Nino La Rocca, il Muhammad Ali italiano

Negli anni ’80 incantò l’Italia con pugni e danze. Lottò per ottenere la cittadinanza e l’amore di un popolo intero
Voleva essere il Muhammad Ali d’Italia, Nino La Rocca. Era nato a Port-Étienne, polo commerciale della lontana Mauritania, da padre militare maliano e madre siciliana. Crebbe nella povertà, una povertà assoluta.
Sbocciò in un polveroso quadrato immaginario, fatto di sanguinose risse di periferia, la carriera di un uomo che avrebbe lottato nei paradisi della boxe, tra Madison Square Garden e Caesars Palace, trascinando nelle sue danze estatiche l’intero popolo italiano.

Mamma Nunzia capì presto che la Mauritania non era un luogo adatto dove crescere i propri figli. La famiglia si trasferì così in Marocco, dove il piccolo Nino, nato Cheid Tijani Sidibe, decise d’imbarcarsi nella lunga tratta sfruttata dai colonialisti francesi qualche tempo prima, percorrendola in senso contrario: destinazione Parigi.
Il giovane Cheid perfezionò la sua boxe in Francia. Un pesantissimo viaggio della speranza lo condusse, senza soldi e documenti, in una palestra nella città regina dell’Île-de-France. A gestirla era un fratello della madre, Nino La Rocca, benefattore giovanile che l’italo-maliano decise di onorare prendendone nome e cognome.
“Se non andavo in palestra, non mangiavo”

L’adolescente La Rocca si rifugiò all’ombra della Torre Eiffel, pensando solo a muovere i piedi velocemente, a schivare e colpire. Oltralpe iniziò a vincere, ma il richiamo italiano si fece sempre più forte: una questione di sangue, di radici, d’inconscia appartenenza.
Dopo aver conquistato la cintura di campione cittadino nei pesi welter, La Rocca entrò nel vortice gravitazionale dello storico allenatore Rocco Agostino e, conseguentemente, del mondo pugilistico italiano.
Fu un ricambiato amore a prima vista quello per il Paese tricolore, un legame incrementato dalla valanga di match vinti coreograficamente, dall’atteggiamento giggioneggiante e scanzonato, dai balli sul quadrato alternati a fendenti rapidi e letali.
La Rocca era spettacolo e ko, era danzatore e sicario. Riusciva a stringere intorno a sé generazioni di appassionati, ad avvicinare profani alla nobile arte grazie alle continue comparsate televisive.
La Rocca parlava e vinceva, anzi, dominava. Divenne fenomeno popolare, divenne il Muhammad Ali italiano: iconico soprannome coniato dalla stampa estera.
Come il ‘Greatest’ di Louisville, anche La Rocca combatteva per qualcosa di più della semplice gloria sportiva: iniziò difatti una lunga crociata per ottenere la cittadinanza italiana.
Straniero in una terra che era diventata sua, La Rocca girava il mondo esaltando gli occhi italiani, parlando fluentemente la nostra lingua, trovando spazio quotidianamente in tutte le testate giornalistiche nazionali… Eppure non risultava cittadino tricolore.
Celebri divennero le richieste Rai, al termine di ogni incontro, affinché si compisse il naturale passo burocratico.
Lo stagnante immobilismo venne smosso solo da Sandro Pertini. Fu eclatante il modus operandi del Presidente della Repubblica: durante una trasmissione di Gianni Minà, con ospite il pugile italo-maliano, chiamò in diretta rassicurando La Rocca, dicendo che nei giorni seguenti gli sarebbe stata confermata la cittadinanza. Così avvenne.
Se da un lato il numero degli affezionati del Bel Paese continuò a crescere nel corso degli anni, dall’altro la stampa osteggiò, con critiche sempre più consistenti, il modo di combattere dell’Ali italiano.
Gli venne affibiata la nomea di clown del ring, di combattente superficiale, impegnato più ad organizzare siparietti e movimenti geniali, rispetto ad imbastire match solidi e produttivi.
La realtà non diede ragione alle penne nostrane. La Rocca patì la prima sconfitta della carriera solo in occasione del match valido per il titolo europeo.
A fermarlo fu un pesante taglio all’arcata sopraccigliare, un fiume di sangue e 30 punti di sutura che segnarono la resa forzata nonostante un match condotto con estrema personalità e consapevolezza. “Avrei vinto con una sola mano”, avrebbe poi dichiarato.
Era il febbraio 1984. Pochi mesi dopo, il 22 settembre dello stesso anno, a conferma dello strepitoso stato di forma di La Rocca, venne fissato il suo assalto al titolo mondiale detenuto da Donald Curry.
Solo allora il 25enne Nino dovette chinare realmente la testa, regolato in 6 round dal ‘Cobra’ texano.
Ebbe tempo per rifarsi l’italo-maliano, conquistando la cintura europea nel dicembre ’89. L’incontro con il britannico Kirkland Laing fu l’apice di una carriera sportiva che, con lo scorrere degli anni, aveva iniziato a coincidere sempre più con le prime pagine delle riviste rosa.
Perché La Rocca fu incontenibile sopra il ring, ma anche nel panorama scandalistico. Sposò Manuela Falorni, originariamente fotomodella e indossatrice, poi passata agli estremi osé dell’industria pornografica.
Il matrimonio con la ‘Venere Bianca’ vide precipitare la vita dell’Ali italiano, trovatosi vittima di una relazione non sana e di un universo, quello della boxe italiana, che cominciò una programmatica opera di emarginazione nei suoi confronti.
Al fianco della bellissima Falorni, La Rocca arrivò a spendere 30 milioni in una singola serata, dilapidando gran parte del suo patrimonio in breve tempo. La sua boxe innovativa e rivoluzionaria smise d’incanto di essere tale poco dopo i 30 anni, vittima di match trappola, organizzati ad hoc per trascinare il nativo di Port-Étienne nell’oblio.
“Sul ring una ferita guarisce, nella vita una ferita rimane aperta per sempre”, e ancora “Io non ho mai baciato le mani a nessuno”.

Si può racchiudere in queste esternazioni la seconda vita di Nino La Rocca.
Un’errante ricerca di sé stesso in un mondo che sempre meno lo desiderava. Il personaggio La Rocca sbiadì di mese in mese, risucchiato dal gorgo dell’anonimato e da quella povertà da cui, grazie al proprio talento, era riuscito a fuggire.
I 74 incontri vinti suo 80 disputati e i 59 ko svanirono nella periferia romana, dove l’ex campione europeo trovò casa. La Federazione Italiana gli negò tutto, compreso il patentino di maestro pugilistico.
Superati periodi delicati, sfociati in una grave forma di depressione e nell’alcolismo, La Rocca iniziò a riabilitare la sua figura, tornando a lavorare in palestra al fianco di giovani promesse della boxe.
Nelle ultime interviste si è detto felice di aiutare la proliferazione del suo eterno amore sportivo nelle nuove generazioni.
Ha più volte confessato di voler tornare in Africa, l’altra terra capace di forgiare la sua romantica esistenza.
“Sono venuto scalzo e ritornerò scalzo, perché la vita, in fondo, è stupenda”
Gianmarco Pacione
28 dicembre 2020
Sources & Credits
Photos sources: http://www.sportclubonline.it/rubriche/people/85-nino-la-rocca
http://boxering.fpi.it/index.php/2019/04/05/accadde-oggi-5-aprile-1959-nasce-nino-la-rocca-auguri-per-i-suoi-60-anni/Video sources:
https://www.youtube.com/watch?v=R7Qv1_-0Zck
https://www.youtube.com/watch?v=sXFexcbbPB0
https://www.youtube.com/watch?v=r2Ne3syx2sY
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