel turno finale, il Torino, sconfitto all’andata e al ritorno. Adesso, ecco che i Lupi, che qualcuno già dava per finiti dopo un avvio nella Premier 2019-2020 zoppicante, sono ripartiti più forte di prima. E c’è chi si azzarda ancora a sostenere che Espírito Santo sia un bluff, una marionetta di Mendes? Più che fantasia, si scivola nel grottesco. Se è vero che il club non lesina le spese (ha investito 18 milioni di euro sul cartellino di Patrick Cutrone, uno degli attaccanti italiani di maggiore prospettiva, anche lui nel “portafoglio” di Mendes, giusto per fermarsi a un esempio agevole), altrettanto evidente è che Nuno sia un allenatore dallo straordinario impatto. Perchè il suo non è solamente calcio, ma pura filosofia. D’altronde, nel Porto che Mourinho portò a vincere, tra il 2002 e il 2004, due campionati portoghesi, l’allora Coppa Uefa, una Supercoppa europea e una strabiliante Champions League, Espí­rito Santo era il vice di Vitor Baia. In campo non ci andava mai, ma aveva tanto tempo per guardare le partite dalla panchina, al fianco del futuro Special One. Lui il nuovo Mourinho? No, grazie: Nuno Espí­rito Santo è semplicemente se stesso. E José, piaccia o non piaccia, e con buona pace dei suoi perenni detrattori, rimane inimitabile.

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