Il football americano sta cercando casa in una terra ostile, la Gran Bretagna

È difficile trovare una terra tanto ostile. Pensate per un attimo al football made in USA, alla sua capacità di paralizzare l’intera America durante la sacra funzione del Super Bowl, alle orde oceaniche di tifosi che accompagnano regolarmente le partite collegiali, ai mastodontici dome NFL che circondano field goal e touchdown, huddle e linee di scrimmage. Pensate ora allo status che vanta questo sport ad un oceano di distanza, nella diffidente Isola del Regno Unito.

È difficile trovare una terra tanto ostile, già. Là dove prima il rugby, poi il calcio videro la luce, là dove la linea nobiliare di queste due discipline non ha smesso per un istante di pulsare passione, là dove la palla ovale preferisce essere passata all’indietro e la parola football fa unicamente rima con gol. Proprio là, nel peggiore dei feudi da conquistare, questo sport nato e cresciuto in America sta stringendo attorno a sé, contro ogni aspettativa, una nicchia di adepti.

“C’è un interesse crescente, soprattutto a livello universitario”, ci racconta il fotografo Anselm Ebulue, “Al college molti ragazzi scoprono realmente il football americano, capiscono che si tratta di uno sport altamente cerebrale, dove strategia ed efficienza sono le chiavi per il successo”. Il suo reportage visivo ci presenta il caso degli Imperial College Immortals: un’enclave londinese di divulgatori di yard e flag, un’atipica comunità che sta provando, insieme ad altre realtà analoghe, ad attuare un complesso processo di colonizzazione sportiva inversa. Gustatevi questo viaggio oltremanica.

PH Anselm Ebulue
anselmebulue.com
IG @anselm.ebulue
Testi di Gianmarco Pacione