Luci sul football

Negli anni ’50 i Wolves lanciano la moda del calcio serale: il pallone inizia ad illuminarsi, non smetterà più di farlo
Matteo Floccari
16 ottobre 2019
Il mondo del calcio, da sport globale e globalizzato qual è, sa distinguere i suoi momenti per creare atleti leggendari e partite che rimangono nella memoria. Abbastanza inconsciamente, è luogo comune oggi pensare che giocare un match di sera sia condizione quasi imprescindibile per la sua epicità. E così tante volte è stato negli ultimi decenni, basta pensare alle gare di Coppa Campioni prima e Champions League poi, oltre che i posticipi della Serie A o della Liga. Anche le competizioni per Nazionali non ne fanno a meno: chi non ricorda le “Notti Magiche” di Italia 1990, o ogni dettaglio di dove e con chi fosse durante le gare degli Azzurri nel Mondiale tedesco del 2006.
Non fu sempre così però, visto che il calcio non è stato concepito come uno sport da giocare dopo il tramonto del sole, e per moltissimi anni campionati nazionali e Mondiali vedevano la loro disputa durante il quasi sacro ed intoccabile pomeriggio. Se si è arrivati a quanto scritto poco sopra è chiaro di come qualcosa sia cambiato rispetto agli albori, ed è estremamente interessante andare a scoprire come il fatto di giocare in notturna abbia dato vita ad una partita, in particolare, semplicemente storica.


Serve però partire dal contesto e dal periodo storico, per meglio comprendere come sia stato possibile far nascere questa novità. Va detto che è relativamente sorprendente che sia l’Inghilterra il Paese di interesse, e in particolare i Wolverhampton Wandereres, squadra di un’operaia cittadina delle West Midlands compresa nell’area di Birmingham. Erano da poco iniziati gli anni ‘50, e i lupi avevano appena scelto l’ex giocatore Stanley Cullis come loro manager. A soli 31 anni, dopo aver giocato dal 1934 al 1947 con la maglia arancione, Cullis nel Giugno 1948 si sedette in panchina, iniziando a portare avanti le sue idee, decisamente vincenti, di calcio. Nella prima stagione arrivò la vittoria in FA Cup, primo trofeo a 41 anni di distanza dall’ultimo successo, e soprattutto nel 1954 vinse la First Division inglese chiudendo a 57 punti in classifica, 4 in più degli eterni rivali del West Bromwich Albion. Quello sarebbe stato il primo di tre titoli conquistati in sei stagioni (con gli altri due arrivati nel 1958 e 1959), con la squadra capitanata da Billy Wright che metteva in mostra un gioco aggressivo, fatto di fisico e velocità oltre che di piedi buoni.
Tutto questo succedeva mentre il calcio inglese si domandava pesantemente che cosa non andasse in sé stesso. Il Mondiale del 1950, il primo a cui parteciparono i Tre Leoni, si chiuse praticamente in tragedia: da attese di sicura vittoria si passò ad un’atroce eliminazione nel girone, battuti anche dai dilettanti statunitensi. La rivincita, nell’edizione svizzera del 1954, fu solamente meno amara, ma il 4 a 2 subito dall’Uruguay ai quarti di finale non lesinò la delusione. Quello che interessa da vicino la nascita delle partite in notturna è però il doppio, e drammatico, confronto tra Inghilterra ed Ungheria. In quello che da tanti venne definito il “match del secolo”, disputato il 25 novembre 1953, i magiari umiliarono gli ormai ex-maestri del calcio espugnando Wembley per 6 a 3. Andò ancora peggio a Budapest, quando il 23 maggio 1954 il risultato finale fu di 7 a 1 per la Nazionale che da lì a poco avrebbe incredibilmente perso il Mondiale svizzero.
Serve ora fare un passo indietro di qualche mese tornando al settembre 1953, quando nello storico stadio Molineux furono installati dei fari di alta qualità per l’illuminazione notturna. Richiesti espressamente da Stanley Cullis, costarono 25.000 sterline dell’epoca e, per installarli, oltre a degli alti piloni di sostegno, fu necessario utilizzare tre miglia di cavi di cablaggio. Il lavoro venne personalmente supervisionato dall’allenatore dei Wolves, che sin da subito volle testarli e per questo pensò a delle partite amichevoli da organizzare nell’impianto inglese. Va detto che ai tempi c’erano almeno altri due stadi dotati di proiettori di luce artificiale, ma sia ad Higbury a Londra, sia al The Dell a Southampton, nessuno pensò di utilizzarli per illuminare lo stadio di sera durante dei match.
Fu allora il Wolverhampton a giocare per primo dopo il tramonto, esordendo in quelle che passeranno alla storia come “Floodlight Friendlies”: il debutto vide i lupi ospitare la Nazionale del Sud Africa. La storica data sul calendario era quella del 30 settembre 1953, e visto che il pubblico apprezzò la novità, oltre che la vittoria per 3 a 1, due settimane più tardi fu ospite il Celtic, mentre il 10 marzo dell’anno seguente la sfida in programma aveva un sapore decisamente esotico: l’avversario dei lupi fu infatti il Racing Club de Avellaneda, formazione argentina che in patria aveva appena da poco vinto il 12esimo titolo nazionale. Altro giro e altra vittoria, sempre per 3 a 1, e partite in notturna che sempre più stavano incuriosendo e ricevendo apprezzamenti da tutto il mondo inglese. L’autunno e l’inverno di quell’anno si scrisse semplicemente la storia, con avversarie da tutta Europa in una sorta di Coppa Campioni antesignana. Dopo un pareggio per 4 a 4 con il West Bromwich Albion in FA Cup il 29 settembre, tra il 13 ottobre ed il 16 novembre al Molineux giocarono il First Vienna, antica squadra austriaca ormai in declino, il Maccabi Tel Aviv e lo Spartak di Mosca, ai tempi Campione dell’Unione Sovietica. Soprattutto il match coi russi, terminato per 4 a 0, lasciò la sensazione di come il calcio inglese potesse tornare al centro del villaggio: i sovietici, arrivati al Molineux con ottime credenziali, incassarono 4 gol negli ultimi 10 minuti schiacciati dal gioco dei ragazzi di Cullis, che in un’epoca senza Coppa Campioni stavano iniziando davvero a pensare di essere i più forti del mondo. Senza competizioni che prevedevano sfide dirette tra i campioni dei vari paesi, l’idea geniale di ospitarli per amichevoli sotto le luci artificiali aveva stregato tutti, e poche date nel calcio europeo sono così importanti come quella del 13 dicembre 1954.

In un freddo martedì inglese il Wolverhampton ospitò la Honvéd di Budapest, squadra che aveva vinto 3 degli ultimi 5 campionati magiari e che poteva contare su sette giocatori della “Squadra d’Oro”, la magica Ungheria che aveva riscritto la storia del gioco. Gyula Grosics, Gyula Lóránt, László Budai, József Bozsik, Zoltán Czibor, e soprattutto Ferenc Puskás e Sándor Kocsis, attaccanti tra i più forti della storia del calcio, giocarono quella partita, così come presero parte alle due indimenticate sfide tra la Nazionale magiara e quella dei Tre Leoni terminate in maniera disastrosa per i britannici. L’attesa era enorme, tant’è che la BBC trasmise in diretta il secondo tempo della gara: cosa inusuale non trattandosi della finale di FA Cup, l’unico spazio concesso al pallone dall’emittente inglese durante l’anno. I Wolves, quasi consci dell’occasione storica a disposizione, indossarono anche delle maglie praticamente lucide, con un arancione accesissimo che brillava alla luce dei riflettori. Il resto lo fece la partita, guardata anche da un ragazzino di 8 anni a Belfast, tale George Best, che quella sera divenne tifoso della squadra delle West Midlands.
La partenza fu però un vero incubo, con la Honvéd avanti 2 a 0 dopo nemmeno un quarto d’ora. Prima Kocsis di testa su un piazzato di Puskás, poi Machos su assist dello stesso Kocsis, andarono in rete. Di nuovo tutti a chiedersi se davvero l’Inghilterra potesse essere ancora essere considerata la “home of football”. Una netta sensazione di inferiorità pervase Stan Cullis, che all’intervallo si giocò una carta a sorpresa: il manager dei Wolves chiese infatti che il campo fosse pesantemente bagnato, rendendolo dunque molto più duro e meno adatto alle geniali idee di calcio palla a terra dei magiari. In pochi si sarebbero aspettati un risultato tanto efficace: a pochi minuti dal via della ripresa Johnny Hancocks venne fermato fallosamente in area, e di seguito fu bravo a segnare il penalty della speranza. Nel pantano del Molineux effettivamente la Honvéd fece una fatica del diavolo ad esprimersi, e spinti da un infuocato tifo, i padroni di casa si scatenarono assaltando senza sosta la porta ungherese. A decidere tutto due giri di lancette: tanto bastò a Roy Swinbourne per ribaltare la contesa e scrivere la storia tra il 76esimo e il 78esimo. Prima la testata, poi un bel movimento in area: ecco servita la rivoluzione, anzi la contro-rivoluzione, la dimostrazione che non c’era da preoccuparsi del resto del mondo, che erano ancora loro, gli inglesi, a comandare.
Dopo la partita Stan Cullis pronunciò parole che avrebbero irrimediabilmente cambiato la storia di questo sport: “Siamo i Campioni del Mondo, e il nostro calcio è il più genuino tra tutti i vari stili, semplicemente imbattibile”. In tribuna stampa però non tutti furono proprio d’accordo con le sue parole, con l’austriaco Willy Meisl che sostenne di come il pantano del campo fosse stato l’elemento fondante della vittoria, mentre il francese Gabriel Hanot fece anche di più, affermando di come non ci si potesse considerare Campioni del Mondo senza aver battuto squadre come il Real Madrid, o il Milan, o le altre formazioni che avevano vinto il titolo nel loro paese. Hanot lavorava all’Equipe al tempo e la sua supposizione lanciò un’idea che, nel giro di pochi mesi, creò quello che ancora oggi è il più bel torneo per club del globo: il 4 settembre 1955 iniziava la prima Coppa dei Campioni, nata anche grazie all’installazione di fari luminosi in uno stadio dell’Inghilterra centrale.
Matteo Floccari