Nel nome delle sue origini e dell'iconico Baselayer, Under Armour ci ha permesso di ammirare la partita tra Patriots e Colts

Francoforte tende verso l'alto. Economicamente, architettonicamente, persino sportivamente. Non è un caso che questa città priva di tangibile tradizione, ma ricca di grattacieli e centri nevralgici finanziari, sia diventata una sorta di seconda casa europea per la meraviglia tattica e atletica NFL. Grazie ad Under Armour abbiamo avuto modo di vivere un'esperienza USA nel cuore della Germania, gustando la partita tra New England Patriots e Indianapolis Colts all'interno del futuristico Deutsche Bank Park, e tuffandoci nella suggestiva storia di un brand nato con e per il football americano.

"Tutto è cominciato sul campo". Le parole del Founder UA Kevin Plank paiono un testamento dedicato alla propria passione, all'essenza di una visione maturata tra yard e spogliatoi nel lontano 1996, quando ricopriva il ruolo di fullback e Special Teams captain nel celebre programma della University of Maryland. "Sotto le divise eravamo costretti ad indossare dei materiali pesantissimi, resi ancora più pesanti dal sudore", ricorda durante uno speciale evento dedicato all'evoluzione dell'iconico prodotto Baselayer, per l'occasione presentato nella sua ultima evoluzione ColdGear. Durante l'esposizione di un'inusuale storia imprenditoriale, Plank si sofferma addirittura su un curioso ritratto vintage, che lo vede indossare una camicia di flanella durante una partita giovanile, "Volevo creare un prodotto che aumentasse le performance e il livello di comodità di ogni mio compagno", analizza riferendosi a quello che, retrospettivamente, assume i contorni di un medioevo sportivo, "Così ho venduto fiori per racimolare qualche soldo e ho deciso d'investire tutto sul progetto Under Armour, cominciando a spedire prodotti a squadre collegiali e a compagni che, nel frattempo, erano sbarcati in NFL".

Davanti ad una gigantografia di Eric ‘Big E’ Ogbogu, leggendario defensive end dei Dallas Cowboys e volto dell'altrettanto leggendaria campagna 'Protect This House', lanciata da Under Armour nel 2003 e rimasta, ancora oggi, manifesto del DNA del brand, le parole di Plank danzano tra carriera sportiva e imprenditoriale, introducendoci ad una grande celebrazione NFL e delineando la fondativa volontà di garantire prodotti capaci di trascendere la realtà. Armature, per l'appunto, capaci di tramutarsi in oggetti magici applicati a linee di scrimmage e touchdown prima, all'intero universo sportivo poi. "Indossare il Baselayer per me equivaleva ad avere un superpotere", conferma, non a caso, l'ospite d'onore e volto storico dell'azienda nata in Baltimora Lindsey Vonn, poco prima di prendere posto sugli spalti per lasciarsi ipnotizzare dall'eterna rivalità tra Patriots e Colts.

Parlando di superpoteri, osservare dal vivo i giocatori NFL contemporanei non può che suscitare riflessioni e incredulità per un livello fisico che non trova eguali, probabilmente, in nessun altro contesto sportivo. Sotto caschi e protezioni, difatti, paiono celarsi dei supereroi, più che degli esseri umani: macchine cinetiche capaci di travolgere, decollare e volare nel cielo di Francoforte, già sovrappopolato da aerei provenienti da ogni dove. Di fronte agli oltre 50mila presenti, divisi tra fanatici del Vecchio Continente e vacanzieri d'oltreoceano, i 3 sack di Dayo Odeyingbo e le pragmatiche traiettorie di Gardner Minshaw consegnano l'upset per 10-6 alla franchigia d'Indianapolis, ammutolendo i tantissimi fans dei Patriots accorsi sulle rive del Meno.

Ma il significato di questa domenica pomeriggio tedesca non può limitarsi al mero dato statistico, è piuttosto racchiuso nella conferma di uno sport che, anno dopo anno, sta riuscendo ad attecchire sempre più sul suolo europeo, raccogliendo neofiti e adepti richiamati dal fascino ferale di atleti semplicemente straordinari.

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Under Armour

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Testi di Gianmarco Pacione