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Lea Pericoli, la ‘Divina’ del tennis

Elegante, vincente, stupenda. L’italiana che portò la moda sotto rete

Era la ‘Divina’ del tennis, Lea Pericoli. La circondava un’aura di eleganza, di raffinatezza estetica. Gianni Clerici in quella giovane tennista, arrivata misteriosamente dalla profonda Africa, aveva trovato una perfezione rara, trascendente.

La ‘Divina’ nel continente nero aveva trascorso tutta l’infanzia, obbligata a seguire le pindariche intuizioni di un padre imprenditore. Fu uno dei famosi ‘insabbiati’, Filippo Pericoli, spericolato businessman alla costante ricerca della fortuna tra le dune dei deserti africani.

Etiopia, Eritrea e Kenya. Il milanese divenne straricco impegnandosi nei più svariati ambiti: come la coltivazione di banane e la vendita di mezzi di trasporto tricolori (FIAT e Piaggio). Il capofamiglia Pericoli corse anche dei rischi, molti. In quelle terre deregolamentate e selvagge arrivò a vivere l’esperienza del campo di concentramento. Furono amicizie influenti a salvarlo e a regalare alla piccola Lea l’opportunità di studiare e crescere in un collegio di suore a Nairobi.

Nata nel 1935, Lea Pericoli si vide a lungo confinata in un paradiso scolastico keniano, enclave di educazione imposta, bon ton e tennis per principianti. Dormiva con la racchetta sotto il cuscino, la giovane italiana, sognava palcoscenici distanti e non ben definiti.

Tornata nel Bel Paese, sotto rete s’impossessò degli anni ’50, ’60 e ’70 del tennis nostrano, vincendo 27 titoli nazionali. Fu un’apparizione celestiale, una ragazza prodigio arrivata da chissà quale Olimpo tennistico per appropriarsi della scena tricolore.

Il suo era uno stile di gioco istintivo, sorprendentemente atletico, costruito su una coriacea capacità difensiva e su una delicatezza innata per tocchi liftati e pallonetti.

A livello internazionale si fermò sempre un gradino sotto i più ambiti traguardi, pur superando in differenti occasioni vincitrici di un Grande Slam del calibro di Shirley Bloomer, Karen Susman, Ann Haydon, Françoise Dürr e Billie Jean King.

La ‘Divina’, però, s’iscrisse indelebilmente nella storia sportiva non solo per i risultati sul campo, ma anche, se non soprattutto, per la capacità di collegare la moda al tennis, per creare un lato fashion in una disciplina che, fino a lei, aveva visto alternarsi gonne lunghe e vestiti censuranti.

Lea Pericoli diede vita a vere e proprie sfilate sul campo, a eventi mondani ibridi e inaspettati. La sua cura della femminilità, del garbato fascino, sorse per la prima volta nella kermesse di Wimbledon 1955.

In quell’occasione venne avvicinata da Ted Tinling, noto stilista britannico, all’epoca famoso e chiacchierato per aver vestito la prima grande ribelle del tennis femminile: l’americana Gussie Moran.

Se alla Moran Tinling aveva fatto indossare mutandine in pizzo prima, panterate poi, facendo gridare alla volgarità e al peccato, nella Pericoli trovò una seconda musa. Il visionario stilista disegnò una coulotte e una sottoveste rosa per l’esordio dell’italiana nel bianco tempio londinese.

Lo scandalo fu enorme: la partita con la spagnola Maria-Josefa de Riba assunse immediatamente i caratteri di un evento dissacrante. Occhio dopo occhio, bocca dopo bocca, fiumi di persone si accalcarono immediatamente ai lati del campo per veder servire l’italiana, per osservare l’ondeggiare del suo completino, per essere inebriati da una visione angelica.

Era l’emancipazione estetica del tennis femminile, era un passo verso il futuro. Un passo fine, ricco di grazia e buongusto. Un passo che il padre dell’allora 22enne tennista non digerì. Filippo Pericoli obbligò la figlia ad un anno di pausa, pesantemente influenzato dalle dichiarazioni di media puristi e critici radicali.

Tornò a giocare nel 1956 la ‘Divina’, lo fece fino a quarant’anni, affidandosi ai gonnellini di visone, a vestiti ricchi di penne di cigni, ad abitini intrecciati di petali di rose, a completi d’oro con mutandine brillanti. Mai superò la soglia del cattivo gusto, orgogliosa della propria bellezza e della propria femminilità.

L’erba inglese, ma non solo, divenne passerella per la Pericoli. “Quelle mutandine, quella gonna di cui hanno misurato la lunghezza più volte, ma era nelle regole, meno nelle regole semmai le mutandine, è tutto esposto al Victoria Albert Museum di Londra, come altri capi che più tardi Ted mi fece indossare. Vorrei chiarire che questi costumi stravaganti, a volte eccessivi, li indossavo solo per le gare facili. Se c’era da soffrire, tenuta bianca classica. Ho cominciato con Ted perché mi divertiva e perché in Italia era molto diffusa l’idea che lo sport trasformasse le donne in muscolose virago senza grazia. Ho fatto una scelta dalla parte delle donne”.

Dopo essere diventata icona fashion e aver concluso la carriera tennistica, la Pericoli mutò forma, trasponendo il fascino dei propri gesti nelle parole e nella carta stampata. Divenne giornalista e opinionista di tennis e moda: fu penna prediletta di Indro Montanelli nella redazione de Il Giornale e voce incantevole per Telemontecarlo e Rai.

Nel recente passato, l’oggi 85enne Pericoli si è concentrata sulla stesura di romanzi e libri di pregevole fattura, conquistando svariati premi letterari nazionali. Mai si è allontanata dal tennis, dove funge da incessante punto di riferimento per l’intero movimento rosa: un movimento che nella ‘Divina’ vede una capostipite brillante e coraggiosa, una pietra miliare impagabile.

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