Lo sport in Keith Haring

“Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare”

Colori accesi, contorni marcati, uomini, donne e bambini, cani, ufo e delfini. L’arte di Keith Haring è un linguaggio universalmente riconosciuto: è potente, simbolica, divertente.

Con le sue figure apparentemente infantili, il nativo di Reading (Pennsylvania), è riuscito a centrare temi di estrema rilevanza: violenza, sesso, denaro, televisione e, come tristemente noto, il dramma dei contagi HIV.

Haring moriva vessato proprio dall’AIDS nel febbraio 1990, a soli a 31 anni. In precedenza si era già ritagliato un posto centrale, quasi messianico, nel ciclone della cultura pop anni ’80.

Dalle metropolitane e dall’underground newyorchese ai grandi muri e alle grandi installazioni, il suo impegno sociale-visivo ha sortito effetti su tutte le classi sociali e le generazioni.

In particolare, Haring ha sempre avuto un occhio di riguardo per le fasce infantili, portando ai bambini e in tante scuole americane la sua arte. “Loro rappresentano il futuro, l’immagine della perfezione”, scriveva nel suo diario.

Commercializzò la sua produzione, pioniere in questo campo, aprendo il famoso ‘Pop Shop’ di Soho. I suoi esseri umani e animali si radicarono nella cultura popolare: incroci unici, figli delle più svariate correnti e contaminazioni, dai fumetti all’arte precolombiana, da Picasso ai pittogrammi giapponesi.

Ovviamente anche l’atto sportivo è entrato di forza nelle opere del versatile talento occhialuto. Abbiamo creato una galleria ad hoc, buona visione.