Dai tatami italiani alla UFC e agli ottagoni di tutto il mondo, visioni e prospettive di un maestro del fighting

Nessun campione nasce dalle linee guida. Tutti i campioni nascono uscendo dal seminato, ognuno a modo proprio. Lo studio, in uno sport complesso come le MMA, è solo una base che segna la via. Poi è tutta una questione di adattamento, e per l’adattamento è necessaria l’esperienza sul campo. Quando alleno fighter di altissimo livello, come Leon Edwards, attuale campione del mondo pesi welter UFC, mi rendo conto che non sto aiutando un ragazzo che potrebbe perdere una banale gara, ma un atleta che compete per borse di milioni di dollari. Devo essere sicuro al 100% sul piano tecnico, fisico e mentale. E devo dargli nuove soluzioni, nuove opzioni che ruotino attorno ai suoi punti di forza. Un giorno, durante una sessione di boxe, Leon mi ha confidato di non aver mai visto una tecnica che gli avevo mostrato. Ecco, quella per me è la più grande soddisfazione”

Alessio Ciurli è un fighter, un allenatore e un globetrotter delle arti marziali miste. Il suo viaggio tra ring e ottagoni, partito dalla bella Toscana, ha incrociato alcuni dei personaggi e dei luoghi più sacri di un intero universo sportivo, quello della lotta codificata. Allevato dal judo, Alessio nel tempo è stato prima un pioniere per il movimento italiano overseas. Poi, quasi per caso, si è trovato a mettere a disposizione le proprie profonde competenze per forgiare i successi di alcuni dei migliori fighter al mondo. Una scalata faticosa e visionaria, cominciata guardando Rocky in televisione.

“Il mio primo amore è stata la boxe, tutta colpa di Rocky. Da piccolo però ho iniziato con il judo e ho continuato a stare sul tatami per 30 anni, arrivando a calcare importanti palcoscenici internazionali. Poi, durante un ritiro con la Nazionale, ho subito un grave infortunio al ginocchio. Nel periodo di riabilitazione ho deciso di contattare Hector Lombard, ex judoka e leggenda per organizzazioni come UFC e Bellator. Da tempo mi ero appassionato alle MMA e, grazie alla mediazione di Hector e di Alessio Sakara, figura cruciale per il movimento italiano, ho deciso di lasciare l’Italia per andare negli States e unirmi all’American Top Team. Mi sono formato là, in una palestra di altissimo livello, dove ho trovato una vera e propria famiglia. Per otto anni ho speso almeno sei mesi in Florida, facendo fronte a problemi economici e di visto, ma cogliendo l’opportunità di connettermi a celebri coach come Everton Oliveira, che mi hanno dato degli strumenti senza eguali. Il passo successivo è stato il trasferimento a Dubai durante la pandemia. Ad Abu Dhabi la UFC continuava ad organizzare eventi nonostante la difficile situazione globale, sono volato lì e ho preso parte a un camp con fighter di altissimo livello, come Tai Tuivasa. Molti tra loro hanno iniziato da subito a trattarmi come un coach per le mie conoscenze tecniche, chiedendomi consigli e lezioni private. In questo modo sono riuscito ad allenare per alcune settimane il campione mondiale Leon Edwards e l’altrettanto celebre Darren Till”

Fighter e allenatore. La condizione ibrida e complementare del 41enne Alessio Ciurli è fondata sullo studio scientifico e istintivo del gesto, sull’esplorazione della persona prima, dell’atleta poi, sull’analisi di abitudini e potenziale inespresso. Recentemente tornato in patria, al termine di un lungo pellegrinaggio marziale, ora Ciurli è intenzionato a proseguire entrambe le carriere, provando, da un lato, a tornare a combattere nelle maggiori promotion europee e, dall’altro, a plasmare una nuova generazione di talenti del fighting.

“Il mio focus ora è sull’interrompere due anni d’inattività forzata. Voglio tornare a Miami, iniziare un camp e vedere come reagisce il mio corpo. Durante la pandemia avevo ricevuto un’offerta importante da una promotion russa, per un titolo mondiale. So che nella mia categoria, quella dei 70 chili, posso essere estremamente competitivo e togliermi ancora delle grandi soddisfazioni. Allo stesso tempo mi piacerebbe aiutare qualche giovane ad arrivare nel gota delle arti marziali miste. Tra i fighter già famosi e attestati mi stimola l’idea di aiutare un connazionale, Marvin Vettori, specialmente a livello di judo. Ammiro la sua dedizione. Per diventare campioni bisogna dedicare tutto alle MMA, non esistono aperitivi o feste, e Marvin è un italiano atipico sotto questo punto di vista. L’esempio di Leon Edwards insegna molto: durante le settimane trascorse a Dubai, dove tutto è divertimento, non gli ho visto toccare un goccio d’alcol… Questo differenzia chi può farcela da chi ce la fa. Tra i fighter c’è anche un’ulteriore differenza, che ho imparato a scoprire negli anni: è la differenza tra i buoni atleti, i campioni e le altre bestie. Hector Lombard, per esempio, rientra in quest’ultima categoria di superdotati. Un altro atleta che mi piacerebbe allenare, proprio per questo motivo, è Khamzat Chimaev, attualmente imbattuto tra i pesi welter UFC. Indipendentemente dai nomi, il mio obiettivo resterà sempre quello di fare al meglio il mio lavoro e di comunicare al meglio la mia passione, il fighting”