Il fotografo e filmmaker belga, ospite dell’ONA Film Festival, ci parla di natura, sport e dell’evoluzione della sua filosofia artistica
“Sono stato fortunato, sono cresciuto in un piccolo paese nella parte orientale del Belgio, a Saint Vicht, nel mezzo del nulla. Con i miei amici costruivo case sugli alberi. I miei genitori hanno sempre amato viaggiare, hanno sempre messo l’esperienza al primo posto. Ogni anno andavamo in posti esotici, da bambino sono stato a Cuba, in Sri Lanka, in Costa Rica, più volte in Africa… Questa combinazione ha acceso una scintilla in me, mi ha aiutato a diventare fotografo e filmmaker”



La produzione multimediale di Chris Eyre-Walker è un’avventura infinita. Questo artista visuale belga, protagonista all’interno del prossimo ONA Film Festival, con le sue produzioni traccia itinerari nei luoghi più suggestivi del nostro pianeta, li dipinge con una lente che, nel tempo, ha deciso di accompagnare la natura allo sport, l’estetica alla ricerca documentaristica, evolvendo una ricerca cominciata a 18 anni nell’esercito del proprio Paese.
“Mio padre portava sempre con sé la macchina fotografica. Da giovane non ero troppo artistico, non ero eccessivamente focalizzato su quest’arte. Poi sono entrato nell’esercito belga e ho iniziato a sviluppare più approfonditamente questa passione. Con i primi stipendi mi sono comprato una macchina fotografica, l’ho messa in modalità manuale e ho iniziato a scattare nei weekend. Mi è sempre piaciuto sfidare me stesso. Credo dipenda dal mio passato sportivo, nel mondo dell’atletica. Fino all’inizio della mia carriera da militare sono stato un giavellottista. Ero il numero 3 della nazione. Di quel periodo mi è rimasta la competitività, la costante voglia di superare i miei limiti. Amo documentare persone brave in sport che uniscono natura e sforzo fisico, amo mettermi alla prova per ritrarre questi atleti”



Nulla è troppo difficile, nulla è troppo pericoloso. Chris ci spiega che il periodo militare in una special unit insegna questo e molto altro, come la forza e la presenza mentale. Caratteristiche che, una volta abbandonato l’esercito, il poco più che ventenne fotografo belga riversa nella propria arte, iniziando a girare il mondo e stabilendosi nella patria del surf, l’Australia. Luogo in cui Chris ha plasmato la propria poetica, basata sul contrasto e sull’equilibrio tra panorama, luci e presenza umana.
“Ho girato il mondo per un anno con un mio amico, combinando fotografia e avventura. Poi sono andato in Australia e ci sono rimasto per 6 anni. Era come avere una tela bianca su cui poter dipingere. Per guadagnarmi da vivere inizialmente ho lavorato per uno studio fotografico, la mattina e la sera andavo in spiaggia e fotografavo onde e surfisti. Ho anche avuto modo di fare un internship con Chris Burkard, uno dei miei punti di riferimento fotografici, un pioniere nella ritrattistica non convenzionale del surf. Poi sono tornato a viaggiare, questa volta per lavoro. Ho avuto clienti praticamente in ogni parte del globo e i miei ritmi hanno iniziato ad essere insostenibili… Almeno fino alla pandemia, quando da un giorno all’altro tutto è cambiato”


Parla proprio di questa transizione la pellicola che verrà proiettata sullo schermo dell’Isola di San Servolo, in quel di Venezia. ‘A Note to Self’ è un viaggio interiore ed esteriore nell’ultimo capitolo della vita di questo creativo a tutto tondo: una presa di coscienza, un’evoluzione personale, una maturazione di consapevolezze. Il lavoro non è tutto, vuole dirci Chris con questo film. La fotografia non è tutto, o meglio, è una parte del tutto. Un’arte che diventa accessoria se non si entra realmente in contatto con i suoi protagonisti, con gli elementi e con gli esseri umani che la popolano, con le sensazioni che la circondano.
“Ad un certo punto come fotografo e filmmaker di viaggio mi sono sentito colpevole. Colpevole perché non creavo una connessione reale con ciò che stava attorno a me, con ciò che finiva nei miei lavori. Non avevo la voglia o la maturità per raccontare una storia, oltre ad un bel luogo. Questo film è una sorta di remind a me stesso: a volte va bene non usare la camera e godersi il momento, a volte va bene perdere una buona luce per parlare con una persona, per scoprire dove sei. Non voglio più ritrarre cose senza un reale significato. La pandemia ha fermato un flusso totalizzante, che mi aveva fatto dimenticare perché avessi iniziato a fare questo lavoro, e mi ha permesso di realizzare che non è necessario saltare di avventura in avventura per goderti la vita: le cose belle in fondo accadono anche a casa, di fianco a te. Per esempio poco fa ho scoperto nei pressi del mio paese ci sono degli alberi che sono ritenuti tra i più antichi del Belgio. La fascinazione può nascere anche a cinque minuti di distanza da dove vivi”




Credits: Chris Eyer Walker
IG @chriseyrewalker
Testi di Gianmarco Pacione