Il gioco politico internazionale non può costare 9 anni di prigione ad una delle giocatrici più dominanti della pallacanestro moderna
Sta continuando nel peggiore dei modi il processo che coinvolge la stella del basket femminile Brittney Griner. A poco più di due mesi dalla sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Mosca ha confermato la condanna a 9 anni per una delle giocatrici più influenti del panorama cestistico WNBA e mondiale. Paiono sgretolarsi all’apice la vita e la carriera della texana classe ’90, vincitrice di due ori olimpici, un torneo NCAA, un titolo WNBA, quattro Euroleghe e, surreale a dirsi, 4 campionati russi.
Griner era stata fermata lo scorso 17 febbraio alla dogana dell’aeroporto Sheremetyevo di Mosca con 0,72 grammi di olio di hashish contenuti in alcune cariche liquide per sigarette elettroniche. Il centro di oltre due metri d’altezza stava tornando in Russia per proseguire la tipica annata ‘splittata’ in due stagioni, che vede molte giocatrici professioniste impegnate sia in WNBA, che nei maggiori campionati europei: in questo caso in quello Russo, con la squadra-potenza dell’Ekaterinburg. La difesa sostiene che Griner fosse in possesso di una prescrizione medica per l’utilizzo terapeutico di cannabis.
Figlia di un veterano del Vietnam, afroamericana dichiaratamente omosessuale, attiva sostenitrice dei diritti Lgbtq+ e della presidenza Biden, Griner più che apparire come una criminale, sembra semplicemente essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato: ovvero nel mezzo delle tensioni ucraino-russe e di un’apparentemente insanabile frattura socio-politica internazionale. Per questo il suo identikit è risultato da subito sinistramente ideale e funzionale per un’oscura partita a scacchi tra il Cremlino e la Casa Bianca.
Pedina di scambio, perseguitata internazionale, vittima sacrificale… La condizione di Griner è transitata rapidamente da quella di super atleta globale a quella di “ostaggio politico”, come dichiarato dalla moglie Cherelle ai microfoni CBS. Parole confermate dai numerosi contatti che da mesi stanno intercorrendo tra la Casa Bianca e il Cremlino. Sarebbe difatti il trafficante d’armi Viktor Bout, meglio conosciuto come il Mercante della Morte, l’altro pedone che garantirebbe la libertà alla due volte medaglia d’oro olimpica nella complessa scacchiera russo-americana.

“Brittney Griner, dopo un altro processo farsa, continuerà ad essere ingiustamente detenuta sotto circostanze intollerabili”, ha dichiarato il consigliere per la Sicurezza nazionale USA Jake Sullivan. Parole condivise pubblicamente dallo stesso Joe Biden, che ha richiesto il rilascio immediato di Griner e ha affermato che continuerà a lavorare fino a quando questa situazione non verrà risolta.
Inerme e al centro di questo delicato gioco di equilibri politici internazionali, Brittney Griner continua ad essere detenuta nei pressi di Mosca, impossibilitata a comunicare e, almeno per il momento, destinata a vivere i prossimi 9 anni in una colonia penale russa per una condanna che, stando alle parole dell’avvocato difensore Alexander Boykov, “non risulta essere in linea con il diritto penale russo”.
Griner nel frattempo ha trascorso il 32esimo compleanno in prigione ed è intervenuta in videoconferenza durante l’udienza di ieri, scusandosi per la propria ingenuità e dicendosi speranzosa di veder concludere nel migliore dei modi un “processo estremamente stressante e traumatico”: speranza che per il momento si è infranta contro il muro invalicabile della cortina di ferro contemporanea.
Credits: Lorie Shaull, commons Wikimedia.
Testo a cura di Gianmarco Pacione