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L’acqua, il nuoto, la vita. Simone Barlaam

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Tempo di lettura 6 minuti

Una chiacchierata con il fenomeno paralimpico tricolore: recordman prodigioso e ragazzo dall’animo profondo

Gianmarco Pacione

4 dicembre 2019

Simone Barlaam è un prodigio umano prima, sportivo poi. Il suo sorriso caldo irradia parole pregne di significato, riflessioni di un diciannovenne che alle medaglie d’oro accosta una mente raffinata e un animo profondo.

La sua disabilità alla gamba destra, figlia di un grave problema infantile al femore e di una successiva infezione, non intacca il suo modo d’essere, anzi, lo rafforza. Un atleta raro, capace di raggiungere traguardi inimmaginabili per il mondo del nuoto. 7 ori mondiali, 4 ori europei, tra i suoi tempi migliori vanta il primato mondiale nei 50 e 100 stile libero e nei 50 e 100 dorso categoria S9. Solo le sue bracciate basterebbero a definire una stella già brillante, unica nel panorama internazionale.

Eppure la vita di Simone Barlaam non è una successione di cronometri e vasche: è un’ammirevole sinfonia sociale, segnata dall’incessante desiderio d’ispirare vite, di fondere il successo sportivo ad un messaggio forte e inequivocabile di energia e speranza.

A raccontarci ambizioni e sogni dentro e fuori dalla vasca è stato proprio il giovane fenomeno milanese, l’ha fatto in una chiacchierata appassionante, distante da luoghi comuni e banalità.

Il tuo rapporto con il nuoto è iniziato perché era l’unica pratica sportiva che potevi svolgere in sicurezza. Quando hai sentito che te ne stavi innamorando veramente?

Fin da piccolo la semplice sensazione di stare in acqua mi piaceva moltissimo. Anche facendo riabilitazione percepivo un grande benessere sensoriale, andavo in estasi, ero libero: solitamente queste sensazioni sono riconducibili al grembo materno, almeno così dicono… Mi sono innamorato del nuoto come disciplina sportiva grazie a Max Tosin, l’allenatore che mi spinge da anni a migliorare in vasca. Insieme a lui ho trovato un gruppo straordinario, quello di Milano, capitanato da un atleta e una persona esemplare come Federico Morlacchi.

Ci parli un po’ della tua grande passione per il disegno? Tuo padre ha detto più volte che da piccolo non facevi altro che disegnare squali, erano il trait d’union tra matita e acqua?

Sono sempre stato appassionato di disegno, ancora oggi quando posso mi diverto a schizzare. È vero, ho disegnato tanti squali perché li trovo animali stupendi: sono un connubio unico di forza e agilità, hanno una struttura imponente, affascinante. Negli anni ho disegnato un po’ di tutto, per esempio durante le superiori mi sono specializzato nella satira politica, influenzato da mostri sacri come Giannelli e Vauro (di cui ho collezionato molti libri) e da un programma televisivo che andava di moda su Sky, “Gli Sgommati”. Oggi invece sono più focalizzato sull’anatomia umana.

Quando hai percepito che la tua carriera di nuotatore sarebbe potuta arrivare a livelli così alti?

Direi nel 2016, quando ho esordito a livello internazionale nell’IPC World Series IDM Swimming di Berlino. È stato l’inizio del cammino che mi ha portato alle Olimpiadi, ai Mondiali e ai record.

A quali figure ti sei ispirato durante la tua maturazione sportiva?

Ho avuto diversi punti di riferimento, Federico Morlacchi ha contato e continua a contare tanto nella mia carriera da atleta e nella mia vita personale. Con lui condivido da anni vasche e quotidianità. Matthew Cowdrey è stato un idolo prima, un obiettivo da raggiungere poi: provare ad infrangere i suoi successi e i suoi record mi ha permesso di alzare l’asticella e di puntare sempre più in alto. Per l’etica lavorativa invece m’ispiro a Kobe Bryant e alla sua “Mamba Mentality”. Da qualche tempo sono un grande appassionato di basket, seguo il mondo NBA ma anche l’Eurolega. In America sono anche riuscito a vedere qualche partita: ho la fortuna di avere il papà che lavora a Brooklyn, quando capita vado a vedere i Nets.

Quali sono state, fino a qui, le più grandi soddisfazioni sportive e umane della tua vita?

Al di là delle soddisfazioni sportive che, fortunatamente, stanno arrivando con continuità, sono più appagato dalle soddisfazioni umane. La più bella esperienza che potessi fare l’ho vissuta in quarta superiore, quando sono andato in Australia per un anno di studio all’high school e di allenamenti in un centro di alto livello. Volevo imparare bene l’inglese e ci sono riuscito senza abbandonare il nuoto. Devo dire che ancora oggi si è rivelata la scelta migliore che potessi fare.

Hai confidato di meditare mentre nuoti, di raggiungere un’altra dimensione e di entrare in un isolamento creativo. Ci spiegheresti meglio questi concetti profondi e atipici?

L’acqua è un ambiente che isola, cancella qualsiasi tipo di suono. Io tendenzialmente sono un chiacchierone, ho bisogno di parlare con la gente. Mentre nuoto, però, riesco a confrontarmi con me stesso. Le lunghe ore di allenamento permettono un dialogo con la propria mente. In acqua si alternano pensieri superficiali e profondi: a tratti mi focalizzo sul ritmo, sulla respirazione, subito dopo, magari durante le vasche di nuotata sciolta, rifletto su tematiche complesse, distanti dalla banalità. In acqua posso dedicarmi del tempo e pensare: è un modo per staccare dall’esterno ogni giorno.

Il tuo sorriso è stata l’immagine di copertina dell’exploit a Londra negli ultimi Mondiali. Era un sorriso legato più ai tuoi risultati sportivi o all’effetto mediatico che stavi avendo sul popolo italiano?

Era una pura e spontanea forma di felicità dettata da un ambiente meraviglioso e dai risultati storici che stavo conseguendo. In quei giorni ho ricevuto tantissimo affetto dall’Italia e non solo: scalda il cuore vedere messaggi di supporto da chi non conosci, vuol dire che sei riuscito ad ispirare qualcuno, è una soddisfazione impareggiabile.

Gli sport paralimpici in Italia e all’estero. È netta la differenza di trattamento?

Mi ha meravigliato senza dubbio la situazione australiana, dove un popolo culturalmente “nuovo” e un’incredibile apertura sociale permettono un approccio diverso al mondo paralimpico. Lì non ci sono differenze tra atleti, non ci sono campioni di serie A e di serie B: non è retorica. In Italia la situazione è positiva: negli ultimi anni si stanno facendo passi da gigante, è un piacere vedere crescere la popolarità delle nostre discipline e degli atleti che omaggiano il tricolore in giro per il mondo.

Dopo la maturità hai cominciato il percorso universitario in Ingegneria. Come ti stai approcciando a questo nuovo capitolo della vita?

Lo vivo molto serenamente. Chiaro, al momento la mia priorità è Tokyo 2020, ma cercherò comunque di dare gli esami. A Milano sono fortunato, riesco ad avere l’università e il centro di allenamenti in zone abbastanza vicine tra loro. Di giorno, quando non sono in vasca, riesco sempre a ritagliarmi dei momenti per studiare.

Il tuo futuro nel nuoto, speranze e obiettivi nel medio e nel lungo termine?

In vasca voglio sempre continuare a migliorarmi, è innegabile. Il mio desiderio principale, però, è quello di lasciare un segno non solo nel nuoto. Vorrei che la mia storia trapelasse e arrivasse ai tanti bambini e bambine che vivono condizioni simili alle mie: devono aprirsi al mondo, per farlo hanno bisogno di esempi da seguire e di persone che li supportino pienamente. La nostra condizione può e deve essere vissuta con leggerezza e con autoironia, questo è il consiglio più grande che mi sento di dare.

Articolo di Gianmarco Pacione

Credits
BIZZI/FINP 
IG simone_barlaam

Sources & Credits

 

 

Photos sources:
https://www.instagram.com/simone_barlaam/
Video sources:
https://www.youtube.com/watch?v=y9A2YqhDUK0
https://www.youtube.com/watch?v=a_0bibUO-d4

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