Un ritratto del calciatore professionista MLS divenuto fotografo di fama internazionale
Evocare un’emozione per l’osservatore, catturare contemporaneamente l’emozione dell’atleta: un’emozione già sperimentata in prima persona. La fotografia di Ethan White si concentra su questo dualismo, lo articola con un’esperienza e con un background molto più densi di significato rispetto a quelli di tanti suoi colleghi. Fotografare calcio e fotografare l’arte sportiva, per questo 31enne americano, equivale difatti al fotografare sé stesso.

Solo pochi anni fa Ethan era un calciatore professionista di alto livello. Solo pochi anni fa Ethan dirigeva la linea difensiva del New York City FC e pareva nel mezzo di una brillante carriera interamente sviluppata in MLS, nella Major League Soccer, massima espressione del calcio americano.
Solo pochi anni fa. Poi, d’improvviso, sopraggiungeva una decisione apparentemente incomprensibile, perlomeno per molti colleghi e addetti ai lavori: il ritiro dal calcio ad appena 27 anni per dedicarsi alla lente, all’arte del ritrarre volti, sensazioni ed estetica visiva.
“Una volta diventato giocatore professionista mi sono reso conto quanto fosse importante avere una passione esterna al campo. Documentare la mia vita era un modo per estendere la mia creatività, per aprire la mia mente, per pensare ad altro. Fotografare ha decisamente aiutato la mia carriera calcistica. Le ore giornaliere spese nella creazione di moodboard, nella ricerca artistica e nella fotografia mi permettevano di uscire daun vortice, di alleviare le pressioni. Quando giocavo nei Philadephia Union ho avuto il primo lavoro retribuito con Mitchell & Ness, li entusiasmava il fatto che un calciatore avesse gusto fotografico. Arrivato a New York, nel cuore pulsante del mondo fashion, le opportunità lavorative sono letteralmente esplose, Adidas per esempio mi ha offerto un lavoro senza sapere che fossi ancora un giocatore… Avevo anche pensato di trasferirmi a giocare in Europa, ma alla fine ho deciso di lasciare il calcio per concentrarmi su questa passione”



A due anni Ethan ha indossato le prime scarpe con i tacchetti. In periodo liceale, invece, ha preso in mano la prima macchina fotografica: un’azione legata alla passione per le sneakers e alle dinamiche di reselling legate ad essa. Banalmente: ritrarre al meglio una scarpa per poterla rivendere (all’epoca su Ebay) e comprarne un’altra. Nello stesso periodo la macchina fotografica ha iniziato ad accompagnarlo nelle trasferte con la Nazionale giovanile e ad invadere ogni secondo trascorso all’esterno del campo.
Sport da una parte, lifestyle e fashion dall’altra. Ispirato da Walter Iooss Jr. e dalla sua capacità di ritrarre ogni sfaccettatura della potenza individuale, non solo cestistica, di ‘His Airness’ Michael Jordan, Ethan ha iniziato a camminare in equilibrio sul trait d’union tra coolness e professionismo sportivo, immergendosi in un trend che sta egemonizzando la fotografia e, soprattutto, la moda contemporanea.
“Trovo che calcio e fashion siano due mezzi per esprimere sé stessi. Sono due linguaggi: come comunichi con i piedi, così puoi comunicare con i vestiti. Si tratta di farsi ispirare e di ispirare. Walter Iooss Jr è stato perfetto nel ritrarre l’intimità di MJ, nel mostrare come si vestiva e il progresso della sua vita, per questo è un mio grande punto di riferimento”


Anche Ethan White, a suo modo, è diventato punto di riferimento per tanti compagni di squadra, penetrando la barriera machista tipica dello spogliatoio e mostrando, in particolar modo alle nuove generazioni, la via per una vita che non ruoti unicamente intorno al pallone.
“Alcuni inizialmente storcevano il naso vedendo quanto tempo impiegassi nella fotografia. Bastava però spiegare, mostrare la mia passione e cambiavano immediatamente idea. Il mondo di oggi permette di avere sempre più input, sempre più contenuti che possano modellare te stesso e la tua personalità: per questo sono convinto che si possa essere molto più di semplici atleti. Assistendo al mio ritiro, molti ragazzi hanno anticipato i tempi e hanno iniziato a pensare ad una passione da sviluppare già durante il periodo di professionismo sportivo. In tanti hanno compreso l’importanza di questa presa di coscienza: è un qualcosa di fondamentale per gestire al meglio la fisiologica transizione di fine carriera. Per me, per esempio, il passaggio è stato facilissimo”
Una transizione resa facile da uno status già consolidato nell’universo fotografico newyorchese, dove Ethan negli ultimi mesi da calciatore aveva iniziato a collaborare con brand di spicco, dimostrando una qualità fuori dal comune: quella di creare legami e connessioni profonde con gli atleti fotografati, di creare un atipico rapporto tra ‘pari’ solitamente impossibile per fotografi ‘comuni’.
Il retroterra formativo di Ethan permette al nativo del Maryland di trattare anche il campo in maniera differente rispetto alla canonica fotografia d’azione. L’istinto affinato da protagonista sul prato verde gli impone di indagare ben altro rispetto a gol e tackle: ecco perché i suoi reportage calcistici parlano una lingua fatta di cultura locale, di microstorie, di romanzi personali vissuti attorno e all’interno dei novanta minuti.
"Quando vado a vedere una partita voglio immortalare ogni cosa, come se fosse un film, voglio raccontare l’intera storia. Sono fortunato perché ho vissuto tutto quello che vivono gli atleti che fotografo: so comprendere i loro stati d’animo, cosa gli passa per la testa, e riesco anche a predire cosa succederà in campo… Per farvi capire, molte volte mi ritrovo a inquadrare un punto, una situazione, mentre tutti i miei colleghi stanno inquadrando qualcosa di completamente diverso: tutte le macchine fotografiche sono girate da una parte, tranne la mia. Mi piace essere ‘personale’ con i giocatori e amo osservare i riflessi che le culture nazionali e locali hanno sull’ambiente-stadio. Da club a club, da Paese a Paese: tutto è differente, ogni cultura celebra il calcio in maniera differente”



Da Monterrey, dove ogni domenica prende forma una bollente e carnevalesca forma di devozione per il dio fútbol, alla Giordania, dove Ethan ha trascorso alcuni giorni all’interno di un campo profughi in cui il calcio rappresenta l’unica, seppur momentanea, forma di redenzione. Grazie all’unione delle sue passioni, Ethan sta riuscendo a scoprire e a far scoprire territori, tradizioni, forme di religione calcistica.
Come accaduto lo scorso anno in Italia, a Venezia, dove l’americano è stato a lungo ospite della società lagunare. Una residenza artistica impreziosita dalla promozione in Serie A dei ‘Leoni Alati’ e che, adesso, si è vista concretizzare nell’uscita di una pubblicazione interamente dedicata a quel periodo: ultimo progetto di una seconda carriera che, ormai, ha raggiunto gli stessi livelli d’eccellenza dimostrati in precedenza nei monumentali stadi a stelle e strisce.
“È stata una stagione contemporaneamente strana e spettacolare. Strana perché sono arrivato a Venezia poco prima del lockdown: la città è cambiata rapidamente, i turisti sono scomparsi, così come i tifosi allo stadio. Ho documentato proprio questo cambiamento, questo momento unico nella recente storia cittadina, senza le distrazioni che ci sarebbero state con una Venezia ‘normale’. Spettacolare perché al termine di una lunga cavalcata, passata anche dai playoff, il Venezia è stato promosso nella massima serie. Ora è appena uscito il libro che racconta tutto questo. In futuro voglio continuare ad alimentare questa combinazione tra sport e fashion, dentro di me è rimasta una parte fondamentale dell’Ethan atleta: la volontà di migliorarmi sempre, di continuare a crescere e di diventare il migliore nel mio ambito lavorativo”





