Dalla Giamaica a Tokyo, dal corpo alla mente, l’arte scientifica di un campione olimpico
"Gli ostacoli sono parte della vita, sono la vita. Li uso spesso come metafora, perché la filosofia e i concetti alla base di questo sport sono estremamente potenti. Ogni ostacolo è una nuova gara, ogni ostacolo è una nuova barriera da attaccare e superare… E per riuscirci bisogna unire e perfezionare una lunga serie di fattori. In fondo noi ostacolisti dobbiamo essere come dei computer, ogni dettaglio deve essere coordinato per ottenere il massimo risultato”
Non è facile percepire il fulminante tocco dei passi di un atleta raro, di un ostacolista raro, capace di sollevare un oro olimpico sul podio di Tokyo 2020 e di segnare un’intera era sportiva. È invece facile ascoltare le sue parole, lineari e profonde: come la sua corsa sui 110 metri, come le sue planate sulle 10 trappole verticali che lo attendono dopo ogni sparo. Gli ostacoli sono una forma d’arte scientifica, rivela questo monumento contemporaneo alla biomeccanica. Gli ostacoli sono esperienza ed evoluzione, fa intendere questa 32enne stella dell’atletica giamaicana, riavvolgendo la macchina del tempo e tornando alla genesi di un rapporto totalizzante.


“Quando ero un bambino, non sapevo cosa fosse l’atletica. Nella mia vita c’erano soltanto il cricket e il calcio. Ma in Giamaica tutto è involontariamente legato alla corsa. Correvo sempre, per sfidare altri bambini o per andare a comprare qualcosa a mia madre. Le mie giornate erano scandite dalla velocità. Il colpo di fulmine con l’atletica è arrivato a inizio high school, quando ho assistito ad una gara sui 100 metri tra i migliori ragazzi della mia scuola. Centinaia di persone erano assiepate per osservare quel momento, io l’ho fatto dal terzo piano dell’edificio: caos, adrenalina ed eccitazione hanno invaso tutta la comunità. Ho deciso immediatamente che mi sarei unito alla squadra di atletica della mia scuola. Per i primi mesi mi sono cimentato in tante discipline diverse, come il lancio del disco e del giavellotto. Passavo di fianco agli ostacoli ogni sera, poi un allenatore mi ha chiesto di provare a saltarli: da quell’istante la mia vita ha iniziato a gravitare attorno a questi oggetti”
Prima le vittorie a livello scolastico, poi la scalata internazionale. Hansle racconta quasi nostalgicamente del suo meeting d’esordio, corso con delle scarpe usurate e una divisa fuori taglia, del nervosismo e dell’orgoglio vissuti vestendo per le prime volte i colori del proprio Paese, delle responsabilità cresciute di pari passo con i risultati e di alti e bassi: montagne russe fisiche e psicologiche, che risultano inevitabili in una delle discipline più complesse dell’intero panorama atletico, montagne russe che questo argento Mondiale è riuscito a stabilizzare grazie all’esperienza, allo studio e all’esplorazione di sé stesso.
“Ora posso dire di essere in controllo, sento di aver raggiunto la piena maturità sportiva. Lungo la carriera sono cambiato molto: quando sei giovane pensi a divertirti e a viaggiare, non lavori realmente sulla tua testa, sulle tue paure, sui tuoi obiettivi, e in questo sport finisci inevitabilmente per avere dei periodi bui, spesso legati agli infortuni e alle insicurezze. Dopo tutti questi anni sulla pista, ho deciso di approcciare gli ostacoli come la vita: so che posso controllare ciò che è possibile controllare, e so che le incognite non dipendono da me, non devono influenzarmi. Stress e preoccupazioni non hanno senso. Devo solo concentrarmi sul prossimo risultato, devo avere dei paraocchi mentali e pensare solo a ciò che voglio conquistare, devo ragionare sulle tappe che dovrò percorrere per raggiungere la destinazione. Alcuni audiolibri hanno plasmato questa nuova filosofia, mi hanno permesso di comprendere quanto la negatività emotiva influenzi l’intero corpo, quanto il subconscio sia estremamente potente e possa incidere sulle performance. Libri come ‘How to own your own mind’ mi hanno cambiato e ho cominciato a condividere queste nozioni con chi mi circondava. Perché la condivisione aiuta a rafforzare le conoscenze e le consapevolezze”


Oggi le consapevolezze di Hansle sono le certezze di un atleta all’apice della propria traiettoria sportiva, sono le sicurezze di un uomo che ha affrontato gioie impareggiabili e infortuni dolorosi, sono le volontà di un ostacolista destinato a restare nella storia, insieme ai propri tempi. Parliamo di legacy, come la definirebbero dall’altra parte dell’oceano, parliamo di una carriera che ha incasellato una serie di podi di altissimo livello e che desidera vestirsi ancora d’oro, colmando un’unica lacuna: la vittoria di un Mondiale.
“Voglio essere considerato tra i più grandi di questa disciplina. Fino ad ora ho ottenuto ottimi risultati, ma voglio fare di più, voglio tornare sul podio olimpico e voglio conquistare il mio primo oro mondiale. Sento che posso ancora abbassare i miei tempi. Se riuscirò a centrare questi obiettivi, riuscirò a vedere il mio nome nel Gotha degli ostacolisti. Ora sono più vecchio, ma correre gli stessi tempi di quando avevo 20 anni, o migliorarli, sprigionerà emozioni ancora più forti. All’esterno della pista voglio proseguire i miei studi universitari, sono iscritto a Psicologia, ma vengo sempre più attratto dalle discipline ingegneristiche… Comincerò dei piccoli corsi e progetti dopo aver finito di correre. Ma prima ho ancora molte soddisfazioni da togliermi”

