Le virtuose visioni dell’ultrarunner norvegese, Creative Director di ROA Hiking

“Le prospettive dell’ultra running sono preziose. Io corro per queste prospettive. Alcune sono personali, altre riguardano la società e il mondo che ci circonda. Quando corro mi focalizzo sugli obiettivi a breve termine, ma rifletto anche sulla vita e sul lavoro… Il bello di questo sport è che ti permette di processare in continuazione pensieri e idee. Durante i miei allenamenti ho tempo per affinare concept e progetti: correre la domenica o tutte le mattine per qualche ora è molto più utile di stare un’intera giornata davanti al computer, dove devi rispondere alle mail e testare continuamente lo stress. In generale in questo momento della vita mi sento legato al concetto di essenzialismo: penso che la reale qualità venga prodotta dall’allontanamento di distrazioni e informazioni accessorie. E il running si associa perfettamente a questa visione”

L’essenzialismo teorizzato da Patrick Stangbye è una personale dottrina filosofica, è un melting pot di arti contemporanee, attenzione estetica, sensibilità ecologica e puro running. Creative Director di ROA Hiking e ultra runner, i vari interessi di questo multidisciplinary creative strategist sono linee che convergono e si contaminano, tramutandosi in rilevanti performance atletiche e progetti che uniscono la coscienza all’innovazione. Il percorso di questa mente scandinava pare una traiettoria priva di stasi e barriere che, oggi, dopo un lungo apprendistato in giro per le montagne e gli showroom di tutta Europa, tende verso il futuro del running e della sua comunicazione.

"Sono cresciuto nella periferia di Oslo, mi separava solo una strada dai boschi. La natura era il mio parco giochi, mi piaceva interagire con i suoi elementi. La MTB ha allevato la mia creatività, per fare freeride costruivo ostacoli e salti, sembrava di giocare con un grande set LEGO… D’inverno, poi, tutto diventava perfetto per lo snowboard. Contemporaneamente ero molto legato alla musica e questa passione mi ha spalancato le porte del fashion. Tanti artisti vestivano marchi specifici, capaci di determinare una precisa identità. Ho capito che il fashion non era solo opulenza, così mi sono educato facendo ricerche su internet, all’epoca IG non esisteva, e ho iniziato a lavorare per un retail store a 16 anni. Dopo poco tempo mi sono trasferito a Parigi, dove ho studiato e lavorato per un contemporary luxury store e a 25 anni ho deciso di diventare un professionista freelance. Lungo questa maturazione ho incontrato il trail running. Mi stavo preparando per una maratona e durante gli allenamenti ho capito che preferivo correre a contatto con la natura. Non mi ero mai visto come una persona da sport endurance, ma ho vissuto l’avvicinamento al trail come una sfida e ho amato ogni secondo di quell’epifania. Ho scoperto tardi questo sport, è vero, ma ho subito capito che era connesso con le sensazioni e le esperienze della mia infanzia. Con il trail ho incontrato una community e degli esseri umani realmente interessanti, anche grazie al contatto con loro ho posto le basi ideologiche del mio attuale lavoro”

L’attuale lavoro di Patrick Stangbye si concentra sullo sviluppo di visioni che partono dalla semplice complessità del running per esplorare e definire un marketing virtuoso. La semplice complessità di una community che riesce a parlare tanto al singolare, quanto al plurale. La semplice complessità di una community che ha bisogno di storie ed esempi reali, ma anche di ideali e traguardi tangibili, come la sostenibilità ambientale. La semplice complessità di una community che Patrick Stangbye ha avuto modo di studiare e assimilare in tutte le sue forme. Dai paesini di montagna norvegesi all’asfalto milanese. Dalla fatica ad alta quota ai trend metropolitani. Perché si annida qui, all’intersezione tra cultura e prodotto, la ricerca di questo creativo norvegese.

“Mi piace comunicare per e con persone che hanno una sensibilità vicina alla mia. E nella community del running ho trovato esattamente questa tipologia di esseri umani. Anche se il runner medio continua ad essere bianco e appartenente all’alta borghesia, sento che questa situazione si sta continuando ad evolvere. Quando ho iniziato a correre, tante persone non potevano sentirsi parte di questo universo. Io non ho mai avuto questo problema. Adesso fortunatamente la percezione del running è cambiata e sta continuando a cambiare, chiunque può essere un runner, e sempre più persone comprendono il beneficio di una vita attiva. È necessario che i brand abbiano una narrazione concentrata sulla sostanza, su storie vere, e che i loro prodotti rispettino quanto viene comunicato. ROA per esempio non è uno sport brand, ma un cultural brand, connesso alla montagna e al rapporto tra natura e uomo: per me è cruciale sviluppare questo concetto ed educare le persone a riguardo. Le nuove generazioni hanno capito che l’eccesso del lusso ha smesso di essere appetibili come prima, la salute delle persone e del pianeta sono invece argomenti cruciali, che hanno creato un differente mindset in chi ci circonda. Io non sono più affascinato da ciò che non è sostenibile e ritengo importantissimo che anche ROA stia seguendo questa direzione, puntando sulla circolarità e sull’impatto ambientale sia sotto il punto di vista della comunicazione, che della produzione. Spero che i brand possano smettere di essere dannosi per l’ambiente. È un sogno utopico, ma sono sicuro che possa realizzarsi con la creazione di un giusto ecosistema in cui la competizione tra aziende passa in secondo piano, lasciando spazio alla cooperazione per un bene più grande”

Questo creativo errante, ispirato dall’attitude di ultrarunner iconici come Anton Krupicka, divide tracce e riflessioni tra selvagge vette norvegesi, come il fiabesco Slogen, e la sublime catena alpina, dove prepara future gare sui 100 o più chilometri. Quando parla delle sue esperienze montuose, Patrick Stangbye utilizza spesso la parola arricchimento. Un arricchimento complementare a quello urbano, sviluppato nella sua seconda casa di Milano, città che permette all’essenzialismo di questo creative strategist d’inglobare vibe e ispirazioni magmatiche, destinate allo sviluppo di nuove, stratificate prospettive.

“Amo i luoghi di montagna, mi permettono di incontrare persone e community locali, capaci di trasmettere sia nozioni culturali, che preziose indicazioni tecniche su scarpe ed equipment. Non riuscirei però a vivere solamente ad alta quota, perché la città mi regala impulsi estremamente importanti. Arte, musica, fashion… Per me tutto è connesso, tutto sto accadendo ed è fondamentale vedere una certa mostra o un certo film, mangiare in un determinato posto e incontrare persone con un mindset radicato nella contemporaneità. In montagna il rischio è di essere isolati e di perdersi una vasta serie d’informazioni. Sono sicuro di una cosa, però, sarei molto felice se le persone cominciassero ad avere più comfort nelle loro vite urbane grazie ad esperienze ‘uncomfort’ vissute in montagna. La mia prossima esperienza sarà una gara in Svizzera a settembre, non mi sto preparando per vincere, mi sto allenando per fare bene e sentirmi bene. Questo, in fondo, è ciò che amo fare”