Juan Manuel Fangio, ‘El Maestro’

“Non ho mai pensato all’auto come a un mezzo per conseguire un fine, invece ho sempre pensato di essere parte dell’auto, così come la biella e il pistone”
Sono tanti i motivi per cui Juan Manuel Fangio è considerato il dio delle quattro ruote. La ragione principale va ritrovata nel suo rapporto ancestrale con l’automobile.
L’auto, per il 5 volte campione del mondo, era molto più di un mezzo da sfruttare per raggiungere la gloria. Era un membro aggiuntivo del proprio corpo, era una poesia meccanica da decantare, studiare, ascoltare e spingere al limite.

“Quando va bene il motore è una musica incomparabile”
Un ritmo originale e impareggiabile, quello di Juan Manuel Fangio. Un ritmo argentino, dai vaghi sentori italiani (la famiglia era originaria dell’Abruzzo), un ritmo che si radicò inizialmente nel cosiddetto Turismo de Carretera.
Appena maggiorenne, verso la fine degli anni ’30, Fangio iniziò a sfidare i primitivi scenari sudamericani, immergendosi in affollate, pericolose e lunghissime gare. Corse folli, impervie, alternate tra sperdute vene d’asfalto e cittadine eccitate.

Sabbia, calore, problemi meccanici. L’America meridionale venne attraversata in lungo e in largo dallo spericolato nativo di Balcarce, dai suoi occhialoni e dalla sua, già allora, infinita conoscenza delle vetture.
Stava proprio qui il segreto del ‘Maestro’ delle corse, stava nell’indagare costantemente il proprio volante, il proprio motore, nell’entrare in simbiosi totale con la macchina, percependo nell’immediato problemi e potenziali intoppi.
Intoppi che, in quelle condizioni estreme, arrivavano inevitabili e drammatici, come nel 1948, quando durante il Gran Premio dell’America del Sud, massacrante maratona di 9500 chilometri, Fangio vide scivolare la sua Chevrolet fuori dal tracciato e, con essa, anche la vita del copilota e amico Daniel Urrutia.
Fu solo la prima delle tante morti a cui assistette in prima persona.
“Mi resi conto che non era così triste morire alla guida, perché in fondo non riesci nemmeno ad accorgerti di quello che sta succedendo”, disse a distanza di tempo ‘El Maestro’ ripensando a quel buio momento.

Ci voleva coraggio, vi ripeteranno i piloti di quei tempi, coraggio e incoscienza. Fangio, forte di un pedigree ormai variegato, dopo molte vittorie nelle sue terre esotiche decise di compiere il grande salto, arrivando nella dorata Europa. Poche scelte si rivelarono migliori di questa.
Nel Vecchio Continente il pilota argentino fece conoscere da subito tutto il suo calcolato talento, riuscendo in quello che altri si sarebbero potuti solo sognare. Alfa Romeo, Mercedes, Ferrari e Maserati, 5 titoli mondiali vinti con 4 scuderie diverse: obiettivi utopici, al giorno d’oggi addirittura irreali.
Disputò 52 Gran Premi, vincendone 24 e salendo 35 volte sul podio. Fangio partì in prima posizione il 55,8% dei GP disputati, un robot.
Con ogni team strinse un rapporto di amicizia fraterna, erano epoche in cui 4-5 persone si prendevano cura delle singole vetture: piccole famiglie a contatto per ore e ore. Nuclei umani, profondamene distanti per usi e costumi dai tantissimi professionisti impegnati nelle scuderie moderne.
Fangio prendeva del tempo per stare con tutti, principalmente con le macchine: le sue vittorie partivano dai box, partivano dalle chiacchiere e dalle idee, partivano dal lavoro settimanale di messa a punto.

Un mago dell’assetto e delle modifiche, un innovatore, conosciuto anche per il meticoloso approccio alle singole piste. Capitava spesso di vederlo girare a bordo di una bici o di una moto sui più svariati circuiti, pronto a carpirne segreti prima di allora inascoltati, pronto a disegnare traiettorie nuove e inesplorate.
In ogni vettura fu eroe da celebrare, uomo su cui puntare gli occhi. Per tutti gli anni ’50 scavò un solco impossibile da colmare: il suo cognome, così tagliente ed evocativo, così argentino e ritmico, divenne sinonimo di pilota eccezionale.
In questi giorni Netflix ha rilasciato il documentario “Fangio – L’uomo che domava le macchine”: un raffinato e gustoso viaggio nella vita del più grande di sempre, raccontato in prima persona da altri giganti delle quattro ruote.
Alonso, Prost, Stewart, Häkkinen, Rosberg e Hermann: fuoriclasse vogliosi di omaggiare un padrino, un punto di riferimento, una leggenda della propria disciplina.

“Devi sempre lottare per essere il migliore, ma non devi mai credere di esserlo”
Juan Manuel Fangio è morto il 17 luglio 1995, a poco più di 84 anni. La sua figura mitologica è ancora oggi viva e palpitante nel mondo dei motori.
Sources & Credits
Photos sources: https://juanmanuelfangiocmm.wordpress.comhttps://en.wikipedia.org/wiki/Juan_Manuel_Fangiohttp://motori.quotidiano.net/comefare/juan-manuel-fangio-biografia-carriera-automobilistica.htmhttp://www.f1-grandprix.com/?page_id=1095https://www.diecastlegends.com/fangio-1956-ferrari-d50-editorialhttps://apnews.com/e6ffd5ca36c64e538cd04d6ac21c9212https://anz.newonnetflix.info/info/80227556F
17 luglio 2020
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