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L’arte sposa il basket: a tu per tu con Will Bryant

Appena firmata una capsule collection con Double Clutch, il famoso artista texano ci racconta il suo rapporto speciale con la palla a spicchi

Gianmarco Pacione

1 ottobre 2019

È arrivato da Austin, Texas, con il suo sorriso e le sue grafiche rilassate e divertenti. Will Bryant ha scelto Verona e Double Clutch, perla cestistica incastonata nella storica Sottoriva, per plasmare una capsule collection ispirata al basket e al territorio scaligero.

“Veronesi all crazy” recita una delle t-shirt inserite nella collezione: una scritta colorata e giocosa, manifesto perfetto del gusto artistico cavalcato dal texano. Un gusto che gli ha permesso negli ultimi anni di ritagliarsi una notevole fanbase, nutrita soprattutto di appassionati della palla a spicchi.

Consapevoli del suo pedigree di altissimo livello, in cui spiccano collaborazioni con Adidas, Nike, Facebook, Coca Cola, Samsung e Converse, abbiamo chiesto una chiacchierata, pallone in mano, all’artista trentaquattrenne. Ne è uscito un originale affresco del suo rapporto con la pallacanestro.

Qual è stata e qual è l’influenza dello sport e, in particolare, del basket nella tua sfera artistica?

L’arte ha trovato spazio abbastanza tardi nella mia vita. Durante l’high school ho seguito un paio di corsi, solo dopo però ho iniziato a concentrarmi veramente e a seguire il mio percorso in quell’ambito. Il basket, invece, è sempre stato lì, fin da quando ero piccolo. Chiaro, ho giocato anche a football e baseball, come accade a quasi tutti i ragazzini americani, ma il basket ha sempre avuto un valore preponderante. A livello visivo sono stato inconsciamente ispirato da tutto il filone cestistico degli anni ’90: mi basta pensare alle affascinanti maglie degli Hornets di Larry Johnson o all’impatto sulla mia generazione di una pietra miliare cinematografica come Space Jam. Il gioco in sé, poi, mi ha dato una base etica su cui fondo il mio approccio lavorativo quotidiano.

Che rapporto c’è attualmente tra arte e sport? Il mondo sportivo sarà influenzato dall’arte come viene influenzato al giorno d’oggi dal panorama fashion?

Trovo che le produzioni e le idee artistiche possano essere in qualche modo semplificate e impreziosite dallo sport. Le palle per esempio possono essere stilizzate, ridotte a semplici forme in maniera naturale e immediata. Attorno allo sport, poi, c’è epicità, dramma, sentimento: humus fertile per la nostra produzione. Artisti come Nina Chanel Abbey e Devin Troy Strother stanno dimostrando quanto un mondo possa essere contaminato dall’altro… E viceversa. Anche i giocatori difatti mettono a nudo sempre più la propria personalità attraverso il mondo fashion e, indirettamente ma nemmeno troppo, il mondo dell’arte. Credo che questa dinamica sia destinata a crescere sempre più e sempre più rapidamente.

Hai idoli sportivi che ispirano quotidianamente la tua vita e il tuo lavoro?

Che dire… Colpevole! – mostra la t-shirt con gigantografia di Michael Jordan sorridendo – MJ durante l’infanzia e l’adolescenza era l’uomo, l’atleta da ammirare, soprattutto per un tifoso Bulls come me. Ha segnato un’era: ero completamente accattivato dal suo modo di giocare, dal suo livello di competitività. In generale tanti giocatori di quella NBA anni ’90 mi sono rimasti dentro: un esempio è il “Verme”, Dennis Rodman, con il suo carisma e la sua esuberanza estetica.

 

Hai anche qualche feticcio, qualche mito di nicchia?

Muggsy Bogues sicuramente. Poi penso ad alcuni giocatori collegiali: Bart Hyche, il classico bianco con un fisico normalissimo di un metro e ottanta. Era un lottatore, un duro, ha condotto la mia università, Mississipi State, alle Final Four: è stato qualcosa di eccezionale. Un’altra point guard bianca dalle limitate doti fisiche era Bobby Hurley di Duke. Amavo il suo modo di giocare.

Oggi ti capita ancora di giocare a basket?

Certo. Gioco ogni lunedì in una lega di Austin, sono una sorta di JR Smith, una partita su dieci do spettacolo, le altre nove un po’ meno… In generale se mi sento stressato prendo il pallone e mi metto a tirare nel vialetto: l’ho sempre fatto e continuerò a farlo, mi serve per staccare e sentirmi meglio. Ultimamente capita di condividere queste sessioni di tiro con mia figlia, sto cercando di farla migliorare, ha già fatto passi da gigante. Ogni tanto passo anche dal più bel campetto della città: è all’ultimo piano di un parcheggio di fianco a una chiesa, è quasi abbandonato ma il panorama è spettacolare, poetico.

Per maggiori info su Will Bryant e sulla capsule collection con Double Clutch:

willbryantstudio.com
www.doubleclutch.it

Articolo di Gianmarco Pacione

Foto di Francesco Bonato, Double Clutch

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