La República Dominicana raccontata dalla lente di Sofía Torres Prida
“Nel tempo mi sono sempre più interessata all’identità dominicana, la mia identità. Ho studiato oltreoceano, all’Università delle Arti di Zurigo e, una volta tornata a casa, ho deciso che avrei provato a studiare e raccontare la cultura del mio Paese e le sue ramificazioni. Ecco perché ho concentrato la mia attenzione soprattutto sul baseball”
Sofía Torres Prida è giovane, ma consapevole. È consapevole delle diramazioni della cultura dominicana, dei suoi capisaldi, della personale volontà di raccontare un popolo e i suoi costumi attraverso la propria lente. La Repubblica Dominicana è il baseball. Il baseball è la Repubblica Dominicana. Questa è l’equazione che Sofía spiega linearmente, introducendo ‘Sueños y Gloria’, ‘Dreams and Glory’, un viaggio fotografico che abbraccia tre generazioni di giocatori di baseball dominicani volati oltre confine, negli USA, per elevarsi sportivamente, ma anche per molte, moltissime altre ragioni.




“Il baseball fa parte della nostra identità. Sono cresciuta andando alle partite ogni settimana: era una sorta d’inconsapevole rito condiviso con amici e parenti, popolato da birre e cibo. Per questo progetto sono entrata in contatto con alcune fondazioni e ho scoperto quanto siano impegnati socialmente i giocatori dominicani che hanno avuto e stanno avendo la fortuna di giocare in MLB. Così ho iniziato a viaggiare e ad incontrarli, provando a capire perché restituiscano così tanto alle loro comunità d’origine. Le storie che ho ascoltato sono tutte molto simili: parlano di sogni, sacrifici, leghe minori e successi milionari. Ma tutte queste parabole sono accomunate da un qualcosa di più grande: il viscerale legame tra il baseball e il mio Paese, e tra coloro che riescono a diventare giocatori MLB e la loro patria”
Sofía delinea, esempio dopo esempio, vite che sono transitate dall’estrema povertà all’estrema ricchezza, grazie ad una mazza e un guantone. Racconta di biografie individuali che diventano biografie collettive, di bambini che diventano uomini sul diamante, restituendo ai luoghi e alle persone della loro infanzia quanto hit e run hanno regalato loro. Ma racconta anche di coloro che non ce l’hanno fatta, di tassisti e barbieri che hanno inseguito a lungo il sogno dei grandi stadi americani, senza mai raggiungerlo.




“In Repubblica Dominicana il baseball rappresenta una via di fuga dalla povertà. Non è solo uno sport, è un modo per cambiare le prospettive di tutta la famiglia. Mi è capitato di incontrare famiglie composte da 5 fratelli e, ad un certo punto della loro vita, tutti e 5 hanno investito tutto nella possibilità di diventare giocatori MLB. Oggi ci sono ragazzi che firmato contratti ultramilionari a 18, 20 anni, tanti ex giocatori mi hanno raccontato di come una volta la situazione fosse completamente differente tra segregazione razziale e contratti da 500 dollari al mese. L’impennata economica che ha subito l’MLB negli anni ’90 è andata di pari passo con la volontà di ogni dominicano di perseguire questa strada. Ora i giocatori non sono più atleti, sono celebrità, e sentono ancora più forte il peso del proprio Paese sulle spalle. Ogni dominicano li guarda. Ogni dominicano si ispira a loro”
Ma la ricerca socio-antropologica di Sofía non si limita al diamante. Prima di conoscere il proprio maestro fotografico Joseph Rodriguez, questa giovane fotografa documentarista ha anche esplorato le prigioni dominicane, così come Uptown Manhattan, Little Dominican Republic, scandagliando, come insegna il suo mentore, ogni manifestazione di una precisa identità, fatta di religione e superstizione, di valori condivisi e barriere linguistiche.






“Si possono trovare tracce della nostra cultura anche in prigione, così come nei playground di Uptown, dove tanti dominicani giocano a streetball. Il baseball è semplicemente la piattaforma più importante in cui i dominicani vengono rappresentati. Tanti di questi atleti mi hanno parlato dei loro primi tempi nelle minor league americane, quando erano costretti a vivere in casa con altri ragazzi, stando a stretto contatto per intere, lunghissime stagioni. Anche in quelle occasioni il modo di essere tipico dei dominicani veniva a galla: chi non sapeva cucinare puliva, e viceversa, ricreando una sorta di grande famiglia. Molti hanno mangiato per mesi e mesi hamburger o cibo messicano, perché nei ristoranti potevano comunicare solo in spagnolo… Sono anche aneddoti come questi che definiscono la cultura del mio Paese. Io continuerò a cercare queste storie e continuerò a raccontare l’identità dominicana”
Credits: Sofia Torres Prida
IG sofiatorresprida
Testo a cura di Gianmarco Pacione