Dalle onde californiane allo skate, dalle strade al ghota del panorama fashion. Storia di un visionario

“Avevo tutto quello che volevo, ma c’erano anche grandi responsabilità. E qual è il senso di avere tutto, se non puoi godertelo?”

Strana scalata, quella di Shawn Stüssy. Strano percorso, quello di un uomo che partendo dalle tavole da surf californiane è arrivato a vestire panorami underground e strade di tutto il mondo, generando di fatto il concetto di streetwear.

Strana scalata, quella di Shawn Stüssy. Strano percorso, quello di un ragazzo prima immerso tra cultura hippy e onde, poi divenuto guru della scena fashion globale, infine allontanatosi da tutto, da fama e riconoscimenti, per crescere i propri figli.

Una scalata anomala, un percorso che, da oltre trent’anni, continua ad ispirare sottoculture e celebri case di moda, skater e designer, stile ed estetica collettiva.

TRA TAVOLE E T-SHIRT, TRA CALIFORNIA E GIAPPONE

Erano i primi anni ’80 a Laguna Beach, erano gli anni di una ribellione già cominciata, mai codificata. Si surfava, si viveva sulla cresta di un’onda fatta di libertà e psichedelia, si cavalcavano creatività e capelli lunghi.

Shawn Stüssy di quello scenario era partecipe e artefice. Nato nel 1954, nipote di un emigrante svizzero, Stüssy aveva presto iniziato a stare in equilibrio sull’oceano e a lavorare su quelle tavole che gli permettevano di scivolare sull’acqua.

Poco più che venticinquenne aprì la propria attività in una sorta di comune hippy. Privo di soldi, ma traboccante di idee, questo artigiano della vetroresina si fece conoscere grazie al passaparola e alla distintiva firma con cui cominciò a contrassegnare ogni prodotto: quel logo scritto a mano, influenzato da tag e graffiti, e quella u arricchita dall’umlaut sarebbero stati la chiave di volta per l’esplosione del brand. Illuminazioni grafiche alla base di tutto, dunque, ma non solo.

Nel 1981 il giovane Shawn ricevette un’offerta lavorativa dal Giappone, da una casa produttrice di tavole da surf che aveva avuto modo di osservare e studiare i suoi gioielli acquatici. Le trasferte nipponiche diventarono per il californiano un modo per affacciarsi all’alta moda, per battere i negozi di tendenza di Tokyo, per assimilare tendenze e gusti estetici.

Ad un anno di distanza il definitivo punto di non ritorno. Stüssy partecipò ad una fiera californiana, l’Action Sports Retail. Lì espose le sue tavole e, contemporaneamente, iniziò a distribuire maglie personalizzate.

“Non ero mai stato a quel tipo di fiera. Quindi mi sono detto di stampare la scritta ‘Stüssy’ bianca su alcune t-shirt nere. In quei giorni vendetti 24 tavole”

UNA TRIBÙ VESTITA STÜSSY

Stüssy divenne fashion designer senza accorgersene. Nel 1984 venne avvicinato da Frank Sinatra Jr. (nessun legame di parentela con ‘The Voice’) e gli venne proposto di lanciare una linea d’abbigliamento.

I suoi prodotti ebbero immediatamente un impatto epidemico su tutta la selva underground di surfer e skater. Il primo, iconico cappello da pittore divenne un oggetto di culto, un must have, così come le t-shirt e le giacche affrescate da grafiche dissacranti, da immagini rubate da altri brand e reinterpretate. La genialità di Shawn Stüssy si esaltò proprio in questo processo di appropriazione e reinvenzione dell’elemento alta moda. L’opera simbolista di Stüssy attinse da Rolex e Chanel, dalla corona e dal celebre No.4, smitizzando l’aura leggendaria aleggiante su questi marchi. Tra punk e Warhol, tra onde e asfalto, la umlaut travalicò prima i confini californiani, con il primo, storico negozio monomarca aperto a New York, poi le acque oceaniche, giungendo in Giappone ed Europa.

Fu un’ascesa vertiginosa, fu la nascita del concetto di streetwear.

Un processo che venne certificato e ingigantito mediaticamente dalla costituzione della cosiddetta International Stüssy Tribe: un cenacolo elitario, formato da guru dello streetwear europeo e mondiale come Luca Benini (Slam Jam), Jules Gayton, Alex Turnbull e Hiroshi Fujiwara. Nomi che ai profani dell’ambiente diranno poco, ma che rientrano a pieni meriti nel gotha delle figure più influenti in questo processo evolutivo del mondo fashion. 

TOCCARE L’APICE PER DIRE ADDIO

Come i più grandi rivoluzionari, una volta sedutosi sulla vetta, una volta raggiunti i vertici di un ambiente che casualmente l’aveva accolto e venerato, Shawn Stüssy decise di lasciare la propria azienda.

Una scelta presa a soli 41 anni. Una scelta dettata dal desiderio di passare il maggior tempo possibile al fianco dei proprio figli: “Volevo essere tanto puro nel crescere i miei figli, quanto lo ero stato nel crescere il mio business”.

Stüssy vendette le quote a Sinatra Jr. nel 1995, chiuse la porta e da allora non si voltò più indietro. Oggi continua a vivere tra Francia, Spagna e Hawaii, in una sorta di buen ritiro permanente. Le sue collaborazioni, le sue firme estetiche, continuano ad essere richieste dai giganti della moda, così come da case di produzione di tavole da surf.

Stüssy non può essere definito eremita a tutti gli effetti, dunque, ma visionario che, a quasi 70 anni, riesce ancora a stuzzicare, ad ispirare, a far desiderare il proprio genio sovversivo, la propria umlaut dipinta da oceani, strade e rivoluzioni culturali, il proprio status di leggenda vivente.