Una meta fondamentale per le ragazze malawiane

Il nuovo progetto di Africathletics interamente dedicato al rugby femminile e ai suoi riflessi sociali

Africathletics prosegue il suo impegno in Malawi, sviluppando ulteriormente le sue attività sportive, educative e sociali. In questo caso non parliamo di pista e velocità, ma del nuovo progetto dedicato al rugby femminile: un coraggioso salto nel vuoto, che ha coinvolto moltissime ragazze e che, fortunatamente, è stato accolto con estremo entusiasmo dalle comunità locali. Ce ne parla Luigi Vescovi, rugbista e anello di congiunzione tra Africathletics e l’universo della palla ovale. La sua testimonianza ci permette di scoprire come, ancora una volta, attraverso lo sport si possano raggiungere risultati umani e sociali inimmaginabili.

“Non avrei mai pensato di vedere una squadra di rugby formata da 21 bambine malawiane. È emozionante. A dire il vero è stato emozionante fin dal principio. Sapevamo che non sarebbe stato facile, ma dopo aver parlato con tutti i capi villaggio e le istituzioni, siamo riusciti a coinvolgere molte scuole, tantissime bambine e maestri che vogliamo formare come allenatori. Lo spirito di Africathletics prevede che l’attività sportiva sia un mezzo per diffondere consapevolezza alimentare, per aumentare il livello di scolarizzazione e per cambiare vite. In questo caso specifico abbiamo a che fare con ragazze giovani e lo sport per loro è un qualcosa di essenziale. Basti pensare al fenomeno delle mamme-bambine, all’impossibilità di scegliere cosa fare delle proprie vite. Noi abbiamo creato uno spazio sicuro, una comunità eccitata per questa disciplina, e i risultati si vedono anche nelle attività parallele, come la scuola. Questo progetto ha fatto subentrare un meccanismo di costanza che è tutt’altro che scontato in Malawi, pensate che, per esempio, il tasso di presenza agli allenamenti di queste bambine si aggira intorno al 100%… Io e altri volontari, tutti uniti da un passato e un presente rugbistico, abbiamo posto le basi per un progetto che ha portato risultati enormi: le bambine ora hanno la possibilità di rimanere più tempo a scuola, curano nuovi aspetti educativi e maneggiano temi con la gender equality. Negli scorsi mesi abbiamo ammirato l’evoluzione di queste atlete e ci siamo stupiti di fronte alle prime mete complesse. La scorsa settimana hanno anche giocato la prima amichevole… Ora la nostra vision è proiettata verso i Giochi della Gioventù dell’Africa Meridionale, che si terranno nel 2025 in Namibia. La Rugby Union Malawi si è interessata al progetto e la nostra speranza è quella di vedere convocate alcune delle ragazze che stiamo allenando: è un sogno, ma un sogno concreto”

Per conoscere più approfonditamente e sostenere il progetto Africathletics, clicca qui.

Testo a cura di: Gianmarco Pacione
Photo Credits: @Africathletics


Stella Rossa Venezia, senza calcio non c’è vita in Laguna

Il calcio amatoriale è stato sfrattato da Venezia, ma tra i canali la resistenza sociale e sportiva è ancora viva

Venezia non è Disneyland, denuncia un’ormai celebre pagina social. Venezia non può essere calcio popolare, conferma il triste presente della Stella Rossa, squadra amatoriale costretta dalla propria Federazione di riferimento a giocare solo e unicamente su terraferma. Non c’è calcio sull’isola e non c’è isola per il calcio, questo il messaggio che le istituzioni hanno voluto riservare ad una polisportiva impegnata da oltre dieci anni a tenere saldo il capitale umano e sociale di una città sempre più turistica e artificiale. Un divieto che sa di sradicamento e svuotamento cittadino. Una decisione che finiscono per pagare gli indigeni, come si definiscono ironicamente, della Stella Rossa: uomini e donne che rappresentano gli ultimi bastioni della resistenza popolare lagunare, atleti e tifosi che nella propria entità sportiva vedono un polo di aggregazione e uno strumento di sensibilizzazione, un grido di denuncia e una minuscola, quasi impercettibile, fiammella di speranza.

“Oggi gli abitanti del centro storico sono più o meno 49mila, quando sono nato io erano il doppio”Enrico Quieto, calciatore e attivista della Stella, inquadra con poche, asciutte parole la paradossale e drammatica condizione di una delle città più belle del mondo: una gemma galleggiante colpevole proprio della troppa bellezza, e della conseguente volontà di trasformare sestieri e canali in un museo a cielo aperto, in un parco divertimenti da destinare ad abnormi flussi turistici e schizofrenico consumismo. “Il tessuto sociale è colpito e rovinato da queste misure”, prosegue Ignacio Contreras, antropologo cileno, ma calciatore veneziano d’adozione, “Se si toglie il calcio a Venezia, si commette un enorme errore. Questa è una città culturale, mi pare ovvio, ma il calcio è estremamente importante per tutti i suoi abitanti e non solo, come dimostra la presenza nella nostra rosa e tra i nostri tifosi di persone che vivono in terra ferma e che, continuamente, arrivano qui per allenarsi e sostenere la visione di questa società”.

L’importanza del calcio insulare echeggia anche nelle parole del centrocampista e lanciacori Antonio Fantinelli. Antonio ragiona tra battimani, tifando per i suoi amici-attivisti impegnati in un’amichevole notturna contro il Salsedine, una delle pochissime squadre ‘di terra’ a supportare le richieste e gli ideali della Stella. Questi ideali non riguardano solo lo sport, sono principalmente legati a un fattore cruciale per Venezia, il fattore sociale. Non è bello vivere Venezia da veneziano, il presente è veramente triste. Il calcio, ma anche il basket e la pallavolo sono diventati strumenti essenziali per tenere unita la comunità. I veneziani non hanno opportunità concrete, non hanno un futuro. Certo, il calcio o la Stella Rossa non saranno i motivi che spingeranno le nuove generazioni a rimanere qui, ma sicuramente aiuteranno loro a capire che la Venezia popolare è ancora attiva e partecipe, che l’equazione ‘meno veneziani = meno problemi’ non è accettata da tutti”.

“I problemi non sono nostri, sono loro”, evidenziano gli avversari della Stella ai margini di un’amichevole bagnata da bancali di Moretti e glaciale umidità. Sul romantico campo di Sant’Alvise, direttamente affacciato sulla laguna, uno dei rarissimi impianti calcistici veneziani, i membri del Salsedine portano a galla un ulteriore paradosso legato al divieto in corso: “Questa decisione non ha senso, perché le squadre di terraferma, come noi, dovrebbero venire a giocare sull’isola una, forse due volte all’anno. Sono i giocatori della Stella che devono affrontare un intero campionato viaggiando praticamente ogni settimana. Noi dovremmo fare pochissimi sacrifici in confronto a questi ragazzi e agli altri sportivi dell’isola. Fare sport a Venezia è difficilissimo da un punto di vista logistico: districarsi tra le calli, prendere vaporetti, trasportare il materiale tecnico, trovare un campo disponibile per gli allenamenti… Sono tutte problematiche che la Stella Rossa deve affrontare quotidianamente. Se a questa situazione, poi, si somma l’assurdità di questa decisione, l’esito non può che essere il declino del calcio popolare locale e l’annichilimento della sua forza sociale”.

Grandi navi e seconde o terze case, quartieri fantasma e souvenir kitsch. All’ombra del ponte di Rialto il battito cardiaco cittadino pare sempre più in fase di estinzione, come conferma difensore Nicola Calenda davanti ad una spuma di baccalà. La nostra volontà è quella di passare una prospettiva cittadina alle generazioni future, ma il margine d’azione sta continuando a diminuire. Il progetto Stella Rossa è nato da un gruppo di amici dodici anni fa, nel tempo si è ramificato e ha coinvolto moltissime persone, amici che ci hanno permesso di proiettare i nostri pensieri in attività sportive e culturali, nei processi d’integrazione e di lotta al razzismo. Qui non si gioca a calcio, a basket o a pallavolo, si fa molto di più. Intavoliamo discorsi e affrontiamo tematiche cittadine, proviamo a combattere piccole battaglie, a contrastare una parabola che sembra ineluttabile. L’impossibilità di giocare nel centro storico è solo un riflesso di ciò che sta accadendo a tutta la città. Com’è noto soprattutto da queste parti, si colpiscono prima i più piccoli e deboli per modificare incontrovertibilmente ciò che ci circonda. Ma noi continueremo a resistere”.

E l’indomita, irrazionale resistenza sociale passa e passerà anche da simboli come Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, per tutti semplicemente il ‘Dottore del Calcio’. Sulle divise pop della Stella Rossa compare proprio il profilo del calciatore-filosofo, giunto in Italia a metà anni ’80 per studiare Gramsci e divulgare il verbo della bellezza calcistica. Il teorizzatore della ‘Democracia Corinthiana’ per questo collettivo veneziano funge da vero e proprio spirito guida, muovendo parole, pensieri e azioni che escono dal prato verde, provando a scavare nella coscienza cittadina. “Il calcio è uno sport collettivo e non serve che tutti corrano. Ci sono quelli che corrono e quelli che pensano”, diceva l’elegante centrocampista. E nel buio di un freddo lunedì sera veneziano c’è chi ancora corre, c’è chi ancora pensa, “C’è ancora chi porta avanti progetti vitali per migliorare, o meglio, risollevare le sorti di questa città e di chi la abita”, conclude con un’intensa vena poetica Enrico Quieto, “Penso che questo debba essere l’obiettivo di chiunque: provare a rendere migliore la nostra condizione, quella dei nostri figli e dei futuri veneziani”.

Text by: Gianmarco Pacione
Photo Credits: @Rise Up Duo


‘Baltic Sea’ KARHU e JNF si uniscono per la tutela del Mar Baltico

Athleta Magazine sarà Media Partner dell’evento che assocerà running e sostenibilità marina

Il 25 marzo ad Helsinki prenderà forma una giornata di corsa e sensibilizzazione dedicata al Mar Baltico.

KARHU e la John Nurminen Foundation, due eccellenze accomunate da una radicata identità finlandese, hanno deciso di unire le forze per fronteggiare le sempre più preoccupanti condizioni di questa preziosa gemma acquatica, organizzando in sinergia l’evento ‘Baltic Sea’. L’eutrofizzazione, la perdita di biodiversità e il tragico livello d’inquinamento raggiunto da questo mare negli ultimi decenni sono i motivi alla base di questa speciale giornata connessa alla sostenibilità marina e sono i fondamentali temi attorno a cui ruoterà l’intero programma ‘Baltic Sea’.

I partecipanti all’evento si riuniranno presso il KARHU store nel centro di Helsinki, dove potranno ascoltare uno speech divulgativo tenuto da rappresentanti della John Nurminen Foundation, e poi saranno attivamente impegnati in una simbolica corsa/camminata che arriverà a toccare le coste affacciate sul Mar Baltico. Il virtuoso messaggio di questa giornata si rifletterà in una speciale T-shirt, disegnata da KARHU e prodotta dall’azienda finlandese pioniera nell’ambito della sostenibilità Pure Waste, il cui ricavato verrà devoluto ai progetti di salvaguardia marina della John Nurminen Foundation. KARHU introdurrà inoltre una nuova collezione di scarpe running ispirate ai ricchi colori del Mar Baltico, raccolte all’interno dello speciale pack ‘Baltic Sea’.

Athleta Magazine sarà Media Partner dell’evento, nelle prossime settimane entreremo in contatto, ritrarremo e ascolteremo le voci di coloro che sono spinti dalla volontà di risollevare le condizioni del Mar Baltico: runner, attivisti o semplici cittadini che ritengono la salvezza del proprio mare una priorità assoluta e che, per questo motivo, sosterranno con le loro azioni concrete gli ideali alla base di ‘Baltic Sea’.

Photo Credits: @KARHU


Facce da Marmöl

La filosofia Marmöl Gravel nelle parole dei suoi protagonisti

Le facce da Marmöl hanno sudore e colori, smorfie e sorrisi, sospiri e suoni. Sono bocche che comunicano e occhi che ammirano. Sono gambe che spingono e mani che fluttuano. Carnevale o Capodanno, in fondo non c’è differenza, perché le vibrazioni che genera questo evento ricordano quelle di una festa a lungo attesa, di una giornata atipica e speciale, capace di sprigionare scintille emotive e di creare ricordi indelebili. Il ciclismo tra le cave di Botticino trova la propria essenza e la sparge tra credenti arrivati da ogni dove, pronti ad esplorare sensazioni che riescono ad essere individuali e collettive. Perché Marmöl è l’esplorazione. L’esplorazione del territorio. L’esplorazione di sé stessi. L’esplorazione della community gravel.

Rider o artisti, fotografi o anestesisti, lungo la Via del Marmo perde di senso ogni tipo di categorizzazione o status, perché il ciclismo si sublima in una pasta e fasoi, in una birra, in una canzone delle Spice Girls. Questa è Marmöl, queste sono le sue facce e queste sono alcune delle loro testimonianze.

Mattia De Marchi (rider – enough cycling collective)

“In Italia, quando pedaliamo, tendiamo a banalizzare ciò che ci circonda, perché tutti i giorni possiamo ammirare luoghi stupendi. Eventi come la Marmöl servono a questo, ci consentono di scoprire scenari come la Via del Marmo che, probabilmente, avremmo fatto fatica a esplorare da soli. Mi piace essere agonista e spingere, ma in queste situazioni, tra queste cave, riesco a godermi realmente la bici e le persone che la circondano. Ho bisogno di queste giornate, di questi momenti di festa che non dimenticherò: mi daranno forza quando mi ritroverò a pedalare senza nessuno attorno in qualche parte del mondo… Un tempo la bici per me era solo agonismo. Oggi le cose sono cambiate e, paradossalmente, vado più forte di prima, perché riesco a godermela. Mi sento fortunato e sono felice che quasi tutti i membri di Enough, il collettivo di cui faccio parte, siano qui. In queste giornate ognuno ha il suo ruolo durante e, soprattutto, dopo la pedalata”

Emanuele Molari (bikepacker)

“Il ciclismo è sinonimo di divertimento, anche se spesso non è un’equazione scontata. Il tempo e il ritmo non contano quando hai la possibilità di vedere posti incredibili. Il divertimento è la reale vittoria, questo è il mio pensiero. Io sono bresciano, ma non conoscevo bene la zona di Botticino. Quando riesci a penetrare questo territorio e a pedalare tra queste cave, vieni travolto dalla bellezza e dalla grandezza di questi luoghi pazzeschi. E pensare che sono dietro casa mia… Viaggio tanto sulle due ruote, ma preferisco farlo in compagnia. Se viaggio da solo mi stanco nel giro di due, tre settimane: ho bisogno di una birra e di una chiacchierata, non fa differenza se con uno sconosciuto incontrato per strada o con un amico. E Marmöl è il posto perfetto per vivere queste sensazioni”

Cento Canesio (writer / painter / cyclist)

“Ho un rapporto quotidiano con la bici. La uso per andare ad appuntamenti di lavoro, per fare la spesa, quest’estate la userò per arrivare in Croazia… Ho sempre il cambio nella borsa. Come artista sento che le due ruote in qualche modo sono connesse alla mia ispirazione. D’altronde la bici ti permette di stare bene mentalmente e di osservare un’infinità di cose. Non ero mai stato in queste zone, grazie a Marmöl ho avuto la possibilità di scoprire un territorio che non conoscevo e di osservare queste valli. In una sezione della traccia tutto diventava improvvisamente giallo, le cave mi circondavano, mi sembrava di aver cambiato occhiali… Una vera e propria esplosione di colori. Al di là del territorio, non sono nuovo al fattore-community, perché ho un background nel Bike polo. Mi sembra quasi ovvia questa filosofia, ma il fatto che si crei una community trasversale attorno ad un movimento come il gravel è fighissimo”

Chiara Redaschi (rider and photographer – enough cycling collective)

“È la mia prima volta qui e sto rimpiangendo il fatto di non avere con me la macchina fotografica… Mi sarei fermata ad ogni metro. Oggi però sono venuta per pedalare e per ho deciso di godermi l’evento completamente, lasciando stare la lente. Marmöl è la base del ciclismo contemporaneo, ha un importanza vitale, riesce a trasmettere i valori più preziosi delle due ruote. Tanti miei amici vanno solo su strada, pensano sempre e solo all’allenamento e al tempo, ma il ciclismo è molto più di questo. Oggi il nostro collettivo ha avuto tantissimi problemi meccanici e molte forature, ma eravamo insieme, abbiamo affrontato tutto ridendo e scherzando. Inoltre mi fa piacere vedere una nutrita rappresentanza femminile, sono sinceramente contenta, perché tante di queste ragazze hanno incontrato da poco l’universo gravel e anche grazie ad eventi del genere continueranno a pedalare”

Federico Damiani (rider and Team Manager – enough cycling collective)

“Conosciamo Niccolò e l’organizzazione Marmöl da tempo. Ci piace andare in bici insieme, abbiamo la stessa filosofia. Di solito siamo impegnati in eventi competitivi, ma giornate come questa fanno capire quanto sia limitante la gara fine a sé stessa. Se viviamo la bici solo attraverso la lente della competizione, questo sport finisce inevitabilmente per perdere di valore. Credo che la bici sia un mezzo per potenziare le capacità umane e per scoprire nuovi territori. È uno strumento culturale. Per questa ragione il nostro collettivo organizza un evento in Veneto sulle tracce della Prima Guerra Mondiale… È fantastico quando il ciclismo diventa un modo per scoprire qualcosa di diverso e per stare insieme. Il gravel poi si sta sempre più evolvendo, molte istituzioni come l’UCI si stanno interessando al suo progresso. Sta a noi presenziare a più eventi possibili: solo così daremo la giusta direzione a questo movimento”

Steve Ude (professional MTB instructor / former pro MTB rider)

“Ho un passato e un presente nella MTB. Nonostante le due ruote siano uguali, la situazione qui è completamente diversa. Il mondo gravel ha uno spiccato lato di community, che un evento come Marmöl riesce a manifestare e sprigionare alla perfezione. Ho chiacchierato tutta la giornata, mi sono goduto scenari bellissimi e ho scattato un milione di foto… Certo, spesso mi sono sentito sotto ritmo, ma durante il giro non ho mai pensato alla performance personale. Ho sempre trovato persone con cui parlare, scambiare opinioni e ammirare le cave. Il tema centrale della bici è l’esplorazione, è la sua essenza. Qui sono stato abbagliato da cambi di luce pazzeschi, sono passato dal bosco a ipnotiche cave rosse: ho vissuto un’esperienza. E credo sia sempre più necessario vivere le due ruote così, per me come per tutti coloro che le stanno imparando a conoscere in questo momento storico. Spero che anche l’universo MTB lo capisca”

Photo Credits: @Riccardo Romani
Text by: Gianmarco Pacione


Marmöl Gravel, ritratti di una festa gravel

Marmo Botticino, fatica, birre e dj set: a Brescia le due ruote vanno oltre la performance

È grigio il cielo bresciano, un grigio che ispira fatica, che riecheggia di epica ciclistica. La Marmöl Gravel inizia sferzata da sparute gocce di pioggia gelida, scaldata da vapori umani e cornetti bollenti. In una tipica domenica mattina d’inverno lombardo le nuvole non si diradano, ma con il passare delle ore mostrano sempre più clemenza nei confronti dei tantissimi rider accorsi alle pendici della Via del Marmo. Sono esperti di lunga data o novizi dell’universo gravel, sono fedelissimi della filosofia ciclistica conviviale. Una filosofia unica, che esula dal concetto di performance individuale, concentrandosi su quello di fatica condivisa, funzionale alla scoperta di un territorio meraviglioso come quello delle cave di Botticino, e sulla celebrazione di una palpitante community che non necessita di cronometri o podi, ma di bellezza naturale, dialoghi, dj set ed emozioni totalizzanti. Perché in questi 70 chilometri di strade polverose, scenari da favola e rosse cascate di colori si riversa una volontà differente, tanto antica quanto moderna: la volontà di divertirsi durante e, soprattutto, dopo dislivelli e sudore. Unicorni danzanti e ciclisti di livello internazionale, rinomati collettivi e stravaganti personaggi locali… Le tanto affascinanti, quanto tortuose valli bresciane foratura dopo foratura, birra dopo birra, concedono spazio alla personalità di tutti, e tutti diventano attori protagonisti di un evento iniziato stringendo i denti e concluso con le braccia al cielo, all’inseguimento di ritmi musicali e vibrazioni collettive.

“Uso tre aggettivi per descrivere questa giornata: faticosa, bellissima e pazza”, racconta l’organizzatore dell’evento Niccolò Varanini, “Ho sempre voluto creare un evento che racchiudesse la mia filosofia di ciclismo, una filosofia che condivido con mia moglie e con i miei più cari amici. La Marmöl è una sintesi del ciclismo invernale, dove pedali per ore, fai fatica, ma alla fine ti ritrovi a mangiare, a ridere e a fare festa in un’osteria con i tuoi compagni di viaggio. Questo è il mio modo di pedalare. Amo percorrere tracce dure e poi finire in contesti come questo. Gli Alpini stanno cucinando per tutti e tutti stanno bevendo e ballando nonostante la stanchezza. La gente si diverte e questo mi fa sentire bene, mi conferma ancora una volta che nel ciclismo c’è molto più della semplice e dolorosa performance. La fatica è intrinseca alle due ruote, certo, ma anche la gioia e il divertimento condiviso lo sono. Sono orgoglioso che siano arrivati amici rider da tutta Italia e che abbiano avuto la possibilità di scoprire questo meraviglioso territorio. Io ho cominciato ad esplorare queste strade per caso e necessità. Fino a qualche tempo fa vivevo in un’altra zona di Brescia, poi mi sono trasferito qui vicino per vivere con mia moglie e, dopo aver superato le ansie per una zona che sembrava off-limits, sono entrato in contatto con il Consorzio dei Marmisti di Botticino, che hanno supportato l’evento fin dalla sua genesi. Tantissime persone attraversano questi luoghi a piedi, fortunatamente io e i miei amici siamo stati i primi a farlo in gravel. Ora sono felice che anche tante altre persone abbiano la possibilità di pedalare in questi luoghi fantastici grazie a Marmöl”

Vi proponiamo una galleria delle immagini che abbiamo scattato durante l’intero evento, un riassunto visivo di questa festa gravel.

Photo Credits: @Riccardo Romani
Text by: Gianmarco Pacione


Marmöl Gravel, la bici si fonde con il Marmo Botticino

Athleta Magazine sarà Media Partner di questo evento dedicato alle due ruote e al territorio bresciano

Oltre duemila anni di storia, oltre duemila anni di attività estrattiva. Il marmo Botticino è un’eccellenza italiana, e le bianche strade sterrate che circondano le sue cave saranno il suggestivo scenario della Marmöl Gravel 2023. Scoperta, non agonismo. Festa, non competizione. Il 26 febbraio 300 ciclisti utilizzeranno l’ibrido ciclistico Gravel per esplorare il variegato territorio bresciano e le sue valli dipinte da sfumature calcaree. Athleta Magazine sarà Media Partner dell’evento e seguirà questa festa su due ruote, interamente dedicata alla promozione e allo sviluppo di questa zona della Lombardia. Seguiteci per percorrere insieme a noi queste strade e per vivere la Marmöl Gravel.


Serhij Lebid’, il cross come inizio di tutto

Grazie a Karhu siamo riusciti a parlare con l’ucraino 9 volte campione europeo di cross country

Alcuni esseri umani segnano indelebilmente le proprie discipline sportive. Sono divoratori di medaglie e record, sono atleti capaci di dominare le proprie prestazioni, sono perfezionisti motivati da un’unica necessità, da un unico obiettivo che mai smette di essere fondamentale e primario: la vittoria. Serhij Lebid’, nato nell’ucraina Dnipropetrovs’k il 15 luglio 1975, è una di queste figure mitiche, di questi onnipotenti totem ammirati da ogni avversario, da ogni spettatore. Italiano e verbanese d’adozione, Lebid’ vanta 19 partecipazioni consecutive agli Europei di cross tra il 1994 e il 2012. Per oltre vent’anni ha letteralmente egemonizzato questa manifestazione, arrivando per 12 volte sul podio e conquistando 9 titoli (di cui 5 consecutivi). Grazie a Karhu abbiamo incontrato questo mito sportivo all’interno della Reggia di Venaria, durante gli European Cross Country Championships, durante il suo evento principe. Abbiamo parlato del valore del cross country e del periodo storico del suo Paese. Queste sono le sue parole.

“Il cross country rappresenta tutta la mia vita. È l’inizio di tutto. I bambini cominciano a correre su questi percorsi, anch’io ho iniziato così. Questa è una base imprescindibile per la corsa su strada e su pista. La presenza di un fenomeno come Ingebritsen ad ogni europeo di cross non è causale… Il norvegese partecipa a queste competizioni per preparare le gare che arriveranno nei mesi futuri, perché qui si preparare l’eccellenza del mezzofondo. Quando osservo manifestazioni come gli European Cross Country Championships ho un po’ di nostalgia e sento riaffiorare tantissime immagini, ricordi e momenti che ho vissuto grazie a questo sport. Per competere a questi livelli la mente conta tanto quanto il fisico. Quando corri in pista tutto è uguale, qui invece si alternano continuamente salite e discese: da un lato ti senti meglio, perché sei a contatto con la natura, la respirazione è come se fosse più pura e non rischi mai di annoiarti, dall’altro tracciati del genere costringono il tuo corpo ad enormi fatiche. Ricordo ancora quando vinsi il primo europeo e la settimana successiva partecipai ad una gara nel fango dove arrivai molto indietro in classifica… C’è bisogno di tempo per comprendere il fattore ambientale, per abituare i tuoi muscoli ad emergere dal fango e da terreni complessi. Io sono italiano d’adozione, ma vivo ancora in Ucraina, dove gestisco il mezzofondo per la Federazione del mio Paese. Per me è un periodo molto particolare, perché quando è arrivata la guerra tutto è diventato confuso. Tra sirene e missili non si realizza cosa sta succedendo, per il primo periodo è come se sentissi la guerra distante da te, ma poi capisci e finisci per abituarti ad un qualcosa di così negativo… Spero solo che finisca il prima possibile, stanno morendo tantissime persone”

Photo Credits: Rise Up Duo
Testo a cura di Gianmarco Pacione


Franco Arese e Maurizio Damilano, il cross è per sempre

Due leggende dell’atletica italiana spiegano l’importanza degli European Cross Country Championships torinesi

Gli European Cross Country Championships 2022 hanno riunito nell’elegante e accogliente Reggia di Venaria due volti che mai hanno smesso di vivere, incarnare e tramandare la bellezza del sacrificio atletico. Sono Franco Arese e Maurizio Damilano. Sono due professori emeriti dell’universo sportivo italiano. Sono due menti, due corpi, due anime che all’atletica hanno dedicato e continuano a dedicare le loro esistenze.

“Ho cominciato a correre così, nelle campagne cuneesi e nei campionati studenteschi”, confida Arese, prima mezzofondista di livello internazionale e campione europeo sui 1500 metri ad Helsinki ’71, poi imprenditore di successo e oggi chairman del brand Karhu, “Il cross è fondamentale soprattutto per noi mezzofondisti. Correre con il fango fino alle caviglie è qualcosa di diverso, ti insegna a superare momenti di crisi che poi puoi ritrovare in pista. Il cross fortifica la tua mente, perché qui non è tutto bello e pulito, le incognite sono infinite… Pensate per esempio al campione olimpico sui 1500 metri a Tokyo, il norvegese Jakob Ingebritsen. Ha appena vinto su questo tracciato il suo sesto oro europeo consecutivo: questa è la dimostrazione di quanto sia propedeutico questo sport e di quanto aiuti la performance in altri contesti”.

“È una grande palestra di costruzione”, prosegue Damilano, marciatore oro olimpico a Mosca ’80 e due volte campione mondiale sui 20km, ora consigliere di spicco della Federazione Italiana di Atletica Leggera, “I mezzofondisti costruiscono i propri risultati con il cross, ma questo sport serve soprattutto come avviamento per tanti bambini che incontrano l’atletica in gare scolastiche e se ne innamorano. Il cross tocca anche un punto fondamentale per la società attuale, la sostenibilità ambientale. È una disciplina che consente di correre e muoversi nella natura, di sfruttare il territorio nel migliore dei modi”. “Questo luogo è un’ex riserva di caccia e credo sia un contesto fantastico per un evento di questo genere”gli fa eco Arese osservando lo splendore della Reggia di Venaria, “Solitamente le gare di cross si svolgono in campagna, in zone anonime in cui non è presente questo contorno architettonico e monumentale… Qui invece l’arte umana si fonde con l’ambiente e con la corsa. Ho la sensazione che questo scenario completi la competizione e la renda affascinante in primis per gli atleti, ma anche per le oltre diecimila persone che sono accorse ad ammirare le loro performance”.

Gli occhi di entrambi si illuminano davanti a giovani falcate, innescando un duplice processo d’immedesimazione e desiderio. Perché nella corsa di Ingebritsen e colleghi si riflettono interi decenni di amore viscerale per l’atletica, di allenamenti e successi, così come il desiderio comune di un presente dedicato allo sviluppo di questo nobile, eppure estremamente popolare universo sportivo. “Per me è un onore supportare questo evento”, afferma Arese, “Ed è un onore rappresentare Karhu e la sua storia strettamente connessa a tante leggende dell’atletica, come i Finlandesi Volanti o le 15 medaglie d’oro che questo brand ha vestito ad Helsinki 1952. Qualche anno fa ho deciso di rilanciare Karhu, era una questione di rispetto verso un pezzo di storia sportiva. Allo stesso tempo è fondamentale rilanciare il cross country, e questa cornice di pubblico dimostra che siamo sulla giusta strada”. “Quando partecipo a queste competizioni è come se rivivessi dei momenti della mia carriera”, conclude Damilano, “Gli atleti italiani, i loro risultati e le loro imprese mi riportano indietro nel tempo… Mi fanno pensare all’autostima e alle consapevolezze che ho acquisito raggiungendo risultati come l’oro di Mosca. Ho lasciato le piste da 30 anni, ma non ho lasciato l’atletica. Per questo evento ho assunto il ruolo di CEO del comitato di organizzazione e coordinamento, schierandomi al fianco del presidente Lucchi, e osservare questa cornice straordinaria mi conferma quanto sia sempre più necessario che l’atletica diventi una piattaforma d’inclusione di massa”.

Credits: KARHU
Photo Credits: Rise Up Duo
Text by: Gianmarco Pacione


La meraviglia podistica degli European Cross Country Championships

Insieme a Karhu abbiamo raggiunto la reggia di Venaria Reale e ammirato l’elite del cross country continentale

“Chi vede Torino e non vede la Venaria, vede la madre e non la figlia”, racconta un antico detto sabaudo. E i migliori interpreti del cross continentale hanno avuto modo non solo di vedere, ma anche di assaporare e fendere con le proprie falcate le vibrazioni di questa reggia patrimonio UNESCO. Perché gli SPAR European Cross Country Championships 2022 sono stati una celebrazione della bellezza, del rapporto tra corsa di altissimo livello e meraviglia architettonico-naturalistica.

In fondo basta una semplice cartolina visiva per descrivere l’unicità di quest’evento: immaginate fulminei corpi che invadono il Castello della Mandria, attraversando la suggestiva Galleria delle Carrozze degli Appartamenti Reali, per poi uscire attraverso il monumentale portone del Cortile d’onore e lanciarsi su rapidissime discese e vertiginosi muri verticali…

Eleganza e fatica. Terra, erba, ghiaccio e tappeti rossi. Tra le diapositive più significative di questa pittoresca ode al cross bisogna menzionare la progressione ritmata e inarrestabile dell’onnipotente norvegese Jakob Ingebrigtsen, sublimata nel sesto oro europeo consecutivo, ma anche la rimonta al cardiopalma di Gaia Sabbatini e l’abbraccio stremato con tutti gli altri membri della staffetta mista italiana (Pietro Arese, Federica Del Buono e Yassin Bouih). Ulteriori emozioni sono arrivate nello sprint finale della gara senior femminile, dove l’altra eccellenza norvegese Karoline Bjerkeli Grøvdal ha bissato il titolo vinto lo scorso anno, piegando le resistenze della tedesca Klosterhalfen, e dalla giovane regina del mezzofondo italiano Nadia Battocletti, capace di esaltare il fiume di tifosi accorso nell’antica residenza sabauda vincendo l’oro Under 23. I britannici Will Barnicoat e Charles Hicks hanno invece lanciato un messaggio per il futuro da oltremanica, conquistando rispettivamente le gare maschili Under 20 e Under 23. Il titolo Under 20 femminile è infine andato alla spagnola Maria Forero.

Grazie a Karhu, sponsor dell’evento, abbiamo catturato questa soleggiata giornata di eccellenza atletica con le nostre lenti. Vi proponiamo solo una parte della galleria fotografica che vi mostreremo in questi giorni: immagini che saranno accompagnate da interviste, testimonianze e focus dedicati alla disciplina più democratica del mondo.

Photo Credits: Rise Up Duo
Testi di Gianmarco Pacione


L’Europa del cross country

Grazie a Karhu ritrarremo la nobile fatica del cross country agli Europei di Torino

“Il cross country è una stupenda emozione di vita e ha significato per me la verità sportiva”. Le parole della due volte campionessa mondiale Paola Pigni racchiudono l’essenza del cross country podistico. Grazie a Karhu avremo la possibilità di ritrarre questo magico universo sportivo: lo faremo a Torino, nel sublime scenario naturale del parco La Mandria, dove questo weekend seguiremo i Campionati Europei 2022. Fango, freddo e fatica accompagneranno testimonianze editoriali e visuali dei migliori atleti continentali di questa disciplina, mostrandoci le più differenti sfumature del cross country e dei suoi protagonisti. Seguite i nostri canali social per scoprire immagini e pensieri connesse ad uno sport che, da secoli, continua a scrivere pagine di mitologia atletica. Perché il cross country non ha mai smesso di essere democratico e affascinante. Perché il cross country non ha mai smesso di rappresentare la nobile verità sportiva.

Testi di Gianmarco Pacione