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Lamberto Boranga, di voli e follie

In campo beveva caffè e lanciava cappelli, fuori amava il ‘Che’ e gli studi. Storia di un portiere matto

Era un matto, Lamberto Boranga. Era un matto che volava, cospargendo di magia le aree di rigore italiane.

Non portava i guanti, in quegli eretici anni ’70, gli bastavano un cappello in bilico sull’indisciplinata chioma, dei folti baffi e degli occhi azzurri, di un azzurro trasparente e rivoluzionario.

Aveva appreso da Albertosi il lavoro del guastafeste, il mestiere di chi vuole costantemente stare sulla linea di confine tra paradiso e inferno, di chi nell’area piccola può essere angelo e demone.

Gliel’aveva spiegato a Firenze, il grande Ricky: quella del portiere doveva essere un’arte, un’esigenza innata, una performance da reiterare domenica dopo domenica. Boranga aveva preso appunti e aveva deciso di rinnovare i concetti del suo illustre predecessore.

Il berretto, dunque. Più che come semplice oggetto funzionale fungeva da amuleto, da talismano in grado di esorcizzare timori e recondite paure.

Boranga fiutava un’azione pericolosa per la sua Reggiana, posava la mano sul cappello, si spogliava rapidamente la testa e, tenendo fissa la visiera tra indice e pollice, lanciava il berretto per aria, cercando il cielo. Un gesto che incantava il pubblico, un gesto che distraeva i tanti attaccanti pronti a giustiziarlo.

Fece la sua fortuna, quell’azione ripetuta più volte nell’arco dei novanta minuti. Lo condusse fino alla Coppa Uefa con il Cesena di mister Marchioro e del patron Dino Manuzzi. Il popolo degli ‘Ippocampi’ bianconeri nutrì da subito un amore sconfinato per quell’eclettico guardiano dei pali, osservò ammirato i suoi eccessi, le sue prese miracolose.

Alla Fiorita beveva caffè, ‘Bongo’, lo faceva se vittima di mal di testa o se, semplicemente, annoiato dallo spettacolo offerto dagli altri ventuno attori al suo fianco.

Si faceva consegnare la tazzina da un dirigente, si accovacciava a lato della porta e sorseggiava la pozione araba dando un occhio al campo. Un servizio bar richiesto e ottenuto direttamente sul prato verde.

A Parma, invece, scioccati compagni lo videro aggrapparsi sulla traversa durante un’amichevole infrasettimanale. Si arrampicò e si sedette sul montante orizzontale, gridando indicazioni alla squadra come se nulla fosse.

Sempre in maglia ducale, Boranga arrivò a palleggiare contro la traversa: una, due, tre volte nel corso di alcune partite. Forse una sfida al destino, forse una sfida alla salute degli afficionados crociati.

Leggenda e realtà, racconto favoloso e dato storico: in Boranga tutto s’intreccia, tutto si disperde, accompagnato dal sottofondo dei fantasiosi anni ’70, quelli di Led Zeppelin e Black Sabbath, quelli del boom economico e delle battaglie sociali.

Battaglie che combatteva in prima linea anche ‘Bongo’, profondamente influenzato da Ernesto Che Guevara. Era portiere come lui, il ‘Che’, era vicino alla gente e, proprio come il nativo di Forlì era medico.

Già, perché Boranga negli anni aveva affiancato alla carriera calcistica una brillante carriera universitaria, laureandosi in Biologia prima e Medicina poi.

Gianni Mura non fu convinto della seconda laurea di quel ragazzone che, nel tempo libero, si dilettava a scrivere poesie. Il portiere parmense prese così il giornalista sottobraccio e lo condusse con sé alla discussione della propria tesi. Mura ascoltò e confermò, comprendendo che, quel Boranga, matto lo era per davvero.

Seguendo gli ideali professati dall’altro suo mito politico, Enrico Berlinguer, il medico senza guantoni si presentò fuori dalle fabbriche, guidò picchetti notturni e scioperi, prese parte a comizi e alla campagna elettorale del PCI cesenate, trascinandolo ad uno storico 34,4%.

Con Giorgio Chinaglia traspose il pensiero in azione. Sbeffeggiò il ‘Long John’ laziale come mai nessuno aveva fatto, anticipandolo in uscita e lanciandogli il pallone sulla fronte: fu un atto irriverente, fu lesa maestà.

Bissò quel gesto all’Olimpico quando, dopo aver fermato la Roma sul 2-2, uscì dal campo con il pugno chiuso. “Perché l’ho fatto? Perché sono comunista e ho salutato i compagni di Cesena che sono venuti a vedermi a Roma”, dichiarò alla stampa.

‘Bongo’ da quei lontani anni ’70 non ha mai smesso di giocare, ancora oggi, quasi ottantenne, difende i pali della Marottese, società marchigiana di terza categoria.

Nel lungo lasso temporale trascorso dagli anni professionistici, il folignese è stato medico rinomato e atleta poliedrico, segnando svariati record internazionali nel salto in alto, salto triplo e salto in lungo all’interno delle categorie master.

Sembra infinito, Lamberto Boranga, sembra non sentire lo scorrere del tempo.

D’altronde lo dicevano sugli spalti: era un matto, ‘Bongo’, e matto lo è ancora adesso.

Gianmarco Pacione

Sources & Credits

 

 

Photos sources:
https://www.tecnograf.biz/wordpress/wp-content/uploads/2020/01/1968-69.pdfhttps://it.wikipedia.org/wiki/Lamberto_Borangahttps://ilnobilecalcio.it/2019/03/11/boranga-professione-poeta-lintervista-del-1976/https://gazzettadireggio.gelocal.it/sport/2016/05/03/news/esce-il-portiere-senza-guanti-boranga-si-racconta-in-un-libro-1.13409425

7 gennaio 2021

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