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Moreno Torriccelli, la favola di ‘Geppetto’

Magazziniere fino ai 22 anni, poi la Juventus, la Champions League e la Nazionale. Una storia di duro lavoro e grandi sogni

Fu Roberto Baggio, il ‘Divin Codino’, a soprannominare quel giovane cavallo pazzo delle corsie laterali. Timido e incosciente era sbarcato, come per magia, in un calcio che non doveva essere suo. Era un magazziniere comasco, Moreno Torricelli, fino ai 22 anni aveva lavorato nel mobilificio Spinelli. Ora si trovava nel pieno di un allunaggio insperato.

“Era il ’92, Roberto aveva saputo dei miei trascorsi operai ed una sera in ritiro mi accolse così: “Ah, ecco Geppetto. Vieni, vieni pure…” Comunque non era il solo, Trapattoni scherzando mi chiamava il falegname”

Successe tutto in fretta, una galoppata illogica e verticale, dai campi dell’Interregionale al Delle Alpi. Moreno Torricelli solo un mese prima di essere aggregato alla prima squadra bianconera aveva assistito ad un Inter-Juventus dagli spalti, tifando per i nerazzurri. Aveva inveito contro Baggio e compagni, da buon figlio di un grande interista.

Era un calciatore comune, un calciatore per voglia e passione, soprattutto era un ragazzo semplice. Alla fine del turno lavorativo saltava in macchina con il borsone pronto, diretto verso il campo di allenamento. La sua vita stava tutta lì, racchiusa in quel rituale quotidiano che lo accomunava a migliaia di giovani italiani.

Giocava nella Caratese, i ‘Lambraioli’ di Carate Brianza gli riconoscevano poco più di un milione al mese di rimborso spese. In serie D faceva innegabilmente la differenza, era anche titolare della Nazionale Dilettanti.

Un ragazzo tutto gamba e intensità: il classico terzino di fatica e strapotenza atletica. Ascoltava rock e heavy metal prima di ogni partita domenicale: grinta e adrenalina necessarie per approcciare campi impervi, fasce usurate dal tempo e dalle carenze economiche.

In tanti anni di gavetta la grande chiamata non era mai arrivata. Ad essere sinceri non era mai arrivato nemmeno uno squillo da realtà di categorie appena superiori. E questo, il magazziniere Torricelli, non riusciva proprio a spiegarselo. Tra un turno e l’altro, però, non aveva tempo per amareggiarsi.

In fondo a piacergli era la possibilità di solcare le corsie laterali palla al piede, conquistare metri su metri in un flusso continuo di esuberanza muscolare. A piacergli era anche il clima all’interno dello spogliatoio: l’amicizia conviviale tipica di un calcio minore e romantico, costruito su solidi e fedeli rapporti umani.

“Fa un effetto strano, ripensare a quegli anni che sembrano lontani anni luce. Quando un gol, una vittoria, valevano una birra, una cena in compagnia e poco altro. Eppure quelli sono anni indimenticabili”.

Il destino aveva riservato al ragazzo di Erba un trattamento privilegiato. Bastò un osservatore con i giusti agganci, una soffiata arrivata a Boniperti sotto forma di un segreto celato al mondo esterno.

Sta di fatto che nell’estate 1992 Moreno Torricelli si trovò catapultato in maglia bianconera, pronto a sfidare occhi e pressioni in alcuni test estivi per una Juventus sperimentale.

Giovanni Trapattoni venne ammaliato dalla presenza scenica, tutta ritmo e temperamento, del lavoratore brianzolo. ‘Trap’ decise così di allungare il periodo di prova di Torricelli, di tenerlo in sospeso per una lunga e logorante estate.

“Ho vissuto quel periodo come una grande vetrina. Mi bastava sapere che alcune squadre di C avrebbero finalmente conosciuto il mio nome, si stavano interessando alcune piazze importanti. Non pensavo di riuscire a farcela nella Juventus. Ad un certo punto mi dissero che Trapattoni avrebbe puntato su di me se non fosse riuscito a prendere Vierchowood. E poi…”

E poi la firma di un contratto in bianco sul cofano di una macchina. Iniziò così la lunga cavalcata di Moreno Torricelli al fianco della ‘Vecchia Signora’. Era tutto così impensabile, così irripetibile, che ‘Geppetto’ non volle perdere tempo nel raggiungere un tavolo e una sedia, non volle contattare il procuratore o parlare di cifre.

Una firma emozionata ed emozionante, seguita dalla migliore sigaretta della sua vita. Un sogno che veniva sugellato da un tremolante tratto d’inchiostro. Alla Caratese spettarono 50 milioni e la promessa di due amichevoli con i giganti torinesi. Al giovane comasco, invece, uno stipendio di 80 milioni annuali, con cui comprò immediatamente una Lancia Thema.

Il 13 settembre 1992 Moreno Torricelli esordì in serie A, contro l’Atalanta. Da quel momento non si voltò più indietro.

“Ho sempre ringraziato Trapattoni per avermi dato fiducia, non so quanti avrebbero subito buttato in campo un ragazzino come titolare nella Juventus. Dopo quella partita ci siamo incontrati in ascensore e in dialetto mi ha detto: “O tu sei matto o sei un giocatore”. Era il mio papà del calcio. Lui mi seguiva al di fuori del campo, mi consigliò di smetterla con le troppe interviste e di pensare solo a giocare”

3 Scudetti, 2 Coppe Italia, 2 Supercoppe italiane, 1 Coppa Uefa, 1 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale e 1 Supercoppa Uefa in 6 stagioni juventine vissute da protagonista. Annate che lo videro anche esordire in Nazionale e giocare 10 gare con la maglia Azzurra.

Poi il passaggio a Firenze, sempre alla corte del ‘Trap’, padre putativo di una grande favola calcistica. Una scelta guidata dal profondo affetto reciproco.

“È stato un atto dovuto, una forma di riconoscenza nei confronti del mister”.

Dopo la grave rottura di un crociato, l’esterno ebbe tempo di trasferirsi in Spagna, giocando una stagione e mezza all’Espanyol, per poi chiudere la carriera ad Arezzo. Una carriera che, solo 13 anni prima, non avrebbe mai lontanamente ipotizzato.

La magia di ‘Geppetto’ s’interruppe una volta appese le scarpe al chiodo, costretto a fronteggiare il più grande dei dolori personali: la morte della moglie 40enne per leucemia. Il destino gli aveva chiesto indietro parte della fortuna ricevuta, l’aveva fatto nel più terribile dei modi.

Torricelli si risollevò dal tragico evento, contemporaneamente abbandonò il mondo del calcio sfavillante e, poco dopo, si ritirò nelle valli aostane, dove ancora oggi conduce una vita semplice, umile. Quella vita che il ‘Geppetto’ brianzolo, in fondo, non aveva mai abbandonato.

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