Nia Wedderburn-Goodison, nata per la velocità

Intervista al talento più cristallino dello sprint britannico
La velocità è esaltazione, sicurezza, libertà. Sensazioni che si sublimano quando la velocità stessa si fonde con la giovinezza, con la freschezza fisica e mentale di una giovanissima perla delle piste.
Nia Wedderburn-Goodison ha i crismi della predestinata, ad appena 16 anni si è laureata campionessa britannica under 20 sui 100 metri, tagliando il traguardo davanti ad atlete molto più mature di lei.
Una stella in erba, che oltremanica viene già paragonata alla campionessa mondiale Dina Asher-Smith, una ragazza determinata che ha ben chiaro davanti a sé il percorso verso i cinque cerchi olimpici e il successo sportivo.
I meravigliosi ritratti di Paul Calver accompagnano questa nostra chiacchierata con una ragazza nata per correre, con una giovane freccia che fa della determinazione e della mentalità i propri capisaldi.

Come hai iniziato a correre e perché?
Avevo cinque anni quando ho vinto la mia prima gara battendo tutte le ragazze del mio gruppo. In quella gara ho battuto anche tutti i ragazzi. Ripensandoci ora, quello era solo un piccolo evento scolastico, con le corsie tracciate con il gesso, ma mi sentivo davvero orgogliosa del mio successo. Poco dopo i miei genitori mi hanno iscritta a un club di atletica leggera, in modo che potessi allenarmi adeguatamente. Già dopo la prima sessione di allenamento sono stata spostata dalla classe per principianti a una di livello più avanzato, merito del mio allenatore Andre Williams. Andre negli anni mi ha aiutato a sviluppare e realizzare il mio potenziale e mi segue ancora oggi.
Anche da giovanissima sapevo che correre era qualcosa che, per davvero, amavo fare.
All’età di cinque anni non riuscivo nemmeno considerare la corsa come ‘atletica’. I sogni di andare alle Olimpiadi e battere i record erano distantissimi, ma ogni giorno sentivo qualcosa di speciale dentro di me: la sensazione di costante miglioramento funzionava come carburante per farmi andare avanti, per non parlare, poi, dei dettagli, di quelle piccole cose vivono dentro di me, come la sensazione spugnosa della pista d’atletica a contatto con le dita sulla linea di partenza… È una sensazione così strana e così soddisfacente.
Che sensazioni ti regala la velocità?
Lo sprint mi esalta. Indossare le scarpe chiodate, entrare in pista con il desiderio di correre il più velocemente possibile, con la giusta mentalità… La velocità mi regala ogni volta una scarica di adrenalina che mi fa sentire sicura e libera.

Quali sono i tuoi punti di riferimento sportivi e non?
C’è una lunga lista di persone e atleti da cui traggo ispirazione, forse sono troppi da nominare. Tra queste figure c’è sicuramente Usain Bolt, non solo per i suoi folli tempi da record, ma anche per il suo dominio nell’ultima era dell’atletica. È stimolante vedere qualcuno vincere medaglie d’oro nei 100 e 200 metri per tre Olimpiadi consecutive. Questo mi ispira a lavorare sodo non solo per un paio d’anni di successi, ma a sacrificarmi per rimanere in cima il più a lungo possibile.
Nonostante non fosse uno sportivo direttamente legato all’atletica, sono un’enorme fan di Kobe Bryant e della sua mentalità, la ‘Mamba Mentality’. Ho guardato avidamente tantissime sue interviste e leggo il suo libro ogni sera prima di gareggiare. La sua testimonianza mi ha aiutato a comprendere il compito più importante: cercare di essere migliore rispetto al giorno precedente, sempre.
Anche la famiglia ha avuto un ruolo importante nella mia carriera atletica: ogni volta che sono a una competizione penso a mia madre sugli spalti con la sua macchina fotografica professionale, pronta a catturare ogni istante della mia performance. Penso a mio padre che gestisce le iscrizioni alle gare e si assicura che ci arrivi in tempo. Questo mi spinge a mettere tutta me stessa in ogni sessione di allenamento, voglio raggiungere un livello alto per poterli aiutarli finanziariamente, per poter restituire loro una piccola parte di quello che hanno investito su di me (non solo economicamente).
Un’altra persona importante è mia sorella. Ho davvero apprezzato che non si sia arrabbiata per la mia assenza alla festa del suo 13° compleanno. Purtroppo avevo una gara. Io e lei quotidianamente facciamo un piccolo gioco: devo girare e mandarle un video in cui faccio esercizi, se salto un giorno, magari per pigrizia, devo darle un pound.

Come vivi la tua condizione di giovane prodigio e il costante confronto con Dina Asher-Smith?
Essere paragonata ad un’atleta così straordinaria, capace d’infrangere tantissime barriere dell’atletica britannica, mi onora e, contemporaneamente, mi fa rimanere umile. So che molte persone hanno creato delle aspettative attorno a me, tutto sommato questo mi sta bene, perché in prima persona aspetto dei risultati da me stessa. Tutto questo mi aiuta a lavorare sodo, con il solo scopo di soddisfare le mie aspettative.

Quali sono i tuoi obiettivi e le tue speranze per il proseguimento della carriera?
Andare alle Olimpiadi, vincere l’oro, questo è da molto tempo il mio più grande sogno. Il 2024 si avvicina, tra tre anni avrò 19 anni e vorrei entrare nella squadra olimpica.
Il record mondiale femminile dei 100 e 200 metri resiste da tempo grazie alle incredibili prestazioni di Flo-Jo, superare quei primati è sicuramente un mio obiettivo: un qualcosa che posso raggiungere solo grazie alla forza mentale e allo spirito di sacrificio. Per ora, però, sto portando avanti giorno dopo giorno il mio viaggio nel mondo dell’atletica.

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