Jeremy Okai Davis, l’arte come espansione individuale e collettiva
Il pittore ed ex cestista che, attraverso la serie ‘A Good Sport’, vuole riscoprire e condividere la cultura afroamericana

Jeremy Okai Davis, Summit, 2022, acrylic on canvas, 70 x 62″ (detail). Courtesy of the artist and Elizabeth Leach Gallery. Image Credit: Mario Gallucci.
“Sono cresciuto amando due cose, l’arte e la pallacanestro. Specialmente durante la mia adolescenza questo era un parallelismo costante. All’high school ero sempre a contatto sia con gli atleti, ovvero i miei compagni di squadra, sia con gli ‘atipici’ del dipartimento d’arte. Era difficile combinare questa duplice vocazione, non riuscivo a trovare una completa definizione di me stesso e tenevo separati questi due mondi. Poi al college ho avuto una rivelazione: il basket era diventata una ‘bestia differente’, gli allenamenti erano molto più impegnativi e la mia passione non era abbastanza forte… Così, dipingendo nel mio dormitorio, ho capito che avrei fatto l’artista, il pittore”
I dipinti di Jeremy Okai Davis parlano di ricordi, di figure disperse nel flusso del tempo, spesso dimenticate come le loro gesta, come i loro significati, come le loro conquiste. Sono uomini e donne che hanno segnato indelebilmente la storia afroamericana, sono antichi profili che parlano di passato nel presente, di presente nel passato; sono soprattutto atleti che danno vita alla serie ‘A Good Sport’, attualmente esposta presso l’Elizabeth Leach Gallery di Portland (galleria che lo rappresenta).

LEFT: Jeremy Okai Davis, Pearl (Walt), 2022, acrylic on canvas, 60 x 60″. Courtesy of the artist and Elizabeth Leach Gallery. Image Credit: Mario Gallucci.
RIGHT: Jeremy Okai Davis. [Photo by Brittany Barkdull]

Jeremy Okai Davis, Black Gene (Benson), 2022, acrylic & pumice medium on canvas, 84 x 72″. Courtesy of the artist and Elizabeth Leach Gallery. Image Credit: Mario Gallucci.
Per introdurre la filosofia artistica di questo giovane pittore nato in North Carolina e oggi di base a Portland, Oregon, bisogna necessariamente parlare del fortissimo legame con l’immaginario e l’elemento sportivo. Perché Jeremy ha il basket nel sangue. E non è un caso che il Gioco di James Naismith e i suoi protagonisti siano tra le muse più ritratte dai suoi pennelli…
“Sono cresciuto a Charlotte, dove mio padre faceva l’allenatore di basket. Lo seguivo agli allenamenti, vedevo con lui i videotape delle partite, osservavo per casa libri giganti di schemi e appunti… Fin da piccolo ho preso la palla in mano, spinto anche dall’esempio di mio zio Walter Davis (oro olimpico a Montréal ’76 e 6 volte All-Star NBA ndr) e di mio cugino Hubert Davis (ex giocatore NBA e attuale allenatore dei gloriosi Tar Heels di North Carolina ndr). In questo tipo di ambiente avevo la sensazione di dover diventare un atleta. Era scritto nella mia storia”
La storia di Jeremy invece prende una piega diversa, trovando nella tela, e non nel parquet, la vera vocazione. Una vocazione che custodisce per molto tempo nutrendosi di pop art e viaggi introspettivi. Una vocazione che abbraccia pienamente nell’anno da freshman, quando decide di abbandonare i canestri e di convogliare tutte le sue energie sulla tela.

Jeremy Okai Davis, Hawk (Connie Hawkins), 2022, acrylic on canvas, 28 x 20″. Courtesy of the artist and Elizabeth Leach Gallery. Image Credit: Mario Gallucci.
“Ho cambiato college e mi sono dedicato unicamente all’arte e al graphic design, che a fine anni ’90 stava esplodendo. La pop art è stata la mia porta d’ingresso. Mi affascinavano i lavori di Warhol e Lichtenstein, di Rosenquist e Hamilton. Loro proponevano un qualcosa di accessibile a tutti, giocando sulla costante dicotomia tra produzione di massa e comunicazione metaforica. Chuck Close è stato un enorme punto di riferimento nella mia maturazione artistica, così come Basquiat, che ho imparato ad apprezzare nel tempo. Ma è stato Kerry James Marshall a ispirare la mia filosofia artistica: per me è fondamentale usare l’arte come strumento per educare, educare me stesso e, contemporaneamente, gli osservatori. È una forma di ‘each one teach one’ che permette un processo di espansione individuale e collettiva”
E il processo di duplice espansione teorizzato da Jeremy si sta concentrando su una tanto semplice, quanto complessa domanda: cosa vuol dire essere afroamericano? I suoi quadri non hanno la presunzione di fornire una risposta completa, preferiscono educare attraverso la narrazione, la riflessione, la metodica presentazione di personalità che vanno a comporre, tassello dopo tassello, il complesso mosaico di una storia troppo a lungo snobbata, emarginata, cancellata.

LEFT: Jeremy Okai Davis, Untitled (Youth Football), 2022, acrylic on canvas, 36 x 36″. Courtesy of the artist and Elizabeth Leach Gallery. Image Credit: Mario Gallucci.
RIGHT: Jeremy Okai Davis, Untitled (Cheer Squad), 2022, acrylic on canvas, 36 x 36″. Courtesy of the artist and Elizabeth Leach Gallery. Image Credit: Mario Gallucci.
“Dal 2015 ho iniziato a concentrarmi sull’idea di scoprire ed evidenziare storie di personaggi afroamericani. I protagonisti di ‘A Good Sport’ possono essere atleti, ma anche scrittori, artisti, attivisti… Voglio far capire quanto sia stata multiforme e profonda l’incidenza degli afroamericani sulla società. Sento di avere un grande responsabilità. Uno dei miei quadri, per esempio, è dedicato a Bill Russell. L’ho dipinto prima della sua morte e per me ha un enorme valore: Russell è un’icona sportiva, ma è stato capace di trascendere questa condizione, diventando un’icona sociale. Le sue parole e le sue azioni sono state fondamentali, così come quelle di Jackie Robinson o di personaggi meno celebri, come il fantino Jimmy Winkfield, che ad inizio ‘900 fu costretto a scappare dall’America e a competere in Russia per pesanti problemi razziali“
Artisti e atleti possono incidere sulla società in maniera analoga, precisa Jeremy prima di tornare sulle sue tele e su nuovi personaggi da ricercare e ritrarre. Nel caso dell’artista entra però in gioco il tema dell’astrazione, dell’opera che non rappresenta un punto di arrivo, ma un punto di partenza per dialoghi, conversazioni, riflessioni. Per l’arricchimento personale e comunitario. Come nel caso di ‘A Good Sport’.
Credits: Jeremy Okai , Elizabeth Leach Gallery , Mario Gallucci Photo.
Testo a cura di Gianmarco Pacione
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