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Morten Thorsby: la natura è fondamentale, più del calcio

Ambientalista convinto, attivista instancabile. Intervista al centrocampista ‘green’ della Sampdoria

“Il primo dovere di un uomo è essere sé stesso”, scriveva Henrik Ibsen, padre della drammaturgia moderna. Lo faceva nella sua terra, quella Norvegia sospesa magicamente tra primitivi fiordi e aspri Monti Scandinavi. Proprio da Oslo, moderno avamposto urbano dall’anima vichinga, è giunto in Serie A Morten Thorsby: un giovane calciatore, un giovane uomo per cui essere sé stesso non è mai stato problema.

Parlare con il 24enne centrocampista tuttofare della Sampdoria è una soddisfazione culturale, intellettuale. A colpire, in primis, è il suo utilizzo della lingua italiana. L’eloquio di Thorsby è piacevole, fluente, gentile. Tra una subordinata e un corretto participio passato, il biondo nordico fa trapelare termini complessi anche per un italofono. Eppure il norvegese ha preso casa in quel di Genova, più precisamente al Ferraris di sponda blucerchiata, da appena un anno. 

Una cifra stilistica diversa, una cifra identitaria ammaliante, che vede Thorsby caricare ogni espressione di significati, di contenuti, di idee. Perché Thorsby, pare quasi scontato dirlo, non è solo un calciatore, non è solo un attore da prato verde in balia del risultato, del semplice allenamento seguito dalla tv spazzatura e dalla lobotomia social.

Morten è un ambientalista convinto, un lettore vorace, un attivista che, restando fedele a sé stesso, sta provando a cambiare pensieri e comportamenti altrui.

“Credo che i giocatori e gli atleti in generale abbiano un’immagine pubblica che devono sfruttare. Tu calciatore devi comprendere che nella società vanti un ruolo privilegiato: le persone ti seguono, ti ascoltano… E non puoi sprecare questa possibilità. Pensare di essere solo calciatori è limitante, si finisce per essere figure fini a sé stesse. Studiando ed esprimendo concetti profondi, invece, un calciatore può pensare nel suo piccolo di aiutare la società a cambiare in meglio e, contemporaneamente, di modificare lo stereotipo di atleta votato alla superficialità, alle banalità del mondo contemporaneo”

Il proprio apporto ideologico Thorsby ha deciso di dedicarlo ad una tematica tanto pressante, quanto ostinatamente sottovalutata da una grossa fetta dell’opinione pubblica: l’ambientalismo.

Un argomento a cui il norvegese si è legato in tenera età, approfondendolo negli anni e facendolo diventare impegno quotidiano. Per comprendere la genesi di questo interesse bisogna tornare indietro temporalmente, indietro geograficamente, a quando il giovane Thorsby s’immergeva per lunghi fine settimana nella primordiale natura scandinava.

“Da piccolo sono stato fortunato, la mia famiglia mi portava ogni weekend a passeggiare in montagna o ad osservare il nostro mare. Quando sei così vicino alla natura, cresce implicitamente, inconsapevolmente, un legame personale con l’ambiente. Anche lo sport mi ha aiutato sotto questo punto di vista, parallelamente al calcio ho provato di tutto: sci di fondo, alpinismo, golf… La natura è sempre stata un denominatore comune, un qualcosa attorno a cui sono ruotate la mia infanzia e la mia adolescenza. A scuola poi, verso i 13 anni, ho iniziato ad appassionarmi all’ecologia, ad approfondire questo tema, studiando e informandomi il più possibile”

Riccardo Bagaini

C’è un tempo per incontrarsi e un tempo per capirsi a fondo. Se i primi contatti di Thorsby con la natura sono stati influenzati da usi e costumi familiari, l’approfondimento della materia è arrivato attraverso la lettura, l’informazione, la sete di conoscenza. Una sete soddisfatta soprattutto all’interno di una silenziosa foresteria olandese.

“A 17 anni sono andato in Olanda, ad Heerenveen per la precisione, con l’obiettivo di fare un passo avanti nella mia carriera calcistica e approcciarmi all’Eredivisie. In questa nuova città mi sono trovato spesso da solo e ho avuto il tempo per maturare ulteriormente la mia vocazione ecologista. Ho divorato saggi, articoli, libri… È stato un modo per crescere a livello personale e per comprendere appieno quali fossero (e siano tuttora) i problemi che ci attanagliano. In Olanda ho realizzato come l’affinità di una persona con la natura non sia una cosa scontata: tanti tra coloro che crescono in una città non sanno cosa voglia dire questo tipo di rapporto speciale. Ad Heerenveen, rispetto alla mia terra, ho subito notato una nuova equazione socio-ambientale: meno spazio, meno verde e più persone”

Appuntava sempre Ibsen che “Un migliaio di parole non lasciano un’impressione profonda quanto una semplice azione”. E per convogliare la teoria nell’azione pratica, soprattutto per un giovane calciatore, sono necessari coraggio, risolutezza e una certa dose d’eroismo civile: tutte qualità di cui Thorsby è pregiato affidatario.

Da studente a precettore, da semplice centrocampista a guida sociale. Il suo pacato indottrinamento lungo gli anni ha preso forma nelle biciclette con cui i compagni dell’Heerenveen hanno iniziato a spostarsi in città, nella macchina elettrica che il norvegese utilizza per viaggiare (basti pensare che ha anche coperto la distanza tra Oslo e Genova a bordo di questo mezzo), nella richiesta alle proprie società calcistiche di utilizzare energia solare e di evitare lo spreco di plastica.

Un elenco che potrebbe continuare: piccoli tasselli di un mosaico preziosamente umano, di una mente sensibile e dinamica, che mai si è piegata ad ingerenze esterne, al tedio della ricchezza sportiva e ad un copione interpretato alla lettera da tanti suoi colleghi.

“Il mio primo grande gesto di sensibilizzazione è avvenuto nel 2015. All’epoca stavo riflettendo sull’ambigua situazione norvegese: un Paese tanto legato al tema green, quanto basato economicamente sull’estrazione del petrolio. Mi chiedevo come fosse possibile una tale incoerenza. Ironia della sorte, Statoil, la principale compagnia petrolifera nazionale (oggi divenuta Equinor), mi ha voluto consegnare un premio come sportivo emergente dell’anno. Io l’ho rifiutato, causando molte reazioni in Norvegia. Per me era importante che le persone capissero, anche attraverso una simile azione, che qualcosa della nostra situazione non quadrasse: che una compagnia petrolifera non potesse lavarsi le mani e camuffare le proprie azioni semplicemente consegnando premi o sponsorizzando le varie selezioni Nazionali. Credo fermamente nello stuzzicare la curiosità della gente, nel far loro porre delle domande interiori, solo così si può giungere a dei veri cambiamenti”

A dimostrazione di questo mantra arriva la testimonianza diretta di Carlo Ienca, amico e punto di riferimento di Thorsby dal suo arrivo in Liguria.

Ienca ci svela la capacità di Morten di giocare con l’interesse di chi gli gravita intorno, ci tratteggia un’abilità retorica unica, basata non sull’imposizione, ma sull’agevolazione della riflessione.

Racconta delle compagnie aeree selezionate solo in base al basso tasso d’inquinamento, dei molti treni preferiti agli stessi voli, di gite nelle alture e nei vigneti genovesi durante i giorni di riposo.

“In Carlo ho trovato una testa, una mente aperta. In molti casi è più complesso trasmettere determinati concetti: davanti a una mente chiusa è praticamente impossibile. Un individuo ha tante possibilità per fare la differenza, spesso non si ha la percezione di quanto una singola vita possa essere importante: cambiare la propria esistenza porta inevitabilmente a cambiare anche quella di chi ti sta intorno. È un’onda che si propaga. Nel caso della sostenibilità e dell’ecologia è fondamentale questo processo: non puoi imporre la tua idea, altrimenti nessuno la seguirà, devi dimostrare e sensibilizzare, devi connetterti agli altri. Per esempio la gente che mi vede sulla macchina elettrica non mi chiede perché lo faccia, semplicemente pensa e realizza che sia la cosa giusta da fare, che scelte di questo tipo debbano rappresentare il nostro futuro”

Riccardo Bagaini

Il presente, invece, vede impegnato Morten Thorsby sia sui campi della massima serie, sia con il progetto ‘We Play Green’: ennesimo passo in avanti nella sua opera d’informazione e coinvolgimento della collettività, specie nelle sue fasce più giovani.

“We Play Green è nato negli ultimi mesi, l’intento è quello d’accrescere la consapevolezza, tramite lo sport, sui problemi ambientali. Non ho la presunzione di essere una voce autorevole, è la scienza stessa a sottolineare il fatto che i più grossi problemi del nostro futuro dipenderanno dai cambiamenti climatici. Io sviscero, assimilo e riporto le informazioni che grandi esperti studiano ogni giorno. La sostenibilità e l’ecologia devono giocare un ruolo primario non a partire dal domani, ma già dall’oggi. Noi siamo l’ultima generazione e siamo la più distante dall’ambiente: dobbiamo capire che la natura è fondamentale per tutti noi”

La natura è fondamentale, così come l’operato di Morten Thorsby. Un calciatore, un uomo moderno e pensante, in grado di essere realmente sé stesso in un universo, quello del pallone, sempre più artificioso e culturalmente sterile.

“La vocazione è un torrente che non si può respingere, né sbarrare, né forzare”, annotava ancora il suo connazionale Ibsen, “S’aprirà sempre un passaggio verso l’oceano”. E Thorsby la propria vocazione l’ha trovata e assecondata. Per il bene del calcio. Per il bene della società.

Intervista di Gianmarco Pacione

 

Credits

Morten Thorsby
IG @mortenthorsby

24 dicembre 2020

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