La corsa è il punto d’incontro tra passione, lavoro e progresso individuale, spiega il Global Running Brand Manager Diadora
“La corsa non sta tanto nelle gambe, quanto nel cuore e nella mente”, parole del più maestoso runner contemporaneo, Eliud Kipchoge. E nella corsa di Floriano Macchione cuore e mente rimano con ritmi e tempi, scelte ed evoluzioni, sfide sportive e orizzonti professionali. Dai Navigli al deserto di Las Vegas, dalle colline bolognesi ai laboratori di ricerca e sviluppo performance: il running nella quotidianità di questo atleta-manager veneziano ha molteplici dimensioni, la dimensione dell’allenamento e della gara, della libera e ragionata espressione stilistica, soprattutto la dimensione del leggendario brand italiano Diadora, in cui Floriano sta vestendo i panni di Global Running Brand Manager.
“Corro un centinaio di chilometri a settimana. Se non vado a correre entro pranzo, il pomeriggio diventa un incubo. È come se mi mancasse qualcosa, mi sembra d’impazzire, non so come spiegarlo… È una necessità fisica e mentale. Vorrei correre tutti i giorni nel deserto, ma non posso farlo. A Milano ho fatto sue e giù per i Navigli per un paio d’anni, su Strava avevo guadagnato il badge di ‘local legend’. Ora mi sposto molto e riesco a correre in altri luoghi, come sulle Colline del Prosecco, nei pressi della sede Diadora, o a Philadelphia, dove il brand ha la propria base americana. Il running è fondamentale per me stesso e per il mio lavoro: è un punto d’incontro di tanti differenti fattori, una passione che aiuta a rafforzare connessioni interne ed esterne all’azienda, a sviluppare rapporti umani e a migliorare le conoscenze professionali. In Diadora ho la fortuna di lavorare fianco a fianco con Gelindo Bordin, unico campione olimpico in grado di vincere anche la Maratona di Boston: è stimolante, lavoriamo insieme sui prodotti, testiamo le scarpe e comunichiamo costantemente. Abbiamo anche la possibilità di scherzare sulla mia attività di runner, lui mi prende spesso in giro. Qualche settimana fa, per esempio, ho corso il mio PB sui 10 chilometri: 36 minuti. Mi ha detto che quel tempo andava bene per fare la spesa…”



Nonostante la giovane età, Floriano Macchione può già vantare un percorso ricco e stratificato, una maratona personale cominciata nell’infinita solitudine di una porta calcistica, proseguita con un pioneristico Master in Strategia e Business dello Sport e culminata in un scenario podistico ibrido, diviso tra asfalto, terre inesplorate e scrivanie. Perché in un brand moderno si può essere atleti e dirigenti moderni, e Floriano è riuscito a fari trovare nel posto giusto al momento giusto, prima allevando il proprio immaginario e la propria filosofia sportiva nel colosso Nike, poi divenendo elemento cruciale per un’azienda, Diadora, che mai ha smesso di scrivere la storia della più democratica tra le arti sportive.
“Ho iniziato con il nuoto, nella mia stessa piscina veneziana si allenava una giovanissima Federica Pellegrini. Poi sono passato al calcio, dove ho fatto il portiere per molti anni. Lì ho scoperto il concetto e il valore della solitudine, che ho traslato nel running. La corsa è arrivata più tardi, quando avevo 21 anni. Era il 2010 e all’epoca si parlava quasi unicamente di jogging, dovevo camuffarmi quando uscivo a correre la sera. Il running era considerato un non-sport, una perdita di tempo utile solo a stare in forma o perdere peso. Quando sono entrato in Nike la percezione di questo universo sportivo era pronta a mutare, il mio stesso rapporto con la corsa era pronto a mutare. Nella sede di Bologna ho conosciuto l’ex mezzofondista Vénuste Niyongabo (primo campione olimpico della storia del Burundi ndr) e ho cominciato a correre sui colli con lui in ogni pausa pranzo. A Bologna ho partecipato alla mia prima mezza maratona e da quel momento il running per me è diventato qualcosa di molto diverso. In quel periodo storico la scena si stava evolvendo e quando mi sono spostato a Milano è letteralmente esplosa, sia per quanto riguarda la produzione del materiale tecnico, sia per l’attenzione ad altri elementi necessari per l’intera transizione, come l’estetica e la tecnologia, ma anche come i run club interni ai brand e le community sul territorio. Io ho semplicemente seguito quel flusso enorme di energie materiali e digitali, e ancora oggi lo seguo con passione e consistenza”





Dopo l’esperienza in Nike e il triste vuoto pandemico, Floriano Macchione ha deciso di ripartire dalla performance e dalla sfida personale, concentrando le sue forze su gare estremamente provanti. Il Circolo Polare Artico, il deserto di Petra e le lande sudafricane sono solo alcuni dei necessari test a cui il corpo e la mente di questo runner hanno deciso di sottoporsi per raggiungere una maturità complessiva, da riversare nella futura e attuale posizione in Diadora. Medaglie al valore capaci di attestare un expertise raro. Lauree sportive che, oggi, rendono questo polivalente professionista una risorsa estremamente rara.
All’inizio non avevo sponsor, ma sentivo di dover e voler fare quelle tre gare estreme. Erano un investimento per me stesso e per il mio curriculum. Per affrontare certe sfide bisogna essere degli atleti, o meglio, degli esseri umani estremamente meticolosi e preparati: credo che quelle esperienze siano state formative e fondamentali per arrivare a ricoprire il mio ruolo in Diadora. Nella mia nuova avventura lavorativa ho scoperto un’eccellenza del Made in Italy, un brand che riesce ad unire innovazione e artigianalità, conoscenza e identità. Tutto in Diadora si sviluppa in una precisa area geografica del Veneto: credo sia un grande punto di forza, è qualcosa che contraddistingue il brand e che mi ha affascinato fin dal primo momento. So che posso essere visto come un profilo fuori dagli schemi, ma in realtà sono molto legato alla mia azienda: credo moltissimo nella strada che ha intrapreso, e partecipare a questo processo mi diverte e mi appaga molto. Chiaro, ci saranno sempre momenti di frustrazione, ma gli stimoli continueranno sempre a prevalere. Come nel running”