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Marco Lucchinelli, il ‘Cavallo Pazzo’

La Suzuki e il 1981, le sigarette, la prigione. Storia di un’icona dei motori

“Non è obbligatorio vincere dieci Mondiali, io quello che volevo dimostrare l’ho dimostrato: il mio Mondiale l’ho vinto”

Si potrebbe riassumere in questa frase la carriera di Marco Lucchinelli.

Lui che fu viveur dei motori, che fu dandy scapestrato dell’asfalto, che fu ‘Cavallo Pazzo’ tra i magnifici anni ’70 e ’80, in pista preferì sempre l’emozione alla vittoria, l’epica al grande bottino, la caduta rovinosa alla sgroppata cauta.

Corri Cavallo Pazzo Marco Lucchinelli

Era un cavallo selvaggio, Lucchinelli, incarnava i crismi di una generazione di centauri dissennati: uomini usciti dal nulla, veri e propri diseredati dai pochi quattrini in tasca e dal grande coraggio nelle mani.

Da giovane, nella sua La Spezia, si divertiva a derapare con ruspe e camion dell’impresa edile familiare.

Una predisposizione innata, quella alla velocità, un atto di ribellione obbligato che prese forma nei più disparati scenari: “Della mia adolescenza ho ricordi di libertà. Allora tutto era possibile e si andava in moto ovunque: nei fiumi, nei boschi, sulle montagne della Lunigiana”.

Lucchinelli si è sempre descritto come un rieducato, un riabilitato dal motociclismo, come uno “rubato dalla strada” e preso in prestito dai circuiti.

Su quei circuiti arrivò tardi, a 20 anni compiuti. Dimostrò subito di avere un motore interiore di diversa fattura, un’illogica confidenza con ogni tracciato.

Istrionico e temerario, riaccese l’attenzione del popolo italiano dopo l’addio dell’onnipotente ‘Ago’

Lo fece al fianco di Ferrari e Uncini: tre profili tanto diversi, quanto capaci di completarsi a vicenda. In un periodo di velocità ibrida, dal sapore antico e dai colori sgargianti, Lucchinelli vestì i panni della rockstar sovversiva.

‘Lucky’, con l’iconica stella appuntata sulla tuta, decise di affidare la sua vita al fato, lanciandosi in assoli spericolati e monologhi rasenti alla pazzia.

Viveva la moto come una donna da conquistare staccata dopo staccata, come una donna che “per essere contenta e andare forte deve bere, fumare e muovere il culo”. Frasi che oggi lascerebbero di stucco opinione pubblica e team d’appartenenza.

Corri Cavallo Pazzo Marco Lucchinelli

Era fatto così, Lucchinelli. Aveva il capello lungo, l’orecchino a impreziosire il lobo sinistro e l’attitudine stravagante.

Non era professionale, o meglio, viveva la professionalità in un modo tutto suo.

Fumava, fumava prima e dopo le gare, fumava sul podio e indossando il casco, fumava un po’ per vizio, un po’ per posa: “Quando andavo io sul podio con la sigaretta ero criticato, oggi i piloti non fumano ma sono sponsorizzati dai tabaccai. Quando salgono sul podio con in bella mostra la marca della sigaretta  non dovremmo criticare anche loro ? Sono peggio di me questi: invitano gli altri a fumare però loro non lo fanno. Almeno noi eravamo coerenti, mi ricordo che quando andai a trovare Sheene in Inghilterra in ospedale mentre era in trazione per la frattura ad una gamba la prima cosa che mi chiese fu una sigaretta, cosa che se lo fai adesso  ti accusano di non essere un professionista”.

Corri Cavallo Pazzo Marco Lucchinelli

Al fianco del fidato Roberto Gallina raggiunse le vette più alte: dalla vittoria del primo GP al Nürburgring nel 1980, alla conquista del Mondiale 500 nel 1981.

Successi legati dall’eterna presenza di giacca e cravatta sotto la tuta: “Mettendo camicia e cravatta sotto la tuta, avevo vinto la mia prima gara in 500: da allora le usai sempre. In tutti i miei podi, se guardate bene, vedrete che sotto la tuta ho sempre camicia e cravatta. Le mettevo solo la domenica, perché andavo a divertirmi”.

Quello del 1981 fu il primo successo italiano post-Agostini, fu l’impresa del talento rapsodico dopo un’era legata alla perfezione seriale, fu il ruggito dell’irrefrenabile eccesso dopo decenni di regale misura. Fu una stagione che restò nel cuore di tutti gli italiani.

Corri Cavallo Pazzo Marco Lucchinelli

Dopo quel podio dorato, Lucchinelli non si sarebbe più ripetuto. Avrebbe continuato a correre alla sua maniera, almeno fino al 2 maggio 1982, quando a bordo della nuova Honda rischiò di uccidere sé stesso e alcuni spettatori dopo una caduta ai 220 km/h.

Secondo i più, in quel momento dentro il ‘Cavallo Pazzo’ qualcosa mutò in maniera permanente.

Mai mutò e mai è mutata, invece, la grande passione per la musica. Arrivò a cantare anche sul palco dell’Ariston, Lucchinelli: ci riuscì nel 1982, portando la canzone “Stella Fortuna” a Sanremo.

Cadute e gincane, jet set ed eccessi. Come ogni pilota maledetto, sulla fedina morale e penale di Lucchinelli spuntò anche un arresto legato alla cocaina.

Un’avversaria terribile, che lo condusse nel più profondo dei buchi neri mentali.

Un’avversaria che oggi ‘Lucky’ ha sconfitto definitivamente, dopo un periodo depurativo trascorso in prigione negli anni ’90.

Scanzonato e irriverente, possiamo ancora ascoltare la sua melodica voce in televisione: opinionista sempre pronto ad aggredire colleghi nuovi e vecchi, a far sorridere ed entusiasmare, a boicottare l’ovvio, proprio come usava fare su quell’asfalto che tanto amava e che tanto ancora ama. 

 

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