Il fotografo che rende gli atleti figure epiche, figure umane

“Mi piace isolare gli individui, focalizzarmi sul singolo, mi aiuta a semplificare la composizione e a condurre l’osservatore all’interno del momento. Vaste angolazioni offrono troppe informazioni, almeno secondo il mio occhio. Più mi spingo vicino, più entro in contatto con il soggetto, migliore è la foto. È una connessione emozionale che non comprendiamo fino a quando non la cerchiamo”

Connessione emozionale. La fotografia di Nils Ericson è racchiusa in questa magica formula. Emozioni che si trasformano in immagini, immagini che si trasformano in emozioni.

Nelle composizioni sportive di questo fotografo americano l’atleta viene contemporaneamente umanizzato e mitizzato, raggiunge il piano epico attraverso la consuetudine, il prezioso banale.

“Cerco sempre il drammatico: nelle forme dei corpi, nelle luci, nel dolore o nell’euforia dipinta sui volti. Fango, sudore, sangue e fatica aiutano a creare un’atmosfera precisa, a descriverla. C’è una componente epica? Assolutamente. Dipende da un immaginario romantico legato all’atto sportivo? Certo. Il gergo di guerra, per esempio, è da sempre strettamente legato allo sport. Provo semplicemente ad abbracciare un linguaggio esistente da molto, molto tempo, sperando di riuscirci in una maniera poetica”

Un linguaggio che Nils ha allevato nei meravigliosi anni ‘80, quel colorato carnevale di grandezza atletica ed estetica: da MJ a Diego Armando Maradona, da Andre Agassi a Jim McMahon e i Chicago Bears del 1985, passando dalle Olimpiadi losangeline.

Un linguaggio messo in prosa fotografica quasi per caso, grazie all’influenza di un professore universitario, dopo un lungo e multiforme avvicinamento accademico.

“Fino al College la fotografia non mi ha appassionato seriamente. Durante il mio anno da freshman ho seguito il corso di disegno del professor Ben Moss. In qualche modo quel corso mi ha portato a studiare design e a fotografare. Alla fine di quel periodo ricordo di aver detto al professore che non avrei più potuto fare a meno della fotografia”

Segnato dalla libreria d’arte di Dartmouth, da punti di riferimento assoluti come Emmet Gowin e Sally Mann, da benchmark come Larry Sultan, Joel Sternfeld, Greg Crewdson e Jan Groover, Nils è riuscito negli anni a costruire la propria poetica visiva.

Una poetica studiata e affinata tra le mura di casa, tra gli affetti familiari. Una poetica inevitabilmente destinata a fondersi con l’atto sportivo contemporaneo.

“Per questa selezione ho scelto, oltre alle immagini sportive, delle foto della mia famiglia: mi definiscono. Le immagini sportive sono legate ad alcuni dei lavori più memorabili e significativi che ho fatto. Il giavellottista, per esempio, è membro dell’academy giamaicana dove è cresciuto Bolt: io l’ho visitata per Puma”

A detta di Nils ogni sport regala qualcosa di diverso, lo stesso si può dire della sua capacità ritrattistica. Una sensibilità destinata ad evolversi in nuovi progetti nel prossimo futuro, in nuove connessioni emozionali da creare.

“Vorrei esplorare di più il mondo acquatico. Il mio progetto sulla Guardia Costiera è appena iniziato. Poi ho sempre voluto fotografare il football liceale. Sicuramente continuerò a fotografare l’ambiente familiare, i fiori, i miei bambini”

Credits

Photo by Nils Ericson
IG @nilsericson
nilsericson.com

Testi di Gianmarco Pacione