Entrate nel mondo e nelle sensazioni di questo corridore dalla penna ispirata

Come entrare nella mente, nelle gambe, nelle fibre muscolari e sensoriali di un atleta di alto livello? Un enigma spesso irrisolvibile. Spesso, non sempre.

Archie Davis è un corridore di livello internazionale, una giovane promessa dell’atletica britannica, capace di correre gli 800 metri di 1:44.72 e il Miglio in 3:54.27. Archie Davis è uno scrittore.

Con la sua penna ha deciso di condurci all’interno della propria vita, dei propri sacrifici, del proprio sogno olimpico. Un viaggio impreziosito dai meravigliosi scatti di Holger Pooten, Direttore del London Institute of Photography. Buona lettura.

Correre; lo sport più accessibile al mondo. Per la maggior parte delle persone è una una forma di catarsi, di liberazione mentale dopo una dura giornata di lavoro, una sfida per migliorarsi come individui o semplicemente un’opportunità per migliorare la propria salute.

Per me? È vita.

La corsa mi ha portato in giro per il mondo e permesso di competere per il mio Paese. La corsa mi ha condotto in arene affollate, dove ho sfidato alcuni dei migliori atleti della storia. Ma è stato tutt’altro che semplice arrivare dove sono ora, ci sono state molte battaglie lungo la strada che mi hanno formato come atleta e come persona. Il rapporto con la corsa lungo questi 13 anni vissuti da atleta si è ovviamente evoluto, ma il mio amore per questo sport è ancora forte, lo è sempre stato.

Tutto è iniziato alle elementari, quando avevo appena 9 anni. Ho sempre avuto una sorta di vantaggio competitivo, una passione innata per lo spingermi al limite; qualunque sport faccio, devo vincere. Il mio insegnante mi ha iscritto ad una gara sulla lunga distanza in uno dei miei primi giorni di sport scolastico, sono rimasto sorpreso quando ho vinto con un margine impressionante. Immediatamente alcune persone hanno cominciato a chiedermi di unirmi al club di atletica locale. La mia nuova passione correva veloce e non vedevo l’ora di iniziare…

Da ragazzo ero molto orgoglioso di far parte di un club di atletica leggera e, contemporaneamente, ero completamente all’oscuro della mia quantità di talento. Non ho mai realmente considerato la possibilità di diventare un atleta d’élite, non avevo idea di cosa ci sarebbe voluto per raggiungere un livello mondiale e degli ostacoli che avrei dovuto affrontare lungo la strada. Quel periodo della mia carriera è stato puro e innocente. Correvo per amore di questo sport e per la sensazione di libertà che provavo quando entravo in pista. Ricordo di aver visto i miei primi Giochi Olimpici in TV in quel periodo, Pechino 2008. Guardare atleti come Usain Bolt infrangere record mondiali e vincere medaglie d’oro mi ha fatto capire che l’atletica leggera poteva essere molto più di un semplice hobby, anche se non l’avevo ancora immaginata come una parte decisiva del mio viaggio.

Penso che l’ingrediente chiave per avere successo sia la dedizione. Credo fermamente che chiunque tu sia e qualunque cosa tu faccia, tu possa raggiungere la grandezza concentrandoti sulla coerenza e affidandoti totalmente alla concentrazione e all’impegno. Ci sono atleti là fuori che hanno tutto il talento del mondo, ma non sono preparati a dedicare ad esso le ore extra che lo fanno maturare, che lo rendono concreto. Ho avuto la fortuna di imparare cosa significasse tutto questo molto presto nella mia carriera, ovvero quando ho subito il mio primo grande infortunio. Avevo solo 13 anni. Alcune persone potrebbero chiedersi perché mi consideri fortunato nell’aver patito quel brutto infortunio: la realtà è che sono consapevole di aver imparato moltissimo riguardo il concetto di ‘dedizione’. In quei 6 mesi di inattività ho appreso molto più di quanto non abbia mai fatto da allora.

Era l’aprile del 2012 e avevo appena finito la mia stagione di Cross Country Under 15. Per la prima volta avevo iniziato un programma di ‘forza e condizionamento atletico’ – semplicemente un circuito di esercizi di forza e agilità di base – e devo ammettere che, a quei tempi, non ero la persona più coordinata del mondo.
Durante uno degli esercizi ho puntato il piede sul suolo e la caviglia ha fatto un movimento innaturale. Il dolore ha subito pervaso tutto il corpo e ho capito di essermi fatto male seriamente.

La mattina dopo la caviglia aveva raddoppiato le sue dimensioni e il mio piede era completamente nero. Un viaggio in ospedale per una radiografia ha rivelato che mi ero fratturato un metatarso, con ogni probabilità avrei saltato l’intera stagione estiva. Ero sconvolto, ma il mio allenatore mi ha fatto sedere e mi ha illustrato un piano che ha attirato immediatamente la mia attenzione. Sapevamo che sarei andato in giro con un piede fratturato e ingessato per 6-8 settimane, poi avremmo potuto iniziare un programma di riabilitazione che mi avrebbe aiutato a tornare a correre e a gareggiare il prima possibile. Il programma prevedeva una serie di esercizi di rafforzamento che avrei dovuto fare ogni giorno. Il mio allenatore era preoccupato: la dedizione di cui avrei avuto bisogno forse era eccessiva per un ragazzino della mia età. In realtà non vedevo l’ora di affrontare la sfida.

Per farla breve, sono uscito ogni singolo giorno per otto settimane e ho completato la mia riabilitazione con tutta la concentrazione e lo sforzo fisico-mentale possibile. Ho recuperato in fretta e sono persino riuscito a tornare in pista per gareggiare alla fine della stagione 2012, cosa che a cui nessuno credeva. Avevo solo 13 anni e avevo compreso il significato di ‘dedicare sé stessi a qualcosa’.

Da allora il viaggio è stato un vero e proprio ottovolante. Ho partecipato ai miei primi campionati internazionali all’età di 16 anni (gareggiando per l’Inghilterra ai Giochi giovanili del Commonwealth a Samoa, la mia località sportiva preferita fino ad oggi!), poi ho continuato ai Campionati Mondiali Junior e agli Europei Junior Under20. Ho dovuto combattere contro avversità estreme in ognuna di queste occasioni, anche solo per arrivare alla linea di partenza.

Una settimana prima dell’inizio dei Campionati del Mondo Junior, il mio migliore amico è morto. Penso sia una cosa complessissima da somatizzare a 17 anni. Tutto ciò a cui riuscivo a pensare in quel momento era lui, ero sconvolto. Salire su quell’aereo avrebbe potuto significare perdere il suo funerale e questo mi terrorizzava. Mi sono reso conto, però, che più di ogni altra cosa il mio amico avrebbe voluto che andassi là fuori, indossassi quella divisa della Gran Bretagna e gareggiassi in un campionato del mondo. È stata una delle cose più difficili che abbia mai fatto, ho corso per lui. Alla fine sono riuscito a partecipare sia al funerale che ai campionati, il che è stato un enorme sollievo. Ripensando a quel periodo, sono davvero orgoglioso di me stesso e di come ho affrontato quella situazione critica. È stata un’altra grande esperienza di apprendimento, un punto di passaggio che ha reso tanti problemi futuri molto più facili da affrontare.

L’anno successivo, ho sviluppato una patologia chiamata sindrome di Plica. Ha colpito un mio ginocchio e mi ha impedito di correre per l’intero periodo invernale. Mi sono dovuto sottoporre ad un intervento chirurgico per rimuovere della cartilagine, il che mi ha obbligato a stare con le stampelle per un lungo periodo. Sono stato completamente fermo da settembre a febbraio. Ho fatto forza sulla mia precedente esperienza di infortunio per lavorare sodo e ho trovato vie alternative per allenarmi, come la bicicletta e il nuoto. Contro ogni previsione, sono riuscito a rimettermi in forma per la stagione estiva e a qualificarmi per gli Europei, finendo al 5° posto. Dopo due anni davvero difficili, ero convinto di essere pronto per qualsiasi cosa.

Saltando in avanti, al giorno d’oggi, posso dire che non sono mai stato così innamorato della corsa. Ho avuto una vera stagione di svolta nel 2021 e molto di questo è dovuto a una mentalità evoluta e a un forte aumento della fiducia in me stesso. Per essere un atleta di successo bisogna credere nelle proprio capacità. Quando mi posiziono sulla linea di partenza ora mi sento diverso. Penso a ogni sfida che ho superato per arrivare dove sono; mi fa sentire potente. Sento di essere veloce, forte e competitivo quanto tutti i miei concorrenti sulla pista: questa consapevolezza è uno strumento importantissimo, è ciò che forma i campioni.

Quest’anno ho ricevuto le mie prime due convocazioni nella nazionale senior britannica, nei Campionati Europei Indoor e nei Campionati Europei a Squadre. Passare dalla fascia di età junior a quella senior è una sfida enorme e sono felice di aver raggiunto questo livello nella prima stagione da atleta ‘adulto’. Non solo, ho anche migliorato il mio PB di quattro secondi sugli 800 metri e di 6 secondi sul Miglio: le cose stanno davvero iniziando a prendere forma!

Ho lavorato più duramente che mai: io e il mio allenatore abbiamo cercato di concentrarci sui dettagli, sulle mie debolezze e non sulla quantità. Penso ci sia una linea molto sottile tra non fare abbastanza e fare troppo: ognuno ha il proprio equilibrio e l’unico modo per trovarlo è conoscere il proprio corpo, imparare i segnali della stanchezza, capire dove e quando ci si può spingere un po’ più in profondità.

Sono molto eccitato per quello che verrà. L’anno prossimo punterò a far parte delle squadre per i Campionati del mondo e per i Giochi del Commonwealth. Alla luce dell’anno appena trascorso, credo davvero di potercela fare.

Nel 2024? Spero che possiate vedere il mio volto nella squadra del Team GB per i Giochi Olimpici di Parigi…

Credits

Archie Davis
IG @archiejdavis

Ph by Holger Pooten
IG @holgerpooten