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Isidro Lángara, il nemico dei dittatori

Franco, Mussolini e Hitler: la storia dell’attaccante basco che, grazie ai suoi gol, fece tremare i potenti d’Europa

In un mondo dominato dal cerbero nero a tre teste, uno spagnolo, grazie ai suoi piedi, diventò lo spauracchio più grande di Franco, Mussolini e Hitler. Isidro Lángara, per tutti ‘el Tanque’ fu uno dei più prolifici attaccanti della storia del calcio; Isidro Lángara fu, soprattutto, la nemesi delle dittature europee.

Nato nella comunità basca di Pasaia, piccola frontiera marittima incastonata tra Francia, Spagna e Oceano Atlantico, Lángara nel 1930 veste, appena diciottenne, la maglia azzurra del Real Oviedo.

È un ragazzo potente, supera il metro e 80 e pareggia i centimetri con chili distribuiti accuratamente su tutto il corpo.

Ha un busto molto più largo della media, ha dei capelli che, aiutati dalla copiosa brillantina, avvolgono un viso lungo e austero.

In campo pare un umile pescatore capitato per caso sul grande palcoscenico. Il suo sorriso, marcato con forza da solchi ruvidi e sinceri, mette in luce una provenienza atavica, dispersa tra piccole barche e onde sospiranti.

Nelle Asturie la sua leggenda calcistica prende subito vita. ‘El Tanque’ segna 231 gol in 163 presenze tra il 1930 e il 1936, fungendo da finalizzatore insaziabile per quella che passerà alla storia come la ‘Delantera Eléctrica’ oviediana.

Nelle ultime tre stagioni vince il trofeo di Pichichi (miglior marcatore della Liga), con 27, 26 e 28 reti. Con la Nazionale spagnola va in rete 17 volte in 12 partite. E proprio in maglia Roja incontra la prima testa del cerbero nero.

Benito Mussolini nell’Italia del 1934 sta partorendo quello che diventerà un futuro prossimo di sofferenze e dolore. Nel bagliore dell’immediato, però, una grossa fetta del Bel Paese sta vivendo anni di speranza ed euforia: sensazioni ingigantite esponenzialmente dalla macchina propagandistica del Regime.

In questa disperata corsa al consenso pubblico, il Campionato del Mondo organizzato sul suolo italiano diventa un’arma potentissima per i funzionari del Duce.

Gli Azzurri, sotto la sapiente guida tecnica di Vittorio Pozzo, si presentano al Mondiale forti dell’assenza del gigante Uruguay, campione uscente rifiutatosi di partecipare alla competizione.

Mussolini immagina la vittoria della coppa Rimet e la conseguente apoteosi fascista: il progetto, però, rischia di essere minato da un ventiduenne attaccante basco.

27 maggio 1934, a Genova la Spagna domina il Brasile per 3-1, ‘el Tanque’ Lángara sigla una doppietta. Voci ormai sbiadite riportano un crescente stato di preoccupazione negli apparati governativi.

Mussolini è intimorito dalla strapotenza tecnica e fisica della punta del Real Oviedo, e i presenti a Marassi non lo tranquillizzano, anzi, giurano di aver assistito ad un monologo inebriante.

A quattro giorni di distanza, i quarti di finale vedono proprio gli spagnoli di fronte agli uomini di Pozzo. Non si gioca a calcio, si combatte una guerra sul prato verde.

L’artiglieria italiana miete sette vittime tra gli ospiti che, dopo essere passati in vantaggio grazie ad un velenoso tiro di Regueiro (assistito da Lángara), vengono raggiunti da Ferrari in seguito a una clamorosa carica sul portiere avversario.

“Orsi ha tirato una punizione, Schiavio mi ha tirato due pugni che mi hanno spedito in fondo alla rete e Ferrari ha segnato”, dirà ‘el Divino’ Zamora, re dei pali iberici.

 “Quando un atleta era contuso o colpito, nessuno se ne accorgeva: l’arbitro stesso fu indotto all’indulgenza”

“Fu la più furiosa battaglia che si sia mai vista in campo internazionale, una lotta senza quartiere, un combattimento senza esclusione di colpi”

Anche la stampa nostrana non riesce ad omettere il carattere bellico e brutale della partita disputata a Firenze.

Il pareggio obbliga le due formazioni a ripetere l’incontro, scendendo in campo il giorno seguente. La Spagna perde sette titolari a causa delle contusioni, e non solo… Si vocifera difatti che il governo fascista abbia contattato qualcuno in terra ispanica, chiedendo un trattamento di favore in vista della partita di ritorno.

Le assenze di Zamora e Lángara, in particolare, destano non pochi sospetti.

Mussolini avrebbe contattato i vertici spagnoli, avrebbe chiesto un aiuto per portare a compimento ciò che era stato progettato. Avrebbe, appunto.

Nulla è certo, nulla è confermato, come tanto altro nell’ombrosa fanghiglia politica di quegli anni. Sta di fatto che gli Azzurri vincono 1-0 e, superando poi Austria e Cecoslovacchia, concludono la loro marcia trionfale sollevando la coppa Rimet.

Da Mussolini a Hitler. Da una testa del cerbero all’altra. Trascorre un anno e la selezione spagnola viene convocata per una partita amichevole a Colonia, cuore pulsante del Reich.

In un tripudio di bandiere uncinate e davanti a 80mila tedeschi con le braccia tese, gli iberici presenziano ad una sorta di rito primitivo.

Vittima sacrificale sull’altare del popolo nazionalsocialista, la ‘Roja’ si ritrova catapultata in un calderone infernale, costretta a fallire davanti alle più alte cariche tedesche.

Sulle prime la partita pare seguire uno spartito inevitabile. Conen porta in vantaggio i padroni di casa all’11esimo e gli spagnoli, storditi dall’ambiente, faticano a reagire.

Improvvisamente, però, si accende il talento cristallino di Lángara. ‘El Vasco’ di Pasaia gela 80mila anime in 7 minuti. 30’ e 37’, dritto e montante, 1-2.

La Germania non riesce a rialzarsi e la Spagna esce dal campo consapevole di aver rovinato la più grande festa organizzata da Adolf Hitler.

La terza testa del cerbero spunta dal suolo di casa, assumendo le sembianze del ‘Generalísimo’ Francisco Franco. Il 1936 è un anno di svolta a Madrid e dintorni, inizia la Guerra Civile, scontro che vede i nazionalisti perpetrare un colpo di Stato ai danni della Repubblica.

Lángara chiarisce immediatamente la posizione, ‘el Vasco’ tiene fede alle sue origini, schierandosi al fianco dei repubblicani. Abbandona la Nazionale spagnola e inizia un tour di sensibilizzazione con l’Euzkadi, la formazione basca che, soprattutto tra il ’37 e il ’39, fonda il suo impegno sulla raccolta di fondi, organizzando partite in giro per il mondo.

Una storia affascinante quella del ‘equipo de hermanos’, raccontata impeccabilmente da Molinelli nel libro “Euzkadi. La Nazionale della libertà”.

Viaggi, sacrifici e pallone solo per rendere manifesto al mondo il vero stato delle cose in Spagna: area nevralgica europea, dove l’alternanza di bombardamenti e colpi di fucile sta decimando il popolo democratico, esacerbandone tutti gli ideali.

Citando un passo di Manuel de la Sota: “Una sorte avversa ci aveva unito, ma quella sorte avversa fu una delle cose migliori che mi siano mai capitate. Grazie a essa conobbi membri del nostro popolo che, oltre ad essere artisti di uno sport che insegnarono a molti stranieri, furono esponenti della dignità di un piccolo Paese il cui nome, Euzkadi, fecero conoscere proprio quando infuriava la battaglia per la sua sopravvivenza. – … – Quel gruppo di ragazzi testimoniava negli stadi che la pace, per essere reale, non dev’essere codarda”.

Dopo una lunga tournee tra Francia, Repubblica Ceca, Russia, Georgia, Norvegia, Danimarca, Messico e Cuba, Langára matura pienamente la sua condizione di esiliato. Una volta instaurato il governo del caudillo Franco, il suo rientro in Spagna diventa impossibile: la figura del nativo di Pasaia è troppo pericolosa, troppo significativa.

Langára finisce così in maglia ‘Ciclón’, raggiungendo Buenos Aires per giocare nel San Lorenzo.

Esordisce nel 1939 contro il River Plate, segnando 4 reti. Nelle quattro stagioni successive segna 121 gol in 110 partite, entrando nella storia dei cuervos.

In Argentina a colpire l’immaginazione collettiva sono le dimensioni del suo corpo. Lángara viene accostato ad un wrestler, ad un lottatore professionista. A meravigliare è anche la sua capacità di centrare la porta con gol unici, di rara bellezza.

Spesso calcia appena superata la metà campo, trovando angoli impossibili da raggiungere per i portieri argentini.

‘El Tanque’ attende la fine della Seconda Guerra Mondiale ritirandosi in Messico, nelle fila del Real Club Espana, raggiungendo il folto gruppo di epurati spagnoli fuggiti dal loro Paese per salvarsi la vita.

L’ultimo scoppio di granata nel 1945  coincide con l’apparente ritorno di Lángara dal confino calcistico: l’ex ‘Pichichi’ attraversa  l’Atlantico per chiudere il magico cerchio della carriera nel Real Oviedo.

Casa, però, è inospitale. Dopo soli tre anni compie nuovamente la traversata sul grande specchio blu e comincia la carriera di allenatore tra Messico, Cile e Argentina.

Solo una volta superato il 1975, anno critico e fatale per il governo franchista, ‘El Tanque’ torna nella sua Spagna, nella sua Pasaia, nella sua pace.

Dall’inizio alla fine, per tornare all’inizio.

La vita di Isidro Lángara è un romanzo sportivo-politico che alterna stadi a prese di posizione, dittature a reti gonfiate.

La vita di Isidro Lángara è un lungometraggio di proteste democratiche e di esultanze sorridenti.

La vita di Isidro Lángara finisce ad Andoáin, nel cuore dei Paesi Baschi, il 21 agosto 1992. Finisce lì dove il cerbero, per ‘El Tanque’, era diventato poco più di uno sbiadito ricordo. 

Gianmarco Pacione
16 dicembre 2020

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