Il basket e l’esperienza collegiale descritte dal più giovane della famiglia Gallinari
Cosa significa giocare a pallacanestro in un college d’oltreoceano? Significa scoprire una cultura cestistica diametralmente opposta a quella europea, significa condividere lo spogliatoio con giovani uomini dal passato differente e dal medesimo presente, significa entrare a far parte di un’enorme famiglia unita nel nome di un ateneo.
A spiegarcelo è Federico Gallinari, 24enne ala grande dal nobilissimo lignaggio. Fratello e figlio d’arte rispettivamente di Danilo e Vittorio, Federico dopo l’esperienza liceale e l’iniziale inserimento nel roster di Oleggio, squadra militante nella serie B italiana, ha deciso di lasciare il Bel Paese per scoprire i parquet collegiali, trovando posto tra i banchi e i ferri di Rochester University.
“L’America mi era già familiare, d’altronde avevo fatto più volte visita a mio fratello Danilo. Ho deciso di fare questo salto per iniziare un percorso che potesse essere costruttivo dentro e fuori dal campo. La scelta di Rochester University non è stata casuale, la mia famiglia ha da sempre una particolare sensibilità accademica e Rochester è un college piccolo, rinomato tanto per il programma di studi, quanto per quello sportivo. Per farvi comprendere quanto l’istruzione sia rilevante per questa università, dovete pensare al fatto che tutti gli atleti trascorrono il primo anno come ‘red shirt’, ovvero come giocatori impossibilitati a giocare le partite: è un’opzione che di solito si utilizza con chi subisce infortuni gravi, in questo caso viene imposta dall’ateneo per dare la possibilità ai più giovani di ambientarsi nel sistema, di raggiungere il giusto equilibrio tra lezioni e allenamenti”

L’arrivo di Federico negli ‘Warriors’ del Michigan, però, non è stato immediato. Tra l’Italia e la dimensione collegiale, difatti, il poco più che adolescente Gallinari si è dovuto mettere alla prova, sfruttando il sovrappopolato trampolino di lancio delle Prep School: scuole preparatorie, zone di passaggio in cui talentuosi ragazzi lottano giorno dopo giorno per contendersi borse di studio o per aggiustare le proprie lacune accademiche.
“Senza quel periodo in una Prep School del Kansas, la Sunrise Christian Academy, non sarei mai riuscito a sostenere un percorso universitario in America. Entrare in queste realtà temporanee ti permette di prepararti al meglio in vista degli esami d’ingresso al college e, contemporaneamente, di metterti in mostra da un punto di vista cestistico. Come tanti miei coetanei ho preparato video con gli highlights di quelle mie prime partite americane e li ho spediti a una marea di college. Stavo decidendo tra alcune proposte quando, durante una campettata a Denver, sono stato casualmente affiancato da un ragazzo che mi ha messo in contatto con Rochester. Dopo una rapida visita ho immediatamente accettato di trasferirmi lì”

Lo spalancarsi delle porte del campus di Rochester per Federico è coinciso con la scoperta di un microuniverso complesso e stratificato, fatto di fatica fisica e lavoro mentale, di rapporti umani e crescita culturale, di fede profana e scoperta personale. Un’oasi tinta di bianco e rosso, in cui ogni persona è portata a sentirsi parte di qualcosa di ben più grande rispetto ad un semplice corso di studi.
“Non sapevo cosa aspettarmi dal college, devo essere sincero, però ero estremamente eccitato all’idea di cominciare quell’avventura. A livello cestistico mi sono scontrato con un’enorme differenza di preparazione atletica. Rispetto ad una serie professionistica italiana c’è meno conoscenza del gioco e la tattica viene un po’ tralasciata, ma sono tutti dei mostri, degli atleti fenomenali. Per questo noi europei veniamo etichettati come giocatori ‘soft’, bisogna riuscire a dimostrare loro il contrario e colmare il gap fisico allenamento dopo allenamento… Da un punto di vista umano, invece, la situazione è fantastica. Oltre agli americani ho avuto compagni di squadra brasiliani, senegalesi, greci, svizzeri e camerunesi: un mix di culture e personalità che mi ha profondamente arricchito. La sensazione che si prova entrando in un campus universitario non ha paragoni. Ci si rende immediatamente conto di far parte di una comunità, di una famiglia allargata. Non è un caso se in Italia vediamo girare anziani americani con le felpe del college in cui si sono ‘formati’: tra lo studente e l’università si crea un legame quasi religioso, un rapporto simbiotico che si sviluppa lungo quattro anni di vita e che non ti abbandonerà mai…”
A Rochester lo studente-atleta Gallinari ha convogliato i suoi studi su un doppio indirizzo di laurea, unendo l’Accounting (Contabilità) allo Sport Management. Due vie che risultano essere assolutamente compatibili tra loro, soprattutto se proiettate verso un futuro da agente sportivo: lavoro che attualmente impegna anche il padre Vittorio.


Parallelamente al percorso accademico-cestistico, Federico è assurto a testimonial social per i tanti ragazzi sbarcati oltreoceano inseguendo il proprio sogno atletico. Grazie ad una costante produzione di video-testimonianze, la sua funzione è diventata rapidamente propedeutica per i giovanissimi italiani che vogliono seguire le sue orme: un modo per entrare in contatto con la futura generazione della palla a spicchi e, in qualche modo, per anticipare proprio il lavoro di agente.
“Mi piacerebbe fare l’agente, possibilmente in America però. Grazie a Twitch, YouTube Instagram entro in contatto quotidianamente con tanti ragazzini che mi fanno domande sull’esperienza collegiale. Anche tanti genitori mi contattano per chiedere delucidazioni. Per questo in futuro mi stimolerebbe fungere da ponte per questo tipo di transizione e aiutare giovani talenti nostrani a raggiungere una scholarship (borsa di studio). Mi stuzzica anche la possibilità di curare il percorso inverso, ovvero fornire agli americani gli strumenti necessari per diventare professionisti nel Vecchio Continente… Sono tutte ipotesi, ci sono veramente tanti scenari possibili”

Federico Gallinari
IG @gallofede9
Testi di Gianmarco Pacione