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In prigione per la libertà di un popolo, Yelena Leuchanka

È in carcere da ieri notte la cestista bielorussa anti-Lukashenko. Noi l’avevamo intervistata solo poche ore prima

È in prigione, Yelena Leuchanka. La più grande cestista della storia del basket bielorusso si trova confinata in quattro gelide mura. Colpevole di aver partecipato a manifestazioni di massa ritenute illegali, l’ex giocatrice WNBA si è vista inghiottire dal braccio armato di Lukashenko e trascinare in un centro detentivo statale.

Yelena Leuchanka

Ne era consapevole, la 37enne atleta-attivista, ne era consapevole anche la mattina di domenica, quando siamo riusciti a contattarla prima di una marcia pacifica.

“Perché non mi chiedi in modo diretto se ho paura di finire in prigione? Sono così stufa di questa parola, la paura. Qui siamo stati abituati a convivere con questo termine fin da quando eravamo piccoli. È ciò che conosciamo meglio. Ti dirò una cosa: possono maltrattarci, possono terrorizzarci, possono picchiarci, possono metterci in galera, ma non ci toglieranno mai la forza, il desiderio e la voglia di lottare per il popolo bielorusso”

Era un destino previsto, quello a cui stava andando incontro Yelena Leuchanka, un’ondata di ritorsioni inarrestabili, che negli ultimi mesi si è infranta senza distinzione alcuna su politici e letterati, artisti e persone comuni.

Nel grigiore socioistituzionale della presunta Repubblica incastonata nell’Europa orientale, stava brillando eccessivamente la voce di Yelena, il suo esempio stava guidando troppi ribelli del giusto. L’ultimo dittatore d’Europa, l’immarcescibile Lukashenko, non poteva permettere libertà di pensiero e parola ad un personaggio così influente, così scomodo.

“Sono nervosa nell’espormi così tanto, non posso negarlo. Allo stesso tempo, però, non posso assistere a tutto questo, non ci riesco. Penso che ogni persona debba fare i conti con sé stessa, debba riflettere su quali siano i propri principi morali, i propri valori, i motivi per cui si vuole combattere. Da quando ho iniziato ad esprimere le mie opinioni contro Lukashenko riesco a dormire serenamente, in pace con quello che sono”

Yelena Leuchanka

Una casa ordinata sullo sfondo, muri bianchi e geometrie asettiche. Il tiepido sole ad illuminarla, una tazza di caffè in mano. Non più tardi di tre giorni fa  Yelena accoglieva le mie domande con uno sguardo intenso, pragmatico, ispirato. Gli occhi verdi, di un verde chiaro, quasi trasparente. Le parole della rinomata cestista piovono da subito come proiettili: terremoti verbali nel cuore di un Paese in piena confusione.

Siamo a Minsk, siamo a pochi gradini di distanza dalle bollenti strade della capitale bielorussa. Yelena Leuchanka non vuole parlare di sport, non vuole parlare di rimbalzi e pick’n’roll, d’altronde che senso avrebbe farlo in questo momento storico.

Per permettermi di comprendere cosa stia accadendo nella sua terra, si limita a sollevare la manica della felpa, mostrandomi un numero di telefono scritto a penna sul polso.

“Questo è il numero del mio avvocato. Oggi scenderò in piazza, come sempre, e come sempre rischierò di subire aggressioni, di ricevere manganellate, di essere incarcerata. Ormai è un’usanza comune, ogni marcia pacifica viene interrotta da squadroni di paramilitari stipendiati dal governo e impossibili da identificare. Arrivano con anonimi pulmini, ti picchiano e ti portano via, dritto in galera”

Prima di essere attivista, Yelena resta una giocatrice di basket: non una giocatrice qualsiasi. Forte dei quasi 200 centimetri d’altezza, ha lasciato il suo Paese poco più che maggiorenne per calcare i parquet d’oltreoceano, per diventare uno dei centri più dominanti dell’ultimo decennio. Grazie alla palla a spicchi ha fatto fortuna, alternando movimenti in post basso e danze nel pitturato tra Europa, Cina e WNBA.

Poteva snobbare le condizioni del proprio Paese, poteva snobbare Lukashenko e le ultime elezioni farsa. Poteva banalmente trasferirsi all’estero, dimenticare l’incubo di un regime totalitarista, rifuggire richieste d’aiuto e coraggio. Così non ha fatto.

“Quando ho cominciato a viaggiare, mi sono resa conto che la Bielorussia era trenta, quarant’anni indietro rispetto agli Stati occidentali. È stato uno shock culturale. Girare il mondo grazie alla pallacanestro ha fatto maturare delle domande insistenti dentro di me. Mi chiedevo come fosse possibile una tale arretratezza del mio Paese, mi chiedevo il perché di questa paralisi economica e culturale. Solo allora ho realizzato che qualcosa nel sistema fosse profondamente sbagliato. Oggi sono qui a dirlo al mio popolo, all’intero mondo. Voglio che tutti capiscano che viviamo in un Paese in cui, nel 2020, risulta impossibile proporre alternative politiche. È così, non possono esistere alternative a Lukashenko. Chi prova a mettersi in gioco viene condannato o esiliato. Paragonando la situazione allo sport: è come se la nostra Nazionale di basket fosse preclusa ai giovani atleti. E questo succede a due passi dall’Europa. In tanti mi domandano perché lo faccia, perché mi sia schierata così apertamente: certo, sono un’atleta di successo, potrei scegliere la via più facile, impacchettare tutto e andarmene a vivere in America… Facendolo, però, andrei contro i miei principi morali”

Yelena Leuchanka

Principi morali che, negli ultimi mesi, hanno innalzato Yelena a icona della rivolta bielorussa contro Lukashenko. Una rivolta pacifica, fatta di lunghe marce e inascoltati slogan, fatta di migliaia di bielorussi uniti da un sogno: la definitiva detronizzazione di un fosco capo politico.

“Lukashenko dice di avere la maggioranza dei bielorussi dalla sua parte, eppure è evidente che non sia così. Tutto quello che fa, lo fa di nascosto. Si è rotto definitivamente qualcosa durante il periodo di pandemia, quando lo Stato non si è mosso per aiutare la gente in difficoltà. Erano state fissate delle elezioni che dovevano essere eque, legali, ma che con lo scorrere dei giorni sono state palesemente intaccate dal volere del governo. Tutti i potenziali avversari sono stati annichiliti da Lukashenko, con ogni mezzo possibile. È stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso ormai colmo, che ha portato le persone a insorgere, a fare qualcosa d’impensabile: mettere a rischio la loro incolumità per il bene comune. Qui ormai è annullato ogni diritto umano e io sto provando a urlarlo a chiunque, attraverso ogni canale possibile, UNICEF compreso. È peggio dei giorni della Gestapo, basti pensare che fino ad ora più di 12mila attivisti sono stati portati in prigione. Il lato più spaventoso di Lukashenko è come pieghi le leggi in suo favore: non importa come ti comporti, se sei contro di lui troverà un modo per tapparti la bocca. Ho assistito a scene di una brutalità surreale: per esempio ho visto una signora di 73 anni strattonata e sbattuta dietro le sbarre, le ho visto accettare con dignità una multa salatissima, soldi che verranno detratti interamente dalla sua pensione. Ho visto le televisioni nazionali trasmettere solo materiale propagandistico, omettendo immagini o opinioni compromettenti. Ho visto giovani politici esiliati con uno schiocco di dita. In Bielorussia è tutto marcio, questa è la realtà. Ma, perché c’è un ma, il fatto che in così tanti continuino a manifestare, a chiedere aiuto, ci dà speranza. E la speranza non può essere imprigionata”

Speranza che è la pietra angolare su cui poggia SOS BY, organizzazione capace d’inglobare tutti gli atleti bielorussi schierati contro Lukashenko. Un fronte comune, capitanato dalla Leuchanka stessa, in grado di conferire fiducia e maggiori sicurezze ad un popolo disperatamente bisognoso di punti di riferimento.

“Sappiamo di aiutare le persone. Scendiamo in piazza al loro fianco, gli dimostriamo che non sono soli. Spesso, quando sto camminando, mi capita di essere avvicinata e di sentirmi dire semplicemente “Grazie”. Questo, per me, vale più di qualsiasi altra cosa. Ho partecipato a due Olimpiadi, ho giocato così tanti campionati… Ma tutto questo è differente. Ho la pelle d’oca solo a parlarne. È molto più importante di qualsiasi sport, di qualsiasi vittoria. Siamo un gruppo nutrito, crediamo in quello che facciamo e abbiamo le stesse idee. Con le nostre piattaforme, specialmente sul web, possiamo raggiungere anche i giovani. In oltre 600 abbiamo firmato un manifesto in cui dichiariamo che le elezioni sono state falsificate, che in prigione le persone vengono maltrattate e uccise. Siamo in 600, ma potremmo essere di più. Non tutti gli sportivi si sono esposti, sanno che rischiano il posto nelle squadre Nazionali e molto altro. Dispiace vedere che tanti nomi importanti rimangano ancora adesso in silenzio, soprattutto perché sappiamo che sono dalla nostra parte”

Yelena Leuchanka

Nomi che dopo l’incarcerazione di Yelena sono stati chiamati allo scoperto dall’SOS BY. Un comunicato emesso oggi dall’organizzazione chiede a tutti di mettere la vigliaccheria alle spalle, di boicottare i prossimi eventi sportivi, di slegarsi dalla Federazione sportiva bielorussa. “Fatelo per la vostra libertà e per la libertà dei vostri colleghi detenuti ingiustamente”, recita uno dei passaggi più intensi e significativi.

La stessa libertà che la bionda cestista ha teorizzato appena prima d’infilare le scarpe e scendere in piazza per l’ultima volta, almeno per il momento. Una libertà che, a detta della Leuchanka, può giungere solo al termine di un sacrificio estremo.

“Siamo in crisi, una crisi profonda, soprattutto economica. Dobbiamo avere le forza di abbandonarci ad un periodo negativo. Per questo chiedo agli altri Stati di non inviare soldi per aiutarci. Abbiamo bisogno di altro: di reazioni chiare, di prese di posizione, di apporti umanitari. Questo Paese può rinascere solo dalle ceneri, dall’azzeramento di una classe dirigente corrotta e maligna. Regalare soldi alla Bielorussia significherebbe mantenere tutto questo in vita”

Yelena è sicura quando parla di una battaglia lunga e dolorosa, di una drammatica epurazione seguita da una lenta ricostruzione. A suo avviso solo un anno zero comune potrebbe condurre il popolo bielorusso verso la reale democrazia, la tranquillità e la tanto auspicata pace.

“Alcuni chiedono di tornare indietro, di interrompere queste proteste, di ritornare alla finta pace precedente. Io a loro domando: che tipo di pace volete? Volete lo stesso tipo di pace che c’è in Corea del Nord? O volete una pace che preveda il rispetto dei diritti umani e l’assenza di bugie? Io non voglio vivere in una Corea del Nord al centro dell’Europa”

Parole e pensieri che, in questo preciso momento, con Yelena Leuchanka detenuta in una prigione nel cuore di Minsk, risuonano ancora più emblematiche.

Potete scoprire qualcosa in più riguardo l’organizzazione: https://www.instagram.com/sos_by_2020/

 

Gianmarco Pacione

Credits

IG yelenaleu

30 settembre 2020

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