Insieme a Karhu abbiamo incontrato il più grande lunghista della storia

Esistono momenti sportivi che si riflettono sul corso della storia, che ridefiniscono i paradigmi della fisica, che rielaborano i limiti umani, rendendo la realtà immaginazione e l’immaginazione realtà. Sono rapidi strappi temporali, istantanee e imprevedibili transizioni verso nuove ere atletiche, verso nuovi mondi inesplorati.

“Competere con Carl Lewis non era facile, sapete?”, scherza Mike Powell allargando le braccia e regalando un sorriso ironico al media center del Ratina Stadium di Tampere, “Era una leggenda vivente. Il mio unico focus era batterlo. E per batterlo sapevo che avrei dovuto fare una sola cosa: infrangere il record mondiale”

30 agosto 1991, Mondiali di atletica leggera a Tokyo, finale di salto in lungo. L’uomo chiamato ‘Figlio del Vento’ si abbandona ad una corrente ascensionale e, contemporaneamente, orizzontale. Sono quasi 3 metri al secondo di aiuto ventoso. Il suo corpo fugge dalla sabbia poco dopo, lasciando l’impronta a 8 metri e 91 centimetri. Bob Beamon nella rivoluzionaria kermesse di Città del Messico ’68 si era fermato un centimetro prima, polverizzando il record mondiale del sovietico Igor’ Ter-Ovanesjan e ridefinendo l’intera disciplina.

“Tre giorni prima di quella finale ho fatto la mia ultima sessione d’allenamento e mi hanno chiesto di firmare un autografo. Ho scritto il mio nome, Mike Powell, e a seguire ‘1991 World Champion, 8.95’. All’epoca il mio personal best era 8.66 e non sapevo nulla di centimetri, ragionavo sempre in pollici… Però quel numero era nella mia testa. Doveva succedere”

Il corpo di Mike Powell si appropria della pedana del National Olympic Stadium. Attorno alla lunga vena di tartan solo un nipponico silenzio assoluto. L’allora 27enne di Philadelphia sbuffa a cadenza regolare, pare fissare lo sguardo su una dimensione esterna, a noi sconosciuta, disegna i tipici tre-quattro passi scenici introduttivi alla sua rincorsa, poi si lancia in un ossessivo ed elegante moto rotatorio di gambe e braccia. Powell fende la terra, poi l’aria. Tutto si ferma, tempo e vento compresi.

“L’atletica è ritmo. Il salto in lungo è una danza: ti carichi, voli e… splash. Nei secondi precedenti alla rincorsa, è fondamentale la visualizzazione. Io non mi vedevo come un robot, ma come un animale, sentivo l’energia che si appropriava del mio corpo, pensavo ad un ghepardo e alla sua velocità, alle sue linee: volevo muovermi nello stesso modo”

8.95. È una danza animale. È un primato mondiale destinato a durare per trent’anni, e per chissà quanti altri ancora. Powell festeggia correndo all’impazzata, abbracciando idealmente l’intera tribuna: fiumi di persone che non riescono a reagire, meravigliate, quasi atterrite, da un gesto atletico che nulla ha di umano. Grazie a quei 9 metri di planata, Powell ha appena assaporato una rivincita attesa da tutta la vita, ha scritto con il proprio corpo un qualcosa che non può e non potrà essere cancellato, ha semplicemente dichiarato di essere il più grande saltatore in lungo della storia sportiva.

“Quel salto non riguardava solo il Mondiale. Riguardava tutta la mia vita, tutti coloro che non avevano creduto in me: gli addetti ai lavori che pensavano fossi troppo magro, le ragazze che si erano rifiutate di uscire con me… In quel salto c’era tutto. Stavo dicendo al mondo ‘I’m Here!’. Ero, anzi, continuo ad essere felice e orgoglioso. Sono stato in grado di entrare nella storia sportiva e io, da sempre, sono prima di tutto un fan assoluto di questo sport. Sono un ‘athletic geek’ e vedere tutte queste persone che ancora oggi mi fermano per chiedere una foto, o anche solo per complimentarsi, mi fa essere grato nei confronti del salto in lungo”

Camminare al fianco di Mike Powell sarebbe complesso in un normale contesto cittadino, figurarsi in una città finlandese popolata da amanti del track & field. Nel villaggio World Masters Athletics di Tampere, dove Powell svolge il ruolo di ambassador, ogni passo per questo mito vivente equivale ad un selfie, ogni saluto equivale ad una forte emozione provocata. Oggi Mike Powell ha 58 anni. Sono passate tre decadi dal suo capolavoro aereo, eppure tutti continuano ad essere attirati dall’aura di un uomo speciale, nel vero senso del termine.

“Per me è naturale stare in mezzo alla gente. Per alcuni atleti non è facile, me ne rendo conto, ma per me è gratificante. Più di tutto amo stare a contatto con gli atleti che alleno. Con loro il mio obiettivo principale è instillare fiducia e divertimento. Avere fiducia come atleta equivale ad avere fiducia come persona, e la fiducia è uno strumento fondamentale per giovani ragazzi che cercano di definirsi come esseri umani, che lottano per trovare un proprio posto nello sport e nella società. Quando vedo gli atleti Masters, poi, capisco di essere nel posto giusto: sono pazzi quanto me. Dico sempre che è vecchio solo chi non si muove: io mi alleno, alleno i giovani, ballo, mi sento giovane nella mente. L’età è solo un numero”

Mentre sorseggia un bicchiere di Lonkero, drink inventato in occasione delle Olimpiadi di Helsinki ’52, in compagnia di Emanuele Arese, Chief Operating Officer di Karhu, official sponsor dei WMA di Tampere, Mike Powell emana una sensazione di grandezza controllata, di autentica umiltà. Ci comunica che non è arrivato in Finlandia solo per stringere mani e fare pubbliche relazioni, ma per suonare, per vestire i sempre più graditi panni di DJ nella festa serale aperta a tutti gli iscritti WMA.

“Ve l’ho detto, la musica e l’atletica sono connesse. Per me il salto in lungo è hip hop. Io sono cresciuto con il flow della Sugar Hill Gang e ancora oggi ballo insieme a mia figlia. Tanti miei amici ascoltano il jazz, ma io ho bisogno di altri beat, soprattutto quando sono in pista. Fare musica mi piace, da sempre, per questo ho iniziato e sto continuando a fare il DJ. La musica è positività e la positività è un segreto nella carriera di uno sportivo. Come persone tendiamo ad essere negative, ma con i miei ragazzi faccio l’esatto opposto: continuo a ripetere loro quanto siano meravigliosi e grandi. In fondo si tratta di questo, che sia un record mondiale o qualsiasi altro obiettivo: se puoi vederlo, se puoi sentirlo, se puoi pensarlo, allora puoi farlo… No?”

This project is supported by Karhu Karhu Running 
Photography Rise Up Duo
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Testi di Gianmarco Pacione