Miko Lim, piccole storie per raccontare grandi mondi

Il regista e fotografo americano che con pubblicità, film e documentari sta segnando l’immaginario sportivo contemporaneo
“Per me si tratta di raccontare e di mostrare grandi mondi attraverso piccole storie”, ci confida Miko Lim dal suo studio di LA, rendendo manifesto il più segreto, eppure accessibile, degli ingredienti che hanno fatto ammirare, oltre che dilagare, le sue produzioni su smartphone, computer e grandi schermi di tutto il mondo.
Miko ci parla di piccole storie umane prima, sportive poi, che narrano di condizioni ben più ampie e trasversali. Ci parla di poesie visuali, ambientate in affascinanti spazi indoor e sublimi panorami outdoor. Ci parla di lenti che si addentrano nel flusso atletico ed esistenziale per estrapolarne dei paradigmi comuni, o per ispirarli. “Mi piace pensare di fare cose che nessuno ha ancora fatto”, confida il due volte Clio Award, riconoscimento consegnato a chi riesce a rendere le pubblicità opere d’arte, “L’importante è partire dalla curiosità, da ciò che più mi interessa del soggetto che sto ritraendo. Questa è la base di tutto e si collega alla volontà di trovare sempre prospettive nuove, alternative…”.

Alternativa è sicuramente la carriera di un visionario che da tempo sta marchiando a fuoco l’immaginario sportivo globale. Un artista a tutto tondo che, pur avendo da poco superato i quarant’anni, può già vantare una lunga serie di spartiacque lavorativi e svolte personali alle spalle. “A vent’anni ero uno studente di Medicina a Los Angeles, dovevo diventare un dottore. Tutti attorno a me trattavano il corpo umano come una macchina. La filosofia era: se lo ripari va bene, se non lo ripari lo butti. Mi rendo conto che un medico debba ragionare così, ma io non ce la facevo. Così sono entrato in un vortice depressivo e ho deciso di abbandonare quella strada. Nello stesso periodo ho trovato su internet un annuncio per uno studio cinematografico non ben specificato. Poco dopo ho iniziato il mio tirocinio lì, scoprendo che i miei capi erano Angelina Jolie e Billy Bob Thornton“.
Poi l’ulteriore incontro con la fortuna, o meglio, con il fato artistico, “Portavo i caffè, ero l’ultimo per importanza nel ‘Camera Department Team’. Dal nulla un litigio sul set ha portato un fotografo a licenziarsi, e così mi sono ritrovato con la macchina fotografica in mano. Improvvisamente potevo essere il capo di me stesso, potevo fare ritratti ad attori e attrici, è stato il vero ‘step in’ in questo mondo…”.

Fast forward a qualche anno dopo, New York City, Miko è assurto ad uno dei più ricercati fotografi fashion della Grande Mela (e oltre). Dalle cialde di caffè alle copertine di Vogue e Rolling Stones, la sua è stata un’ascesa incessante e frenetica, come i viaggi e i ritmi a cui è stata sottoposta la sua macchina fotografica, innescando un processo di burnout che viene placato solo dall’ingresso in scena di un deus ex machina: l’elemento sportivo. “Era tutto eccitante, cool e glamour, ma allo stesso tempo provante. Ero arrivato ad un punto in cui non vedevo l’ora di finire per staccare e dedicarmi alla mia grande passione, lo sport. Sono cresciuto surfando, ho giocato a basket a livello collegiale, poi ho scoperto il climbing e mi ha completamente catturato. Proprio arrampicandomi nello Yosemite ho realizzato che volevo combinare questi hobby con il mio lavoro, che volevo cambiare completamente focus”.
Patrick Mahomes, Paul Pogba, Anthony Davis, Shaunae Miller-Uibo, Russell Westbrook… Sono solo alcune delle stelle internazionali che oggi, ad una decina d’anni di distanza da quella scelta maturata nel mezzo della Sierra Nevada, Miko Lim è riuscito a celebrare in lavori commissionati da giganti come Adidas, Oakley, Disney, Reebok e Nike. “Quando dirigo questi atleti provo a creare un clima di collaborazione. Non li tratto come oggetti inanimati. Dico loro che siamo un team, che tutti vogliamo vincere sul set, e quando s’instaura una stima reciproca tutto diventa più facile: sono gli atleti stessi a proporre determinati movimenti, determinate situazioni che sanno essere maggiormente estetiche rispetto ad altre. Quando mi trovo di fianco a questi atleti sento sempre d’imparare qualcosa di nuovo”.


E il learning process sportivo di Miko ancora oggi non si limita a linee e composizioni condivise, ma esonda nell’apprendimento pratico del gesto: uno studio progressivo fondato sul desiderio di naturalezza e autenticità della performance, soprattutto se effettuata in un contesto outdoor. “Pur avendo fatto sempre sport nella vita, ho dovuto fare degli enormi passi in avanti nell’arrampicata, nelle immersioni, nello sci, nel nuoto e in molto altro… Non è facile restare per alcuni minuti in apnea mentre si tiene una telecamera sott’acqua, serve preparazione. Allo stesso tempo non voglio essere un problema per gli atleti, non voglio rallentarli: l’autenticità arriva quando possono sentirsi totalmente in comunione con il loro elemento, quando possono essere nel loro momentum”.
Moltissimi registi o fotografi outdoor sono accomunati da un preciso background, sottolinea Miko, “Sono quasi tutti ex atleti di alto livello, magari fermati da un infortunio. Io invece esco direttamente dal mondo dell’arte e della moda. E questo ha i suoi svantaggi, ma ha anche i suoi vantaggi, perché è una condizione rara…”. Una condizione atipica, che ha forgiato l’altrettanto atipica filosofia artistica del nativo di Seattle. Caratteristiche che deflagrano nei cortometraggi “Ocean Mother” e “KYRA”, già pluripremiati e prossimi protagonisti dell’ONA Short Film Festival, kermesse veneziana a cui parteciperà Miko stesso.
Da una parte il mondo oceanico di Kimi Werner, regina del freediving, e la sua transizione materna, dall’altra il mondo verticale di Kyra Condie, arrampicatrice olimpionica, e la sua capacità di superare un gravissimo infortunio alla colonna vertebrale. Alla telecamera di Miko paiono bastare pochi istanti per racchiudere intere vite. Prospettiva dopo prospettiva, dettaglio dopo dettaglio, ogni sua inquadratura diventa una sorta di telescopio emotivo, un setaccio in grado di collezionare sfumature emotive e intime riflessioni. “Ho deciso di celebrare queste donne. Kimi è uno degli esseri umani più incredibili che abbia mai conosciuto. Riesce a trattenere il respiro, nuotare e pescare per minuti e minuti a 200 piedi di profondità. Ora è diventata madre e sta introducendo suo figlio all’oceano, alla sua casa. Kyra è altrettanto incredibile: un incidente le ha staccato trenta centimetri di colonna vertebrale. Tutti pensavano che avrebbe fatto fatica anche solo a camminare, invece, dopo aver rifiutato i Giochi Paralimpiaci, è riuscita a partecipare alle Olimpiadi di Tokyo come climber del team USA“.

Piccole storie per raccontare grandi mondi. Storie che, per essere plasmate, hanno bisogno di scelte. È questo l’ultimo, fondamentale tassello del processo creativo di Miko Lim. Ogni scelta è determinante, ci spiega, ed è determinata dalla curiosità personale. E la curiosità, a propria volta, è soggetta all’evoluzione del gusto, al cambiamento delle influenze, alla semplice maturazione esistenziale. “Non sai mai realmente cosa stai facendo. Hai solo un’impressione, soprattutto quando gli sport che indaghi sono così diversi tra loro e passi dalla vetta di una montagna alle profondità marine, da un palazzetto a una pista d’atletica. Quando ritrai qualcuno puoi focalizzarti su tantissime cose diverse: il volto e le emozioni, il corpo e la poesia del movimento… La scelta è tua. Ed è in quel momento che torna a farsi strada la curiosità. Cosa t’incuriosisce di più? Questa è la domanda essenziale”.
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