Non farlo, Daniel

Hackett abbandona la Nazionale: la FIP ha la coscienza pulita?
Gianmarco Pacione
3 ottobre 2019
Daniel Hackett ha fatto il doloroso passo, ha detto addio all’Azzurro con uno sterile post social, lasciando attonito un popolo intero. Abbandonare l’Azzurro a 31 anni per avere più tempo da dedicare alla famiglia, per permettere ai giovani di evolvere il loro feeling con la Nazionale: questi sono i due principali filoni di pensiero cavalcati da DaniBoy per giustificare l’inaspettata scelta.
La sensazione, però, è che qualcos’altro abbia condizionato i pensieri del mancino di Forlimpopoli. Qualcosa che covava già da tempo e che, non più tardi di tre mesi fa, era venuto a galla nella querelle lampo con la Federazione e, in primis, Gianni Petrucci.
“Non capiscono la differenza tra l’amore per il gioco e lo scherzo politico” aveva scritto in un durissimo sfogo polemico, a cui il numero uno FIP aveva risposto con un confusionario “Non so se ce l’ha con me o con la Federazione: chiariremo”.

Innegabile è che si fosse rotto già qualcosa nel rapporto tra il playmaker del CSKA e i piani alti della Federazione. Il Mondiale cinese ha in parte ricucito lo strappo, o meglio, ha fatto sotterrare l’ascia di guerra che Hackett aveva prepotentemente imbracciato: evidentemente, dopo la sirena finale con Porto Rico, il turbinio di sensazioni negative è tornato a condizionare la psiche di Daniel, senza dargli tregua fino alla dolorosa decisione.
Inutile nascondersi dietro a motivazioni familiari o di programmazione nazionale, quello di Hackett ha tutta la parvenza di un forte squarcio politico e la Federazione, per l’ennesima volta, ne esce con le ossa rotte: si perde un senatore, un giocatore di livello assoluto, un uomo che, in campo, ha sempre regalato ogni stilla di sudore per la maglia italiana.

La reazione di stupore da parte della stessa FIP la dice lunga su canali di comunicazione interrotti o, almeno, seriamente deteriorati. “Non rispettano chi ha rispettato il gioco da anni e chi sul campo spende sudore da quando è bambino. Vogliono apparire, vogliono comandare, ma fanno solo male al nostro sport” continuava Hackett nel post dello scorso luglio.
Oggi qualcuno deve rendere conto di questo addio: la classica retorica del “Daniel ha fatto la sua scelta, condivisibile o meno” non basta, non può bastare. Passare oltre, facendo scivolare una perdita pesantissima nell’oblio, sarebbe l’ennesimo gesto infantile, supponente, da parte di un movimento che troppe volte si è reso responsabile di atteggiamenti inopinati e criticabili.

Ad Hackett non resta che dire “Non farlo, Daniel”, non resta che sperare in un ripensamento che possa regalarci ancora per qualche anno la durezza, la personalità, la qualità di un protagonista assoluto del basket europeo e mondiale.
L’Italia del basket ha bisogno di DaniBoy. L’Italia del basket, in questo difficile momento storico, non ha bisogno di surreali faide interne.
Gianmarco Pacione