Il Paris Saint Germain è la squadra di calcio più glamour del mondo. Per i sobborghi parigini, però, esiste solo il nome Red Star Paris
C’è sempre un’altra Parigi. Via dalle luci, lontana dagli Champs Élysées e dai miliardi degli Emiri. Scordandosi di Kylian Mbappé, di Neymar, di Messi e Thiago Silva, ti inoltri in una metropoli che sarebbe piaciuta a Émile Zola e a Victor Hugo e, più di tutti, a Marcel Proust: alla ricerca del tempo perduto.
Saint-Ouen è un sobborgo della zona Nord della capitale francese. Per i turisti, il quartiere è noto perché ospita il mercato delle pulci più popolare della capitale. Qui abita il Red Star Paris.


Il simbolo, una stella rossa posta al centro di un riquadro verde, è il fulcro di articolate disamine che intendono chiarirne la provenienza. Tra queste, una fa riferimento al suggerimento di Miss Jenny, governante della famiglia di Jules Rimet, che tutti ricordano come l’ideatore della Coppa del Mondo, nonché quale più longevo presidente della FIFA, ma che è stato anche il fondatore del Red Star, nel 1897.
Rimet diede vita al club in un piccolo caffè parigino. All’epoca era uno studente di giurisprudenza. Avrebbe cambiato il calcio, ma intanto cercava di farlo attecchire nel territorio della capitale. Jenny avrebbe scelto il nome della squadra dedicandolo alla compagnia navale Red Star, che con i suoi transatlantici portava dall’Europa all’America migliaia di emigranti, solcando l’oceano sulla rotta tra Anversa e Coney Island.
Leggenda o verità, di sicuro il bianco e il verde, che sono i colori della società, sono divenuti un emblema resistenziale. Un dato di fatto, questo, evidenziato fin dall’iconografia che contrappone al Paris Saint-Germain il Red Star, che è di stanza in uno stadio, il vecchio Bauer, dalle tribune rugginose e per cui è stato necessario progettare una sollecita e laboriosa ristrutturazione, sostenuta anche dall’ex Presidente della Repubblica, François Hollande, non nuovo a frequentare le tribune dell’impianto e così coinvolto da non esitare a convincere a seguirlo pure dei ministri dell’Esecutivo.

Ma il tratto politico del Red Star ha una definizione che porta alla Seconda Guerra Mondiale. Espressione di un quartiere popolare, un distretto della classe lavoratrice in cui la lotta all’occupazione nazista era forte, a far parte della squadra era anche Rino Della Negra, un giocatore i cui genitori erano italiani e che, durante il conflitto, era entrato in un gruppo partigiano dalle posizioni comuniste. Ferito e catturato dai tedeschi nel 1944, venne giustiziato.
L’ultimo messaggio che fece recapitare in una lettera spedita al fratello Sylvain prima dell’esecuzione conteneva un saluto: “Envoie l’adieu et le bonjour à tout le Red Star”. Dì addio e buongiorno a tutto il Red Star.

Da sempre leva d’integrazione, con molti calciatori dal doppio passaporto, e allenato, in passato, da Steve Marlet, martinicano nato a Phitiviers, piccolo comune nella regione della Loira, con una buonissima carriera tra i professionisti, con 23 presenze e 6 segnati tra il 2000 e il 2004 con la nazionale francese, il Red Star si è guadagnato un culto di nicchia che lo rende l’esatto contrario del PSG.
Se al Parco dei Principi ha trovato piena consistenza il turbocapitalismo del calcio, la legittimazione della deregulation applicata allo sport, il superamento dell’identità comprato con centinaia di milioni di euro e la nascita per partenogenesi di un tifoso-non tifoso, ma puro cliente, al Bauer c’è la replica romantica e malinconica a questi concetti.

Il Red Star ha brillato nella prima metà del secolo scorso, ha vinto quattro coppe di Francia, ma il declino che ne è seguito è stato continuo, con ripetuti saliscendi e interminabili difficoltà finanziarie. Nonostante tutto, il Red Star non conosce l’abbandono alla dittatura del calcio moderno.
L’unico compromesso accettato è stato quello che ha portato a firmare un accordo di fornitura delle maglie e di apporre sulla casacca il marchio di uno sponsor. Il resto è una rivolta permanente, gestita con meticoloso senso dell’equilibrio da Patrice Haddad, produttore cinematografico che dal 2008 è presidente e proprietario del club.


Il lancio delle nuove divise Kappa, create in collaborazione con il brand Lack of Guidance, è l’ennesima dimostrazione tangibile della filosofia Red Star. Una filosofia che attinge dalla nostalgia calcistica, dal minimalismo estetico destinato a divenire forma di culto, e che si sublima in una produzione multimediale incentrata sul rapporto tra il contesto socio-territoriale parigino e il Red Star: squadra-epicentro di una comunità che in 125 anni di storia non ha mai smesso di essere ribelle.
Testi di Matteo Fontana