Negli accostamenti visivi di Massimiliano Verdino la palla ovale diventa pittura e statuaria

Antico e contemporaneo, artistico e sportivo. Nelle analogie iconografiche di Massimiliano Verdino il rugby si sposa con l’arte classica, ne assume i tratti, ne rivendica i canoni, fondendo definizioni antitetiche solo all’apparenza.

L’antropologo e fotoreporter romano nella serie ‘Mischie e Battaglie’ indaga lo sport ferino e muscolare per definizione. Una pratica tanto rude quanto elegante, racchiusa programmaticamente nelle parole di Richard Burton: “il rugby è uno spettacolo magnifico, un balletto, un’opera”. L’intuito di Verdino accosta gesti e movimenti da campo ai grandi classici di pittura e statuaria, evidenziando significati e significanti degli uni e degli altri, corredandoli con una profonda disamina antropologica.

Abbiamo voluto approfondire questa interessante collezione artistico-fotografica, interrogando l’ideatore stesso. Buona lettura.

‘Mischie e Battaglie’, come nasce l’idea di queste analogie iconografiche tra rugby contemporaneo e arte rinascimentale?

È una idea che nasce dalla mia passione per l’arte, rinascimentale soprattutto. La mia è una formazione classica data dall’aver fotografato anche tanti altri sport, grazie alla professione di foto-giornalista sportivo che mi ha portato a coprire i più svariati eventi sportivi, che sono stati pubblicati su magazine italiani e internazionali. L’accostamento analogico lo abbiamo sperimentato insieme con Katia Stefanucci, la mia compagna, che da photo-editor indaga il mio archivio fotografico alla ricerca del tesoro…

Da esperto in materia, quanta carica artistica è presente nel corpo di un atleta e, nello specifico, nel corpo di un rugbista in azione?

Il corpo dell’atleta è un corpo che viene costruito su una tabula rasa. Antropologicamente diciamo che l’uomo veste il corpo dell’atleta, facendolo diventare habitus con la cura, con l’allenamento specifico, con una particolare dieta alimentare; insomma con uno stile di vita che dobbiamo considerare cultura. Il corpo del rugbista poi è esemplare: parliamo di una disciplina per la quale l’atleta deve possedere qualità atletiche spiccatissime, doti di combattimento innate, spirito di gruppo e lealtà verso l’avversario.

Tutto ciò è necessario per l’azione di cui mi chiedevi in questa domanda: la ricerca del rugbista, ma anche di qualsiasi atleta, tende verso qualcosa che va oltre la meta o il raggiungimento di un risultato: è una ‘tensione verso l’assoluto’, che si raggiunge nell’interazione con l’avversario o con il compagno all’interno di uno spazio ben definito. In una sola parola l’atleta ricerca ‘l’agone’, quella particolare azione che sprigiona una speciale aura. Ecco il punto: ho capito, studiando la storia dell’arte, che nelle mie fotografie cerco di fermare ‘quell’aura’, la stessa che i grandi artisti rinascimentali hanno rappresentato nelle loro opere.

Quanto studio c’è alla base del tuo progetto? Durante la tua ricerca sei stato particolarmente colpito e influenzato da qualche quadro o qualche gesto atletico?

C’è tantissimo studio. Prima di scattare: nelle giornate passate a osservare dalle tribune gli atleti in gara; durante gli shooting: perché è molto difficile, anche tecnicamente, fotografare il movimento e controllare il mio stato d’animo, che è in piena estasi davanti a quelle opere d’arte in movimento; infine a posteriori: in camera oscura o in archivio quando bisogna dolorosamente definire la selezione che concettualizzi quanto ci si era prefissati.

Durante la ricerca fui colpito dalla Battaglia dei Centauri, un piccolo bassorilievo di Michelangelo che studiai in originale a Casa Michelangelo a Firenze nel 1996: da quel giorno passarono 16 anni, prima che il progetto vedesse la luce con la pubblicazione del volume “Inside Rugby”, presentato al Salone del Libro di Francoforte. Durante questo periodo ho girato il mondo a seguito della nazionale italiana di Rugby.

Nella presentazione della tua mostra al Palazzo Ducale di Genova si parla della volontà di trasmettere la cultura del rugby, ma anche il rugby come cultura. Potresti approfondire questo concetto?

Come antropologo mi sono chiesto perché lo sport, da sempre, riveste una importanza vitale nella vita dell’uomo. La risposta è nella parola ‘gioco’ dalla quale il termine sport deriva: ebbene la libera associazione di fantasia che sta alla base del linguaggio, che a sua volta contraddistingue la nostra specie umana, non è altro che un gioco con determinate regole che lo rendono praticabile: la sintassi e la grammatica.

Lo sport non si potrebbe praticare senza regole, sarebbe solo caos. Quindi lo sport e per osmosi il rugby, prendendo a prestito il nocciolo del saggio Homo Ludens di Huizinga, non è lo sport che è anche cultura ma è la cultura (che, come abbiamo visto, nasce dal linguaggio) che non potrebbe esistere senza il gioco e quindi lo sport. In ultimo il termine cultura, antropologicamente inteso come un insieme di pratiche trasmesse e condivise, deriva dal verbo latino ‘colere’ che ha tra i suoi significati abbellire, ornare, prendersi cura: in questa accezione è perfettamente giustificato il ragionamento espresso sopra sul concetto di habitus dell’atleta.

Pensi, in futuro, di espandere questa ricerca anche all’esterno del panorama rugbistico, focalizzandosi su altri sport?

Ho ricevuto molte proposte in questo senso e non nego che la tentazione di reiterare il concept è molto forte. Però questo è un progetto a cui tengo molto e nel quale ho investito tanto: diciamo che finora non ho ancora avuto la giusta ispirazione e non vorrei che venisse snaturato solo per un ritorno economico. Posso dire che ho iniziato a fare ricerche nel mondo della scherma, che è un’altra disciplina classica molto rappresentata nell’arte. Ma siamo appena agli inizi… Ci risentiamo tra qualche anno!

Credits

Ph by Massimiliano Verdino
IG @maxverdino

Testi di Gianmarco Pacione