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Palloni ed equilibrio, l’arte di Jeff Koons

Lo sport visto e interpretato da uno dei più grandi artisti contemporanei

Creatività, corpi in movimento, impatto sociale ed effetto visivo. L’arte contemporanea è stata ed è inevitabilmente contaminata dalla sfera sportiva. Un matrimonio fruttuoso e duraturo, che vede concretizzare l’espressione di molti artisti in opere ibride, in cui viene sprigionata, potente ed efficace, la carica emozionale e culturale dello sport.

Abbiamo deciso di penetrare in questo mondo, provando, passo dopo passo, a regalarvi una panoramica sui grandi artisti che dello sport hanno fatto musa e ispirazione.

Iniziamo da uno dei nomi più incisivi e conosciuti, Jeff Koons per l’arte contemporanea è qualcosa di più di un semplice artista. L’americano, da tanti definito come erede naturale di Andy Warhol, è un’icona capace di coprire oltre 40 anni di storia con le proprie opere multiformi.

“L’arte è qualcosa che accade dentro di noi. Guardiamo le cose nel mondo e ne siamo entusiasti. Comprendiamo le nostre possibilità di diventare. E questo è il significato dell’arte.”

La produzione artistica di Koons inizia a cavallo degli anni ’80, da subito s’incentra sulla decontestualizzazione e sulla ricollocazione di oggetti comuni, quotidiani. Una pratica che presto l’ha visto accostare al ready-made di Marchel Duchamp, poi evolutasi negli anni, influenzata dal gusto kitsch, arrivando ai giorni nostri ad essere altamente ricercata e remunerata.

Descrivere la vita di Koons, però, non è il nostro obiettivo. La carrellata in questa nostra selezione creata ad hoc inizia dal 1985, quando Koons nella galleria Monuments di New York propone al pubblico la serie “The Equilibrium”. Qui un’apoteosi dell’equilibrio, o meglio, un’apparente assenza del movimento e della dinamicità accoglie gli occhi degli spettatori. Uno, due, tre palloni da basket vengono inseriti in teche di vetro, fluttuanti e statici, apparentemente immersi nell’acqua.

In realtà Koons, dopo aver chiesto aiuto al premio Nobel per la fisica Richard Leynman, sfrutta l’acqua distillata, con cui “gonfia” i palloni stessi e con cui riempie la teca insieme al cloruro di sodio. Una metafora dell’equilibrio fisico, ma anche psicologico e sociale. A suo dire “La sospensione dei palloni simbolizza uno stato di perfezione”.

Per far passare questo concetto, Koons pesca come consuetudine degli oggetti dalla cultura popolare americana, quei palloni che si vedevano rimbalzare nei sempre più grandi palazzetti NBA, ma anche nei playground di ogni città americana: dai fienili dell’Indiana ai ghetti newyorchesi.

“Io nel modo di muoversi dei palloni rivedo sempre uno schema di pensiero, attraverso il quale le informazioni vanno e vengono in maniera diversa”

È forte il contrasto sensoriale, echeggia quasi antitetica l’immagine di un pallone, simulacro per eccellenza d’instancabile movimento, obbligato alla stasi, alla perdita dei valori intrinsechi alla propria funzione quotidiana.

Koons replica l’esecuzione in maniera seriale, come da tradizione, strizzando l’occhio al consumismo americano e, allo stesso tempo, regalando una dignità, o meglio, un potere artistico a semplici sfere Spalding.

Nella sua esibizione dell’85 non si limita a queste opere, acquista ed espone una serie di poster commerciali del noto marchio Nike. Manifesti entrati nell’immaginario collettivo per la loro eccentricità e capacità di raccontare singoli giocatori NBA attraverso il proprio soprannome.

“Io ero tutto concentrato sull’organizzazione della mostra; camminavo per strada e pensavo alle mie vasche: “ma pensa, realizzerò un boccaglio di bronzo, pazzesco”, e all’improvviso mi sono accorto che i manifesti Nike parlano la stessa lingua”

Anche qui Koons, estrapolando oggetti dal contesto urbano, cambia loro completamente i connotati, obbligandoli a  parlare una lingua differente. La lingua degli eletti, di coloro che, attraverso lo sport, riescono ad uscire da contesti sociali estremamente precari, assurgendo inconsapevolmente più che a figure di redenzione, a stereotipi creati su misura dal mercato e dai mass media.

Per ogni Moses Malone rappresentato in un contesto biblico, ci sono cento, mille ragazzi persi nelle periferie americane, per ogni Darrell Griffith, ‘Dottor Dunkenstein”, immortalato con camice e ampolle, ci sono intere generazioni di giovani privati della corretta educazione scolastica. Denuncia, ma anche presa di coscienza di un fenomeno, quello sportivo, che permette a figure della comunità afroamericana di ritagliarsi un’influenza economica e un’esposizione difficilmente ipotizzabile.

Concetto di ready-made che viene riproposto anche in un’altra pratica di Koons, la realizzazione di bronzi emulanti materiali presenti nelle case di tutti gli americani. Anche qui l’artista viene influenzato dallo sport, come dimostrano i modelli bronzei di un pallone da calcio e da basket, “Soccerball” e “Basketball”, per l’appunto.

Sono palloni appesantiti, resi inutilizzabili, per certi versi vittime del genio artistico di Koons. Sfere che appaiono morte, private della loro esistenza naturale, sfere che vedono completamente neutralizzata la propria funzione primaria. Non si può calciare il bronzo, non si può palleggiare il bronzo. Gli oggetti vengono ricollocati in un mondo ‘altro’, impossibile da prevedere e difficile da accettare.

Eppure, tramite questa trasposizione, i palloni vengono nobilitati, arrivano ad occupare un posto nel mondo dell’arte, in un universo che dovrebbe percorrere binari paralleli rispetto a quelli sportivi. Una metamorfosi che però risulta incompleta. I palloni sono meticci, incroci di universi diversi: contemporaneamente attraggono e respingono gli occhi dello spettatore, destabilizzandolo.

Basket e calcio, Jeff Koons ci ha mostrato come l’influenza di questi due sport abbia stimolato la sua prorompente creatività. La prossima settimana, seguendo il fil rouge di questa rubrica, andremo alla scoperta di un altro artista che, più o meno consapevolmente, ha visto la propria produzione artistica profondamente contaminata dall’atto sportivo.

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